// di Marcello Marinelli //

1° Movimento Intro. Adagio

Sulle note di ‘All I know’ di George Benson, quindi su ‘blue note, sullo ‘scat’ all’unisono con la chitarra, di cui George Benson è un maestro e un caposcuola, la mia mente si distrae, evapora, diventa leggera e prende il via, vola come un uccello fuori dalla gabbia (maliziosi, i doppi sensi in questo caso sono sconsigliati). Appena alzato e per fare colazione è l’ideale. Il mio corpo rimane sulla terra ma i miei pensieri vagano liberi nell’aria sospinti dai riff dei fiati, ottoni e sassofoni. La fusion di Benson fonde il metallo grezzo cerebrale, voce e chitarra sono il prolungamento della sua anima che sgorga dalla sua bocca attraverso onde sonore. Della serie: uno scat, all’unisono con la chitarra al giorno, tolgono il medico di torno. Esco di casa.

2° Movimento Allegro con brio

Maggio afoso, appiccicoso, merdoso, oserei dire. Prendo lo scooter e giro per strade della città eterna. Dal traffico, dall’asfalto lacerato, come il nostro quadro istituzionale e dalle buche (non bastassero quelle delle donne) a fatica, si conquista la meta. È più difficile raggiungere la meta che la posizione eretta, non quella fallica, ma quella atavica del genere umano. Il giro del basso mi accompagna nelle mie peregrinazioni cerebrali e nelle esplorazioni metropolitane. Immagino di avere una telecamera posizionata sul manto stradale disconnesso, come il mio cervello quando trasuda emozioni, trasuda come il sudore dei trenta gradi che si insinua e fuoriesce dai pori lasciati aperti dall’epidermide. Il mio angolo visuale, in questo momento, è come quello della telecamera della formula uno, dove i bolidi rasentano i bordi dell’obbiettivo. L’asfalto emette una specie di fumo trasparente, fumi nocivi. Lo smog ci avvolge in una nube tossica e le mie ascelle, al confronto, sono elisir afrodisiaci; se mi salvo dall’esalazioni, devo riuscire sopravvivere anche alla SARS, la cosiddetta polmonite atipica, la terribile S.A.R.S, la moderna peste che sembra una sigla sindacale (Sindacato. Autonomo. Ribelli. Segnatidalvirus). La sindrome fa paura. Ho pensato al virus quando è venuta la broncopolmonite a mia figlia solo perché ero stato a mangiare al ristorante cinese, devo vedere meno telegiornali e più spettacoli d’evasione, tipo ‘Fuga da Alcatraz’ o ‘Papillon’ che più di evasione di così non si può. Non mi devo far condizionare dalla stampa martellante e rimanderò il viaggio del paese della grande muraglia a tempi migliori. Torniamo ai fatti di casa nostra, almeno per adesso, lo smog e il traffico, le polveri sottili e il monossido di carbonio. Ogni semaforo della città eterna come la griglia di partenza della formula uno. Si aspetta intrepidi il verde, quando si ha tempo di aspettarlo, quando non si va di fretta e soprattutto quando si ha voglia di aspettarlo. Nessuna regola, nessun condizionamento esterno, del resto non siamo il paese delle libertà? (W la libertà). Il semaforo rosso è un optional, un consiglio. I motorini tutti ordinati e in fila? Seeeee! Ogni motorino che non passa con il rosso e si ferma al semaforo sorpassa l’altro, ognuno sorpassa l’altro, si occupano le strisce pedonali ormai sbiadite, un lontano ricordo dei tempi dei pedoni (c’era una volta il pedone come il west), le strisce pedonali non si vedono si immaginano. Assisto da spettatore ad uno spettacolo continuo all’aria aperta, uno spettacolo di avanspettacolo, ad uno scambio di invettive e di battute fulminanti, tutti contro tutti. Il dialogo tipico tra motorizzati: “’Ndo cazzo stai annà? Nun lo vedi che c’ho la precedenza?” L’altro risponde indignato:” La precedenza è la mia e poi do sto annà so cazzi mia e fatti li cazzi tua” (‘Sign of the times’, Prince aveva già capito tutto molto tempo prima). Quando non ci scappa qualche coltellata finisce tutto a tarallucci e vino con un solo grido, un solo allarme ‘W la libertà e la democrazia’. Nel caso di composizione bonaria i due ex litiganti esclamano “Scennemo da sti cazzi de trabbiccoli e annamose a prenne ‘na cosa ar bar, così famo pace. La scena è surreale anche perché non contenti di andare al bar a suggellare la tregua normalmente si prendono anche il mignolo l’un l’altro e intonano, dopo