// di Francesco Cataldo Verrina //
Dal cinque maggio 2023 sarà disponibile sul mercato una sessione inedita di Cedar Walton in piano solo, «More Blues For Myself», pubblicata in vinile dalla Red Records, che testimonia la grandezza di questo pianista il quale, nell’arco di una carriera durata oltre sessant’anni, non ha mai reciso definitivamente il cordone ombelicale con la sua terra d’origine. Per inquadrare bene la figura di Cedar Walton e comprenderne le dinamiche evolutive deve essere analizzata questa sua dichiarazione: «I gruppi a cui ero affiliato, quando da giovane vivevo a Dallas, in Texas, erano quelli che in seguito sarebbero stati indicati come rhythm’n’blues band. Erano molto diffusi all’epoca e suonavano una ricca varietà di brani, ma soprattutto cose orientate al blues. C’era sempre una discreta offerta di registrazioni di jazz avanzato e ogni musicista ammirava quello che per noi, a quel tempo, era un movimento piuttosto lontano. Compravamo i dischi di Dizzy e Bird, ma c’erano pochissime possibilità di sentire queste persone dal vivo; forse venivano a Dallas una volta all’anno. Vivere in Texas, credo che fosse molto simile a vivere in Europa, o in qualsiasi altro posto che non fosse New York o la California, dove si esibivano i principali artisti». Se nel jazz il blues è la colonna vertebrale, nella musica di Cedar Walton diventa anche l’anima ed il motore mobile dell’impostazione armonica e del modulo espressivo.
Negli anni ’80, tra il 1985 ed il 1986 la Red Records di Sergio Veschi e Alberto Alberti ebbe l’intuizione di fissare su nastro e documentare il momento creativamente più ispirato di Cedar Walton il quale, in perfetta armonia con David Williams al basso e Billy Higgins alla batteria, aveva dato vita ad una delle compagini triangolari più fattive ed affiatate della storia del post-bop, tanto da stabilire quasi delle nuove regole d’ingaggio e diventare paradigmatico per le generazioni a venire. «The Trio 1», «The Trio 2» e «The Trio 3» rappresentarono tre tappe strettamente legate di un percorso sonoro che spianò a Cedar Walton le strade della fama ad imperitura memoria. Le tre pietre miliari italiane del pianista texano, oggi, sono disponibili separatamente in CD o su triplo album in vinile pubblicato dalla nuova Red Records di Marco Pennisi. «More Blues For Myself» trova un legame diretto con la prima operazione legata alla Red Records. Negli anni ’80, Cedar riuscì a ricreare la stessa atmosfera ed il medesimo mood di «Eastern Rebellion», album del 1975, considerato il climax della sua discografia. Con un differente organico: il sassofonista tenore Bob Berg, il trombonista Curtis Fuller, il bassista David Williams e il batterista Billy Higgins, Walton tenne vivo il fuoco dell’hard-bop senza mai scadere nel manierismo e nel ricalco degli stilemi tipici degli anni Cinquanta e Sessanta. Durante un tour europeo fece tappa a Bologna registrando un set dal vivo all’Osteria delle Dame. L’album ricavato da questa sessione, «Cedar’s Blues», divenne uno dei punti cardine della sua discografia.
Nel febbraio del 1986, Cedar Walton registrò un’intera sessione in solitaria allo Barigozzi Studio di Milano, evidenziando tutta la sua magniloquenza pianistica. Per una serie di congiunture legate al mercato il nastro è rimasto accantonato in cassetto per quasi quarant’anni. Gli otto componimenti eseguiti durante il set sono stati rimasterizzati e pubblicati in vinile. Sin da un primo e fugace ascolto si ha la sensazione che il tempo non abbia per nulla scalfito il valore di quelle performance e che lo stile esecutivo di Cedar Walton, pur concatenato alla tradizione del blues e del bop, sia ancora attuale e che allora fosse proiettato nel futuro. Il pianista di Dallas è sempre stato un artista tridimensionale: valido sideman (fu il pianista del Jazztet di Art Farmer e dei Jazz Messengers di Art Blakey, partecipando a sessioni epocali), ottimo band-leader, ma soprattutto eccellente autore. Alcuni suoi componimenti hanno raggiunto lo status di standard, come «Ugetsu» (a volte conosciuto come «Polar AC2» o «Fantasy in D»), «Mosaic» e «Bolivia». Non a caso in questo inedito set preferì non indugiare su standard altrui di facile metabolizzazione; piuttosto decise di suonare in massima parte brani del suo repertorio. La formula esecutiva si basa sulla tipica dinamica waltoniana: suoni che planano lenti alimentati da pathos e lirismo, evoluzioni costanti, ampi e vorticosi crescendi, variegati cromatismi, opulenza armonica, improvvisazioni ad alta quota e velocità in corsa.
Gli standard utilizzati riguardano «Without A Song» del 1929, firmato Vincent Youmans e reso celebre da Frank Sinatra, quindi ripreso da numerosi artisti come Stevie Wonder, Ray Charles, Supremes e Mahalia Jackson. Le due take alternative eseguite da Walton si differenziano per la carica emotiva impressa dal pianista: nella seconda take inserita nella prima facciata dell’album il tono appare più divertito, quasi che Walton volesse denudare questo evergreen della sua aura di sacralità. L’altro standard, «Li’l Darlin’» di Neal Hefti, posto a suggello dell’album proviene da un album di Count Basie del 1958 e, per quanto giocata in solitaria, mantiene tutta l’effervescenza ed il swing di una big band. L’album si apre con «Booker’s Bossa», componimento simbolo dello stile duale di walton capace di muoversi su tonalità differenti all’interno dello medesimo tragitto armonico, facendo dimenticare di essere un uomo solo al comando, mentre il pianoforte secerne energia inventiva allo stato puro. Per contro, la seconda take risulta più melodica e dilatata. «Sixthy Avenue» e «Bridge Work» sono altri due nitidi esempi di un pianismo proteiforme in grado di reinventarsi a breve distanza nelle due take alternative presenti sulla facciata B. «More Blues For Myself» è l’ennesimo regalo per tutti i cultori del vinile da parte della nuova Red Records di Marco Pennisi, intenzionata a rivalutare un ed un roster di artisti e un catalogo (fatto anche di inediti) che entra di diritto nella storia del jazz moderno e che, dati alla mano, non risente minimamente dell’usura del tempo.
