// di Francesco Cataldo Verrina //
Il dibattito sul jazz di destra o di sinistra si apre piuttosto spesso, ma ci accorgiamo che la discussione diventa presto sterile e che ciascuno rimane sulle sue posizioni. Premetto che mi considero un uomo di «sinistra», un progressista, come spinta ideale ma non come appartenenza ad una specifica compagine politica. Con mio immenso rammarico, da molti anni a questa parte, come cittadino mi sento scarsamente rappresentato da qualsiasi partito e da qualunque ammucchiata di governo, figuriamoci come studioso ed appassionato di jazz. Ti guardi intorno e ti avvedi che sia la destra che la sinistra si spartiscono il potere insieme ai loro giannizzeri, laddove bisogna assegnare incarichi e competenze per l’organizzazione di festival, eventi e manifestazioni musicali: jazz e non jazz.
Sonny Rollins sosteneva che nel momento in cui decidi di suonare jazz, stai già facendo politica. Fare politica non significa essere di destra o di sinistra, almeno come lo concepiscono taluni italioti con il cervello sottovuoto spinto. Sin dalle sue origini il jazz è sempre stato l’espressione delle classi meno abbienti: nasce e si sviluppa nei postriboli e nei quartieri malfamati. La presa di coscienza di molti musicisti african-american coinciderà con la rivendicazione di taluni diritti basilari, fino ad allora negati. I movimenti per i diritti civili erano autonomi, e non erano di destra o di sinistra come paventato dalla visione eurocentrica della politica. Per contro, in USA, era legati a delle vere congregazioni d’ispirazione religiosa, spesso musulmane come nel caso di Malcom X. Sappiamo bene che tutti i regimi reazionari, sia di destra che di sinistra hanno osteggiato il jazz sin dal suo primo apparire.
Va benissimo, se sentirsi di sinistra o di destra voglia dire aver maturato un complesso di idee ed una particolare visione del mondo che possa apparire più conservatrice, che difenda a spada tratta il concetto di famiglia tradizionale, desiderosa di una società con leggi più rigide, più rispettosa delle istituzioni o per contro più libertaria, aperta anche elle famiglie allargate o arcobaleno, più vicina agli ultimi, ai diversi, ai migranti e meno alle partite IVA o alle ricche aziende del Nord. In tale contesto va benissimo anche il confronto dialettico, sereno e storicamente documentato sul jazz e le sue relazioni con le destre o le sinistre del mondo.
La condicio sine qua non è che l’essere di destra o di sinistra non finisca per diventare l’espressione di uno qualunque dei partiti politici in lotta per il potere, nessuno dei quali appare rappresentativo sia di una destra che di una sinistra ideale, figuriamoci del jazz, fenomeno geneticamente instabile e meticcio. Essere di destra o di sinistra non significa essere giustizialisti quando sono in ballo le vicende altrui e garantisti quando toccano persone e fatti vicino a noi. Non si può essere difensori delle leggi quando nel proprio schieramento politico c’è il maggior numero d’inquisiti, anche per associazione a delinquere di stampo mafioso o per contro difendere o attaccare la magistratura a comando: ciò riguarda sia i partiti di destra che di sinistra. Non si può essere portatori del concetto di famiglia cristiana o tradizionale, quando si vive more uxorio, o sia hanno più famiglie e figli con più mogli e più mariti. Il perbenismo di facciata non né di destra e né di sinistra, è solo un mediocre cruciverba mentale per incastrare gli elettori. Parlar bene e razzolare male non è di destra o di sinistra, è un fattore umano trasversale. Richiedere maggiori controlli sugli immigrati e poi pretendere di eludere il fisco o tollerare l’evasione non è di destra o di sinistra, è solo opportunismo di bassa lega.
Questo il punto di vista di Roberto Ottaviano, uno dei più importanti sassofonisti europei multireed: «Se però pensiamo alla politica come definizione aristotelica, cioè come luogo di incontro tra dottrine, sapere ed agire associato, luogo di scelte che riguardano micro e macrocosmo, allora viene più facile pensare che l’opera di Michelangelo come Guernica di Picasso, “Alabama” di Coltrane o “Remember Rockefeller At Attica” di Mingus mettano in connessione una denuncia, una riflessione, con un linguaggio che apre un diverso canale di comunicazione. Il jazz in generale ha svolto questa funzione anche quando ne sembrava lontano, pur senza esibire manifesti». Lo stesso Ottaviano conferma come discriminante (e discriminato) l’approccio al jazz non legato a logiche divisive e politicizzate: «Per quel che mi riguarda poi non intendo veicolare specifici contenuti politici, ma optare per una costruzione estetica che imponga l’ascolto profondo piuttosto che accondiscendere all’intrattenimento ed alla banalizzazione pop; credo sia una scelta anche politica. Tant’è che questo tipo di approccio subisce una certa discriminazione. Oggi come ieri».
