// di Gianluca Giorgi //
Nat Birchall, Ancient Africa (2021)
Nat Birchall è uno dei migliori sassofonisti della scena jazz contemporanea e può cimentarsi in tanti tipi di stili affini al jazz; dallo spiritual jazz, al dubwise jazz, all’etno jazz. Nel disco troviamo una squisita selezione che fonde insieme molte melodie lussureggianti e spirituali con assoli in stile Coltrane, nonché strati di ricche percussioni e trame afro. Nat suona ancora una volta tutti gli strumenti: sassofono tenore e soprano, clarinetto basso, basso, batteria e percussioni, questa volta, però, il sintetizzatore Korg è stato sostituito dal pianoforte, poiché Nat ha voluto utilizzare un suono jazz più “classico” per esprimere le sue visioni musicali. Ha anche arrangiato alcune canzoni per più fiati, con melodie e armonie suonate fino a cinque strumenti diversi per ottenere un suono più pieno e spesso. Un’eccezione è Mirror Mind, un “duetto” con sassofono tenore e pianoforte, da cui il titolo. Come in altri dischi per la maggior parte delle sue composizioni Nat tende a ideare titoli che dipendono dai pensieri o dalle immagini che la musica manifesta in lui quando riascolta la registrazione. L’album è composto da ottimi brani tra i quali la title track un maestoso viaggio melodico con percussioni e contrabbasso che tendono ad irrobustire il brano e brani più melliflui e premurosi come “Mirror Mind” e altri incantevoli e ipnotici come “Malidoma”. Questo è un ottimo disco ispirato all’antica Africa, fra i più belli di Nat Birchall.
VALERIE JUNE, Pushin’ Against A Stone 2013
Dan Auerbach. Un disco prodotto dalla metà dei Black Keys è una garanzia. Si è sicuri di trovarci un suono retro-moderno, ben radicato nella tradizione ma attualizzato. C’è freschezza e impeto melodico, espressività e soul a volontà, folk e rock rivisitato e tanta, tanta anima, in questo ben coadiuvata dal producer. Va da sé che il disco sappia tanto di Black Keys in salsa femminile, con il valore aggiunto del raccontarsi in prima persona da parte di Valerie, con voce davvero particolare e piena di pathos.
“Pushin’ against a stone” è uno di quei rari album che riescono a suonare contemporaneamente famigliari e sorprendenti allo stesso tempo. Un suono che rimette in gioco gli elementi primari del blues e del soul.


DIRTY DOZEN BRASS BAND, What’s going on 2006/ LP Pure Pleasure 2013
Dirty Dozen Brass Band celebra il popolo della natale New Orleans sopravvissuto con orgoglio all’uragano Katrina con un disco di bellissime canzoni di Marvin Gaye. Un suono a volte duro ed aspro, oscuro e arrabbiato emerge dai fiati dei musicisti, tutti straordinari. Si passa dal jazz-funk moderno al classico r&b attraverso strozzature brass, sax, trombone, tromba e quant’altro offrono una quantità di voci che si fanno carico di una speranza e di una rabbia universale. La protesta è di altissimo livello, sia per l’accadimento Katerina che per l’abbandono da parte dei Governi, delle classi nere più povere di New Orleans. Interessante segnale di miscelare passato e presente sono l’apertura e la chiusura di questo disco, entrambe affidate ai due rapper ospiti, Chuck D. in “What’s Going On” e Guru con “ Inner City Blues “. Marvin Gaye avrebbe approvato e forse ci avrebbe messo di nuovo la sua voce.
JOSÉ JAMES, Yesterday I Had the Blues: The Music of Billie Holiday 2lp 2015
Questo disco del 2015 ha avuto risonanza nelle riviste jazz per i chiari connotati mainstream. Il disco fu inciso per il centenario di Billie Holliday con un trio smagliante; Jason Moran, John Patitucci, Eric Harland. José James sa essere un jazz singer di prima grandezza e non solo un eclettico performer nei territori tra rap e soul. Un disco quasi austero nella sua essenzialità, con il cantante che incanta per varietà cromatica e spessore lirico, dimostrando di possedere il calore e la sensibilità per rileggere la tradizione. “Strange Fruit” su tutte anche per la rischiosa reinterpretazione, interessanti anche il duo con Moran in “Body and Soul” e il blues “Fine and Mellow” e la sorprendente interpretazione di “Lover Man”.
Nat Birchall, The Infinite (2023)
Nel panorama del jazz britannico, il sassofonista Nat Birchall rimane ancora una sorta di tesoro nascosto. Dopo aver guidato molti gruppi e registrato per artisti del calibro di Gondwana, Jazzman e Sound Soul and Spirit, Nat continua a portare avanti i suoi progetti di registrazione “one-semble”: questo album è il quarto in cui suona tutti gli strumenti.
The Infinite presenta sette composizioni originali basate su vari aspetti mistici dell’universo ed il titolo già indica cosa troveremo nel disco, Nat Birchall che si libra nello spazio “infinito” in una serie di esplorazioni spirituali che sono assolutamente sublimi. Il disco ha una sorta di atmosfera molto personale e piena di sentimento, forse perché Nat si occupa di suonare tutti gli strumenti. Il risultato finale, comunque, è molto più simile a quello di un gruppo dal vivo che lavora insieme in studio, il che rende il flusso dell’intero disco davvero magnifico, forse uno dei migliori dischi incisi da Nat. Il brano Kalaparusha Arha Difda prende il nome dal grande sassofonista tenore scomparso (Maurice McIntyre) che Nat considera uno dei musicisti più profondi e spirituali che lo hanno influenzato. Nel disco troviamo un suono spirituale che rende omaggio esplicito all’eredità della musica che Nat suona con molto rispetto.


