// di Guido Michelone //
Assoli di china. Tra jazz e fumetto (2011), Il jazz dentro. Storia e cultura nel fumetto a ritmo di jazz (2020) e Mingus (2021): tre libri bastano al ‘giovane’ friulano per diventare quasi una star nell’ambito di critici e scrittori che, a vario titolo, si occupano di jazz: in realtà tutto questo è anche frutto di una pluridecennale collaborazione al quotidiano «Il Manifesto» (e al supplemento «Alias di Roma in qualità di critico musicale, sempre però attento a quegli incroci fra il jazz e gli altri linguaggi artistici e mediali di cui, mai come oggi, si sente la necessità di farli confrontare e interagire. Con Flavio ecco per intero il nostro serrato confronto di pochi giorni fa per scoprire chi sia veramente un ‘autore’ che nel corso del 20’22 batte ogni record di presentazioni di libri, appunto con il ‘suo’ Mingus è presso decine fra librerie, biblioteche, festival, associazioni: è sine ullo dubio un traguardo invidiabile nella speranza che possa servire anche a tutti i suoi colleghi che ancora faticano a trovare un assessore, un bibliotecario o un libreria disposto o disponibile a voler presentare un volume sul jazz al posto del solito insignificante romanzetto che magari raggiungere pure la top ten dei testi più venduti. A Flavio mi lega il lavoro allo stesso giornale, il certo mood nordico (lui a Est io a Ovest), un’analoga passione per le arti visive, io espanse tra pittura e cinema, per il Massarutto, tra competenza e genialità, per tutto quanto attiene a strisce, vignette, comics, baloon, graphic novel.
D. Così, a bruciapelo chi è Flavio Massarutto?
R. Un appassionato della vita.
D. Mi racconti ora il primo ricordo che hai del jazz?
R. Era il 1981: Palazzetto dello sport di Vittorio Veneto. Ci arrivo con un gruppo di amici senza mai avere ascoltato nulla di jazz. Mi ritrovo seduto sul pavimento e un attimo dopo sono inondato da una performance di suoni, colori, danze di una potenza sconvolgente. Era la Sun Ra Arkestra. Sono uscito dal concerto completamente frastornato da un miscuglio di sensazioni contrastanti. Mi sono detto: io questo jazz lo voglio conoscere.
D. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a occuparti di jazz e fumetto?
R. Sono le mie due grandi passioni da sempre. Mi sono accorto che nessuno aveva mai studiato la loro relazione e allora l’ho fatto io. Tutto è cominciato con una serie di articoli per la rivista Jazzit, poi ho scoperto una miniera inesplorata e da allora non ho mai smesso di scavare.
D. A doverti definire ti senti più jazzologo o fumettologo??
R. Ormai le due cose sono inscindibili. Sono più di vent’anni che studio, rifletto e scrivo su entrambe.
D. Ma cos’è per te il jazz?
R. Quello che mi ha conquistato di questa musica è che io ci sento tutte le espressioni umane. Fa pensare, fa ballare, fa commuovere, fa gioire. Dovessi definirla con una parola direi che è una musica umanista.
D. Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
La prima cosa che mi viene in mente è: libertà. Il jazz mi ha sempre comunicato l’idea della libertà di essere e di relazionarsi. Naturalmente sappiamo che la pratica della libertà esige rigore, controllo, onestà.
D. Tra i dischi che hai ascoltato ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
R. Cambiano continuamente a seconda del periodo, dell’umore, di quello che sto vivendo.
D. E tre dischi che porteresti sull’isola deserta?
R. The Great Concert Of Charles Mingus di Parigi del 1964 di Charles Mingus; il cofanetto Never No Lament: The Blanton-Webster Band di Duke Ellington; Dogon A.D. di Julius Hemphill.