Sentirsi di destra o di sinistra non significa vivere la politica ed il confronto dialettico come l’eterno scontro tra Guelfi e Ghibellini o Orazi e Curiazi e diventare strumento dei partiti politici che giocano su questa debolezza tutta italiana di concepire qualsiasi avvenimento sociale ed urbano come le tifoserie calcistiche: divide et impera. Così mentre il ceto medio s’impoverisce progressivamente, il carrello della spesa degli Italiani è sempre più vuoto, i politici di destra e di sinistra s’ingrassano: entrano preti ed escono curati. Si creano nepotismi, favoritismi, cognatismi e, a cascata, una pletora di vassalli, valvassori e valvassini, uomini, mezzi uomini, ominicchi ruffiani e quaquaraquà. La corruzione galoppa e per fare una visita medica specialistica nelle strutture pubbliche bisogna aspettare un anno.
Cambiano i governi e di jazz neppure l’ombra, tutto resta come prima e le promesse elettorali sono come le parole degli amanti scritte sulla sabbia. I poveri diventano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi, mentre i furbi sono di destra o di sinistra a seconda delle circostanze. Quanto detto riguarda personaggi a vario livello: musicisti, giornalisti, attori, scrittori, organizzatori di mostre, fiere, festival e manifestazioni culturali. Se essere di destra o di sinistra corrisponde al divenire complici di tale sistema, allora lasciamo il jazz fuori da questo pateracchio immondo e da questa eterna batracomiomachia fra mediocri ed approfittatori, tra rane da acquitrino, topi di fogna e tipi per tutte le stagioni.
In passato le élite borghesi e liberali più vicine idealmente alla destra, poiché avevano più mezzi economici e conoscenze, fecero molto per la divulgazione del jazz in Italia, specie nel dopoguerra, quando di questa musica si aveva l’idea di puro e semplice intrattenimento o di mero «negro entertainment». In tanti non riuscirono a coglierne la forza innovatrice e le istanze di cambiamento sociale che il jazz, pur nel suo «silenzio» strumentale, recava. In un secondo momento, le sinistre cavalcarono solo la forza antagonista e rivoluzionaria delle frange estremiste e delle forme di jazz più contaminato ed anarcoide, non capendo che specialmente gli Afro-Americani non intendevano distruggere e sovvertire la società, ma far parte a pieno titolo del sogno americano, con i medesimi doveri e diritti dei bianchi.
Il jazz è sempre stato vicino ai deboli, alle minoranze e ai diversi per credo religioso, colore della pelle, ceto e censo. Tali minoranze sono state storicamente osteggiate in numerosi paesi del mondo sia dalle destre che dalle sinistre. Dal momento in cui il jazz ha cessato di essere una musica fisica, ballabile e legata al folclore nero divenendo un «elemento» pensante , ha offerto su un piatto d’argento alla cultura occidentale ed eurocentrica un bagaglio artistico che poteva veicolarele istanze politici di altre minoranze non solo di quella neri. Ad un terzomondismo di tipo afro-americano ed afro-centrico, si è affiancato un messaggio rivoluzionario come quello di Charlie Haden (bianco), che inneggiava alla liberazione del Cile o dei paesi africani, senza imitare o scimmiottare le posizioni politiche dei neri, ma facendo sue le istanze rivoluzionarie della sinistra occidentale, dimenticando che nel frattempo in Russia o in Cina accadevano cose altrettanto turpi e che il Cile era forse la punta dell’iceberg. In Europa il pubblico più progressista, scevro da atteggiamenti razzistici e ideologicamente vicino al libertarismo anarcoide del free-jazz, accolse i musicisti d’avanguardia in modo amichevole, popolandone i concerti e favorendo la nascita di etichette discografiche indipendenti, le cui produzioni in America non avrebbero mai trovato spazio, poiché considerate poco appetibili sul mercato.
Per questo e per molto altro ancora, il jazz non è di destra e neppure di sinistra, soprattutto se l’idea di destra e di sinistra si configura con l’appartenenza ad un preciso schieramento politico. Quale governo negli ultimi cinquant’anni ha fatto qualcosa per il jazz in Italia? Che cosa fanno per i giovani musicisti jazz e per le tante etichette indipendenti gli epuloni appartenenti alla nomenclatura del jazz italiano, i soliti signorotti e feudatari privilegiati ed ammanicati, se non spartirsi finanziamenti, festival e direzioni artistiche insieme ad un codazzo di accademici complici che tira sempre l’acqua al proprio mulino? Sarebbe bene che taluni tromboni tacessero per sempre o dicessero qualcosa di meglio del silenzio. Il jazz è superiore a certe squallide contese o speculazioni mediatiche. Il jazz è una cosa seria, quindi non potrai mai essere né di destra e né di sinistra!