// di Roberto Biasco //

La recente ristampa su etichetta Honey Pie riporta alla luce un disco di rilevantissima importanza storica, che testimonia quanto inaspettatamente vitale fosse la scena jazzistica in Sudafrica già negli anni cinquanta. I Jazz Epistles erano formati da un gruppo di eccellenti e giovanissimi musicisti (Masekela era nato nel 1939) che si muovevano in un ambito per l’epoca molto avanzato, nel solco dell’hard bop allora imperante e sulla falsariga dei ben più noti Jazz Messengers.

Intendiamoci, non si tratta affatto si semplici epigoni, ma di musicisti di vaglia con una propria precisa identità culturale che affondava le proprie radici nella tradizione folklorica del proprio paese, declinata nei nuovi linguaggi della musica afro-americana contemporanea. Lo dimostra brillantemente questo loro primo e purtroppo unico disco inciso nel 1959, pochi mesi prima dello scioglimento del gruppo, travolto dalle drammatiche vicende storiche che scossero profondamente il paese dominato dall’apartheid e da una feroce discriminazione razziale. Infatti i tragici eventi legati al “Massacro di Sharpeville” del 1960, nel quale la polizia non esitò ad aprire il fuoco tra la folla contro i dimostranti per i diritti civili, provocando centinaia di morti, comprese donne e bambini, costrinsero moltissimi musicisti ed intellettuali neri a fuggire all’estero rimanendo di fatto in esilio per decenni, fino alla caduta definitiva dell’apartheid e la liberazione di Nelson Mandela.

Fu così che ebbe inizio la “diaspora sudafricana” che costrinse gli uomini del Jazz a riparare in Europa e in America. Tra questi anche Hugh Masekela e Miriam Makeba, all’epoca sua moglie, e Adolph Johannes “Dollar” Brand, che si trasferì dapprima in Svizzera e poi a Londra, e che intorno al 1968 si convertì all’Islam assumendo definitivamente il nome di Abdullah Hibrahim con il quale ancora oggi, alla veneranda età di ottantotto anni, calca ancora i palcoscenici. Masekela si trasferì invece negli Stati Uniti, dapprima a New York e poi sulla costa occidentale, dove raggiunse il successo soprattutto nell’ambito di un originale approccio al soul jazz, con sortite anche in altri ambiti. Lo ritroveremo persino a far capolino con i Byrds nella famosa “So You Want To Be a Rock’n Roll Star”. Tornando al disco in questione va sottolineato che, contrariamente alla consuetudine dell’epoca, non ci sono rivisitazioni di standard o di canzoni alla moda, ma tutti i brani dell’album sano originali usciti dalla penna degli stessi componenti del gruppo.

Dollar’s Mood”, scritto dal trombettista Hugh Masekela e dedicato all’amico pianista, è un brano swingante che ci fa subito entrare nel mood del gruppo e permette a tutti i componenti di mostrare le proprie doti nel giro completo degli assoli finali. Il sassofonista Kippie Moeketsi firma ben quattro brani del disco: “Blues for Hughie”,Carol’s Drive” – una composizione asimmetrica che ricorda gli “spigoli vivi” della musica di Monk – “Scullery Department” e “I Remember Billy” – una suadente ballad che rimanda alle atmosfere della ben nota “I Remember Clifford”. Ma tirando le somme è proprio Dollar Brand che lascia il segno definitivo, sia con le sue composizioni, sia con il suo pianismo già perfettamente maturo e originale, che riesce a coniugare la complessità e l’eleganza di Duke Ellington, del quale è profondo conoscitore e ammiratore, la profondità di Thelonious Monk e la brillantezza di Bud Powell. Nella sua musica affiorano inoltre gli echi della sua cultura e della sua gente, un andamento spesso cantabile che rimanda ad atmosfere corali di origine popolare.

Uku – Jonga Phambili” (Looking Forward) è un magnifico pezzo di ispirazione Monkiana eseguito in trio, piano, basso e batteria, “Vary – oo- Yum” è un mid-tempo corale suonato da tutto il sestetto, con tanto di walking bass e break finali, con la batteria che a turno lancia i solisti, nel più puro stile Jazz Messengers. “Gafsa” è una bellissima composizione fortemente ispirata, eseguita per pianoforte solo, che dimostra “in nuce” tutte le potenzialità compositive ed esecutive dell’artista, allora venticinquenne, e che fa già intravedere la grandezza di quello che sarebbe diventato senza ombra di dubbio uno dei più grandi pianisti della storia del Jazz. Un disco quindi, al di là del valore puramente storico, perfettamente godibile, affatto datato e che già all’epoca non aveva nulla da invidiare ai ben più noti e blasonati contemporanei d’oltre oceano+.

Formazione:

  • Hugh Masekela: Tromba;
  • Kippie Moeketsi: Sax alto;
  • Jonas Gwanwa: Trombone;
  • Dollar Brand: Piano;
  • Johnny Gertze: Contrabbasso;
  • Makaya Ntshako: Batteria.