l’introduttivo ‘W la libertà’, anche un liberatorio e pacifico ritornello “Mannaggia er diavoletto che c’ha fatto litigà, pace, pace e libertà e coi soldi de papà ce compramo er baccalà”, muovendo i mignoli e le braccia connesse su e giù a ritmo di filastrocca. Mia figlia Marzia di tre anni è divertita quanto me e vuole uscire dall’abitacolo, quando invece dello scooter uso la macchina, e partecipare a questo giuoco all’aria aperta, la strada come asilo nido universale. Ora cambio prospettiva, posiziono la telecamera mentale sul casco della mia testa o del mio capoccione, ‘Roma capoccia de sto mondo infame’, in sella al mio fido scooter. Mentre guido qualsiasi opzione va bene, destra, sinistro, centro ovvero qualunquismo stradale; l’importante però è arrivare subito, arrivare prima. Mi domando: “Ma prima de che?” e poi mi rispondo:” prima e basta, subito e basta”, il subito e il prima non si discutono, si amano. Serpentine, slalom, la strada come piste sciistiche. Il mio stile alla guida dello scooter ricorda quello del grande Alberto Tomba campione di sci, ma se sbagli ‘so cazzi’, la strada diventa una ‘tomba’ e io sono un centauro moderato, immaginatevi i centauri estremisti. Si procede a zig e zag, sono in un videogame. Se non schivo le macchine, l’eventuale collisione e la caduta non sarà priva di conseguenze. Quando passo veloce tra le macchine la mia fantasia mi fa pensare che un ignaro automobilista, per un qualsiasi motivo apra la macchina e io come nei cartoni amati, non faccio in tempo a frenare e come nei cartoni animati vedo la mia sagoma in evidenza stampata sullo sportello appena aperto. Gocce di sudore mischiate a scariche di adrenalina rendono il viaggio elettrizzante. Arrivo a destinazione provato ed esausto, invecchiato di dieci anni, altri cinque viaggi così e morirò prematuramente. Sono talmente sfinito che non ho energie per lavorare (certo però che ogni scusa è buona). La puzza dello smog mi avvolge come la nuvola di pioggia di Fantozzi e la gente mi evita; penso tra me e me (oggi devo avere una brutta cera), invece è quella maledetta puzza dei tubi di scappamento impregnata nei miei vestiti; scappano tutti da me anche i tubi di scappamento, al che gli faccio:” Tubbi di scappamento!!!??? (sì, ‘tubbi’ con due ‘B’ perché so incazzato) ma do’ cazzo scappate, prima m’affumicate e poi scappate?”. Come dite?? Era già tutto scritto nella vostra parola ‘scappamento’ che scappavate? Vabbè non capisco ma mi adeguo. Le infrazioni si sprecano come l’acqua alle fontanelle, praticamente è tutta un’infrazione da quando si parte da casa; impossibile non resistere al fascino indiscreto dell’infrazione. Il semaforo rosso è un ‘optional’, il diritto di precedenza non è un fatto oggettivo ma una questione soggettiva, se sei di umore giusto lo concedi altrimenti ‘mancopegnente’; della serie “nun passi neanche te fai viola in faccia”, quindi, o accetti la prepotenza o prendi er cricc e jai de dai ‘na criccata in testa. Io, pacifista da sempre, ignoro le provocazioni perché non mi va di darle le criccate né di riceverle sul cranio, sennò mi viene il mal di testa e poi devo prendere il ‘moment’. E che dire poi della figura tipica dei ‘pedoni kamikaze’ che attraversano la strada col rosso, noncuranti delle automobili che sopraggiungono, che hanno fatto il pieno di frustrazioni sulle strisce pedonali che ovviamente i guidatori di tutti i mezzi a motore ignorano e rendono la vita dura a chi cammina. I pedoni spinti senza nessuna causa politico-ideale per giustificare il tragico gesto di gettarsi e farsi esplodere contro le scocche dei mezzi a motore circolante, della serie:”Fatece largo che passamo noi, sti pedoni de sta Roma bella, semo sagome fatte cor pennello e l’automobilisti famo incazzà e l’automobilisti famo incazzà” Quando eccezionalmente una macchina si ferma per dare la precedenza a un pedone che attraversa la strada, il pedone guarda esterrefatto l’evento unico che si compie e comincia a ringraziare il guidatore con ampi gesti di giubilo e srotola sull’asfalto il tappetino e comincia a pregare Allah anche se è cristiano, perché solo la compresenza del Dio mussulmano, cristiano ed ebraico rende possibile il verificarsi di un evento così