D. Quali sono stati i tuoi maestri nella cultura, nella vita?
R. Ho avuto la fortuna di incontrare tante persone che mi hanno insegnato e stimolato a crescere. Nella scuola, nel lavoro, nella scrittura. Poi ci sono coloro che sono stati dei maestri attraverso le loro opere, la loro vita. Tutti abbiamo film, libri, dischi che ci hanno aperto finestre sul mondo e su noi stessi. Non sarei quello che sono senza i film di Werner Herzog o i romanzi di Jack London ma nemmeno senza aver fatto attività politica, sindacale e culturale; in questi casi il maestro è collettivo, è la tua comunità. Per quanto riguarda la scrittura jazz decisivo è stato l’incontro con gli articoli e i libri di Luigi Onori. Il suo approccio al jazz è quello nel quale mi riconosco di più: attenzione alla musica ma intrecciandola saldamente agli aspetti culturali, sociali, politici, storici e antropologici. La lettura del suo Il Jazz e l’Africa è stata per me una epifania. Comunque penso che bisogna saper imparare continuamente, ogni giorno, perché è un processo che non finisce mai. Ma più di tutto impari dalle persone che ti amano e che ti sono vicine.
R. E i tuoi punti di riferimento sia nel jazz sia nel fumetto (a livello di solisti, autori, personaggi, ecc.)?
R. Per il jazz oltre a Mingus, Ellington e Hemphill sono stati e sono tutt’ora importanti per me Sun Ra, Billie Holiday, Louis Armstrong, Albert Ayler, Butch Morris. Tra i contemporanei William Parker e Henry Threadgill. Per il fumetto Hugo Pratt, Moebius, Hector Oesterheld, Alberto Breccia, Magnus. Tra i contemporanei Chris Ware, Joe Sacco, Ed Brubaker e Sean Phillips. I miei personaggi a fumetti preferiti: Corto Maltese e Ken Parker.
D. Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di critico?
R. Per il fumetto è stato ricevere la Menzione Speciale del Premio Franco Fossati. Per il jazz è stato ricevere i complimenti da parte di uno dei critici che stimo di più in assoluto: Luigi Onori.
D. Dopo il successo con Mingus pensi di dedicarti ancora alla graphic novel? Ritieni che questo linguaggio possa contribuire alla conoscenza del jazz
R. È stata una bellissima esperienza perciò sì mi piacerebbe; naturalmente non dipende solo da me. Con il fumetto puoi parlare di qualsiasi cosa e per questo motivo lo ritengo un linguaggio molto utile alla diffusione e alla conoscenza del jazz.
D. Come vedi la situazione del jazz in Italia?
R. In generale ci sono tantissime occasioni di ascoltare jazz. La qualità è elevata. Io personalmente soffro della riduzione dei concerti nei locali che sono sempre state le palestre da dove uscivano le cose migliori. Adesso è tutto più spostato sulla didattica e sui festival e questo è limitante. Poi però ti capita di conoscere realtà come il Torrione di Ferrara e ti ritorna l’ottimismo e l’entusiasmo. La vedo molto male invece per quanto riguarda la presenza del jazz nei media: è una situazione sconfortante, il jazz è praticamente invisibile e quando c’è è raccontato nel modo sbagliato. Il livello qualitativo della critica e della divulgazione è scaduto terribilmente. Per fortuna c’è stato un riconoscimento istituzionale da parte del Ministero della Cultura che io giudico molto positivamente. Altro ragionamento è quello che riguarda il pubblico ma questo attiene alla situazione della cultura tutta.
D. E più in generale della cultura in Italia?
R. Appunto. Il jazz vive nella società e subisce il clima generale, che non è buono. Non lo è per precise scelte politiche e purtroppo temo peggiorerà. Ci vuole grande tenacia e una visione innovativa da parte degli operatori culturali.
D. Cosa stai progettando di nuovo per l’immediato futuro?
R. Oltre alla scrittura per il manifesto e il suo supplemento culturale Alias e la direzione artistica di San Vito Jazz sto lavorando ad un nuovo e ambizioso progetto in qualità di curatore su jazz e fumetto che spero si possa concretizzare entro l’anno.
