// di Gianluca Giorgi //
Ahmad Jamal, Marseille (2lp 2017)
Sotto una copertina particolarmente dimessa si nasconde una musica di alto livello. A ottantasei anni suonati Jamal dimostra, per l’ennesima volta, di possedere non soltanto un’abilità tecnica impermeabile allo scorrere del tempo ma anche un’estetica ben distante dalle convenzioni del jazz comunemente inteso. Di lui possiamo affermare che sia una leggenda, anche se rimane comunque una figura di culto e quindi poco conosciuta dal grande pubblico. È senza dubbio un innovatore del suo strumento, ebbe il coraggio di superare gli stilemi boppistici di Bud Powell, che è considerato il maestro del pianismo jazz. Ahmad, grazie alla sua tecnica, è noto come il profeta, l’architetto, l’uomo con due mani destra. Jamal non si è mai seduto sugli allori, ma ha sempre cercato di innovare, divenendo funky e caraibico negli anni ’70, usando voicing aperti su cavalcate virtuosistiche negli anni ’90, senza, comunque, discostarsi dal suo modo di interpretare il jazz. A causa del suo carattere piuttosto riservato ha sempre avuto una visibilità inferiore rispetto ai suoi meriti. In questo ottimo album celebra l’assolato porto francese di Marsiglia, una delle città preferite dal nostro. Il tema omonimo appare tre volte, all’inizio solamente strumentale e il tema non esiste, in seguito è arioso, sensibile e si basa su uno spoken word in francese del rapper Abd Al Malik contrappuntato dalle note del piano, ed infine è interpretato dalla franco-beninese Mina Agossi, un po’ la sintesi delle precedenti versioni con un pianismo elegiaco ed una voce che ammalia e che ci trasporta nel mediterraneo. Notevole anche la ripresa di ‘Autumn Leaves’ in tinta latina. Il disco cresce con gli ascolti e svela sempre nuovi particolari.
Phil Hewitt Quintet – Jawbones (1968 ristampa 2013)
Il primo album autoprodotto del vibrafonista, compositore e arrangiatore della Bay Area, Phil Hewitt. Originariamente stampato in tiratura limitata di cinquanta pezzi. Il primo dei tre album perduti di questo adolescente prodigio. Capolavori di profondo jazz modale/spirituale. Ristampa con riproduzione della copertina originale dipinta a mano.


Alberta Hunter, Amtrak Blues (1980)
Alberta Hunter, cantautrice statunitense, nata nel 1-4-1895, e morta a 89 anni. È stata un’importante interprete di blues, già collaboratrice di Louis Armstrong, nel 1928 si recò a Londra come protagonista della rivista Show Boat e da allora avviò una brillante carriera in Europa. La morte di sua madre nel 1954 la costrinse ad interrompere la carriera per intraprendere quella infermieristica. Riprese la carriera musicale nel 1977. Grande voce blues e jazz. Ottimo swing, bella incisione. Due pollici in su per Alberta Hunter.
Cinema (Brazil), omonimo 1985 (ristampa 2020)
Ristampa del 2020 ad opera della Nada, la prima in assoluto in vinile e pressoché identica alla assai rara e ricercata prima tiratura, ma con due bonus track finora inedite (“Conversa”, posta alla fine della prima facciata, e “Pallazo uno” posta alla fine della seconda). All’interno un interessante inserto con note che contengono testimonianze dei membri del gruppo ed un articolo di Bento Araujo, autore della serie di libri Lindo Sonho Delirante, sulla musica underground brasiliana. Originariamente pubblicato in Brasile nel 1985 in forma autoprodotta, l’unico album di questo gruppo brasiliano che aveva in formazione un veterano del pop sperimentale del proprio paese, Ronaldo Tapajos. Ronaldo Tapajos autore nel 1968 nel duo Ro and Carlinhos, del singolo “O gigante”, brano dai riferimenti psichedelici e controculturali. Il lavoro dei Cinema, autofinanziato ed in un pressaggio limitato, uscì nei primi mesi del 1985 quando il paese sudamericano stava uscendo da un ventennio di dittatura militare, ed è un’opera sperimentale ed espressione di una esplosività di forza creativa, ma al tempo stesso anche melodica ed avvolgente. Lo spirito sembra affine a quello della no wave newyorchese, del Rock In Opposition e del post punk più sperimentale, ma con una prospettiva molto brasiliana, che si esprime nel cantato in portoghese, e nei toni e nelle atmosfere sinuosi ed esotici; in alcuni episodi sembra che si verifichi un incontro fra modena musica cameristica ed immaginario tropicale e silvestre, in altri un dialogo fra canzone popolare brasiliana ed art rock, attraverso l’interazione fra oscuri bordoni elettronici, percussioni tribaleggianti, melodie di oboe, sognanti voci femminili, delicate chitarre acustiche ed elettriche e stranianti interventi di sintetizzatori. Benvenuta questa ristampa di un disco estremamente bello ed invecchiato molto bene.