straordinario. La mattina presto già tutti esauriti, stressati e incazzati. Tutti contro tutti: gli automobilisti contro gli scooteristi e i motociclisti, i tassisti contro gli automobilisti, gli scooteristi e contro gli autisti dei mezzi pubblici, i pedoni kamikaze contro gli automobilisti e contro tutti i mezzi corazzati e anche contro i ciclisti. È un crescendo di intensità, sembra essere su un set di un film di azione americano, mancano solo gli inseguimenti e gli incidenti spettacolari. Tralasciando altre figure mitologiche del traffico cittadino romano come i parcheggiatori abusivi e i vigili urbani, detti anche ‘pizzardoni’, sogno e desidero di viaggiare in altro modo, con i mezzi pubblici. Prendo il treno Roma-Guidonia che mi porta a Roma Tiburtina in vagoni stipati fino all’inverosimile. Seguo la massa delle persone che si dirigono inquadrate come un esercito sul campo di battaglia verso l’agognata metro B. Una volta entrato a fatica nel vagone del treno mi stringo in un abbraccio universale con altre migliaia di persone. Questo abbraccio soffocante mio malgrado può essere di tipo pacifico e sei talmente vicino che in alcuni momenti scatta l’attrazione fatale e fai all’amore sfruttando l’occasione propizia e la posizione obbligata oppure di tipo conflittuale, e allora desideri accoltellare all’addome la persona che non si scosta dall’entrata mentre tu stai per uscire. Poi arrivo alla stazione Termini, il cuore e l’anima pulsante della metropoli ‘underground’. Scendo nei cunicoli, insieme alla moltitudine che non mi molla un attimo. Mentre mi dirigo verso la linea A, sento la voce della ragazza con cui ho fatto all’amore sulla linea B che mi urla: “Almeno dimmi come ti chiami. Come facciamo se rimango incinta?”. Io, che fatico a rispondere per la marea umana che mi spinge oltre, le urlo:” Mi chiamo Stanislao ma non abbiamo deciso consapevolmente di fare all’amore, è stata colpa della massa quindi te la devi sbrigare da sola e poi visto che a me capita una volta ogni due giorni di unirmi in un abbraccio erotico e per il calcolo delle probabilità ti capiterà anche a te nella stessa misura, non sai con precisione chi possa essere il padre. Tu come ti chiami?”. “Io mi chiamo Debora. Hai ragione se dovesse malauguratamente succedere di rimanere incinta dovrei fare il test a decine di persone. Speriamo non succeda. Ciao Stanislao. Alla prossima”. “Certo speriamo non succeda ma tu prendi la pillola che è meglio, non si sa mai. Ciao Debora, se beccamo in giro”. Certo, rifletto, i mezzi pubblici si possono anche trasformare in mezzi ‘pubici’. Soddisfatto di questa meravigliosa battuta, prendo la metro A facendo attenzione a non ripetere l’avventura erotica della linea B, non sarei in grado a distanza così ravvicinata a ripetermi, magari al ritorno. Mi stringo comunque alla massa non rischiando di morire di solitudine e arrivo all’agognata fermata Lepanto. Vado alla fermata dell’autobus del 70 o 30 in direzione di Piazzale Clodio. Sono un po’ triste perché il viaggio iniziato un’ora e mezza fa sta per finire. Giunto alla meta e ripensando al viaggio in macchina o in scooter che ormai è solo un vago e indistinto ricordo e un incubo in lontananza, soddisfatto scendo dall’autobus e preso da un’incredibile sensazione di benessere e di sollievo mi dico: “Per fortuna che a Roma esistono anche i meravigliosi mezzi pubblici”.

3° Movimento: Lento

Chaka Chan con Me Shell N’Dge Ocello introdotti dalla voce suadente della mia amica Dj Susy B a Radio Centro Suono con la sua ‘Luonge’ di qualità che fuoriesce dalla mia ‘Radiona’ nel mio meraviglioso posto di lavoro, ovvero il Tribunale Penale di Roma, i miei CD che porto sempre con me, le liriche soul di R’ Kelly, le metriche rap degli Outkast, la compilation electro-jazz ‘Saint-Germain-des- Pres Cafè II, il disco dal vivo di Diana Krall o le litanie etniche di Nour Eddine o le volate soul-jazz dell’organo Hammond di Jimmy Smith, quindi, in compagnia della mia amante preferita ‘La Musica’, dimentico le polveri nocive, il traffico, lo smog, la S.A.R.S, i mezzi pubblici, lo scenario politico e mi lascio andare al dolce oblio dell’esistenza e cerco di interagire con le vostre testoline che tanto mi intrigano