// di Gianluca Giorgi //

Roland Haynes, 2nd Wave (Black Jazz Rec. 1975 ristampa 2020)
La Black Jazz Records è stata una casa discografica indipendente, fondata nel 1969 e purtroppo presto defunta nel 1975, diretta da musicisti/produttori afro-americani che negli anni ’70 ha rappresentato un nuovo, interessante (ma sottovalutato), laboratorio musicale, ossia un nuovo modo di fare del (modern) mainstream jazzistico afro-americano miscelato con ritmi e umori derivati dal soul, dal funk ma anche dal free, contribuendo ad allargare il campo di certa commistione linguistica molto trasversale in atto nel jazz in quei creativi anni. Questo è un album d’impressionante “Fender Rhodes jazz” suonato da Roland Haynes, originariamente pubblicato su Black Jazz Records nel 1975, e ora ristampato da Real Gone Music. Ottimo!

Cilla Max, La flute des mornes vol. 1 (1981 ristampa 2017)
Originariamente pubblicato nel 1981, il primo dei due album ”Les flutes des mornes” di Max Cilla. Nato nel 1944 sull’isola della Martinica, il musicista afrocaraibico Max Cilla ha dedicato la sua vita artistica alla rinascita ed alla valorizzazione del flauto di bambù tradizionale, il cui impiego era caduto in disuso nella prima meta’ del ‘900; egli ha revitalizzato lo strumento, suonandolo in canzoni di sua composizione, accompagnato da strumenti a percussione tradizionali dell’isola, ed influenzato da ritmi cubani e latini. In questo primo album, il flauto e le percussioni tradizionali sono accomoagnate da una sezione di strumenti moderni formata da basso, batteria e piano, attraverso cinque lunghi brani strumentali nei quali risalta in particolare la coesistenza fra il delicato flauto di bambù, dalle splendide sonorità liriche e delicate, e l’energia e le sincopi delle percussioni, con il piano che dà leggeri tocchi jazz in brani come ”Crepuscule tropical”. Un disco di affascinante ed originalissima ”world music”, che riflette la ricchezza culturale della musica della Martinica.

Batsumi, Omonimo (1974 ristampa limitata a 500 copie, vinile rosso 2015) Anche durante l’oltraggiosa oppressione dell’era brutale della storia sudafricana nota come Apartheid, la musica sudafricana prosperò. Per i musicisti locali sudafricani, che operavano sotto la minaccia della violenza di stato, sfondare il pubblico europeo e americano è stato molto più difficile. Da questo ambiente difficile è venuto il debutto omonimo della band di Soweto Batsumi, uno degli album jazz più insoliti e lussureggianti della regione. Ristampato per la prima volta dall’etichetta britannica / sudafricana Matsuli nel 2011 e recentemente ristampato su vinile rosso trasparente, Batsumi si trova accanto ad album eccezionalmente rari che superano di gran lunga l’hype generato dalla loro rarità. Batsumi è stato ispirato dal Black Consciousness Movement della fine degli anni ’60, che era guidato dall’attivista anti-apartheid Steve Biko, i cui scritti e il famoso slogan “Black is Beautiful” cercavano di dare potere ai neri sudafricani. Il movimento era un’affermazione di orgoglio, e il jazz indigeno e crudo di Batsumi è pieno dello stesso senso di sereno amore predicato da Biko. Forse l’elemento più singolare di Batsumi è il modo in cui mescola jazz e musica folk indigena sudafricana. La voce è in Zulu, Xhosa, Sotho e Shangaan, e i testi coprono una vasta gamma di argomenti: eroi (“Moshanyana”), ascendenza (“Empondoweni”) e provvedere alla propria famiglia (“Itumeleng”). A differenza dei loro contemporanei che hanno fatto jazz indigeno, ma hanno scritto testi più esplicitamente politici – i Batsumi sono meno politicizzati. La loro musica è si politica, ma usa la poesia e la grazia per raggiungere i suoi obiettivi retorici piuttosto che l’inno e lo slogan. Per Mothopeng e gli altri membri, cantare nelle lingue native fondendo musica folk indigena e jazz era intrinsecamente politico, una conferma musicale di dignità. Vent’anni dopo la caduta dell’apartheid, Batsumi rimane sublime e la sua “potenza” non è affatto svanita nel corso degli anni.

Noel Mc Ghie & Space Spies, omonimo (1975 ristampa 2015)
Riedizione di una vera rarità (l’originale ormai è molto costoso), il primo e unico disco inciso dal percussionista Noel McGhie, uscito in Francia nel 1975 per l’etichetta privata di culto Disques Esperance! È un viaggio space jazz piacevolmente bizzarro, che spruzza funk dappertutto, con un tocco di fusion. Ristampa con copertine incollate, vinile 180g. limitata a 1000 copie, già fuori catalogo e diventata abbastanza costosa.

Junius Paul, Ism (International Anthem 2lp 2019)
La scena jazz di Chicago degli ultimi anni è sempre in continuo fermento, foriera di idee e progetti: una comunità forte, collaborativa di musicisti, artisti legati tra loro, che ha dato vita a tanti circoli creativi, compositivi che spesso (o quasi) passano da un’etichetta discografica come la International Anthem. È il caso di “Ism”, disco d’esordio da solista di Junius Paul. Junius prova ad essere letteralmente un ponte tra le diverse generazioni della Chicago avanguardista, suonando assieme a musicisti straordinari come Makaya McCraven (che ha anche prodotto diversi brani di “Ism”) e alcuni gruppi di Roscoe Mitchell (The Art Ensemble of Chicago). Nel disco troviamo tutto quello che ha influenzato il contrabbassista: dal jazz d’avanguardia, al straight-ahead jazz, al gospel, al soul, all’hip-hop e altro ancora: è una perfetta sintesi di musica del passato con le sonorità del presente e del futuro. Ottimo per i fan di Makaya McCraven, Angel Bat Dawid, Ben LaMar Gay, Irreversible Entanglements, The Art Ensemble of Chicago, Shabaka Hutchings.