// di Guido Michelone //
D. Così, a bruciapelo chi è Dado Moroni?
R. Credo una brava persona, in primis un appassionato di musica che desidera suonare sempre ciò che gli fa battere il cuore, con la voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo, mettersi in gioco, condividere la sua passione con più gente possibile, soprattutto gli allievi. Un po’ comico un po’ orso.
D. Dado, mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
R. Difficile rispondere… La musica è sempre stata attorno a me sin da quando sono nato… Jazz soprattutto, ma anche lirica (per via del nonno tenore), classica, sou1, rock… Tutto. E poi IL ricordo un po’ annebbiato ma indelebile del primo concerto a cui mi portò mio padre… Avevo due forse tre anni. Benny Goodman Big Band al Cinema Teatro Impero di Varese: che botta! Poi a sette anni vidi Earl Hines, Teddy Wilson e da lì…
D. Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?
R. Sin da quando avevo quattro anni suonavo il pianoforte che i miei avevano acquistato per mia sorella e che lei poi aveva un po’ abbandonato per la chitarra. Suonare per me era esattamente naturale, una cosa che si fa normalmente: svegliarsi, fare colazione, andare a scuola, pranzare, suonare, studiare, giocare, suonare ancora un po’, cenare, suonare, dormire. A tredici anni ho incontrato Franco Cerri che mi ha chiamato prima in radio e poi in TV dove ho conosciuto anche Gianni Basso, Sergio Fanni, Carlo Sola, Carlo Milano, Sergio Rigon , Flavio e Franco Ambrosetti. Cerri mi ha presentato a Tito Fontana che ha prodotto il mio primo LP per la dire Don Julius Farmer e Tullio De Piscopo. E da lì ho cominciato a suonare nei club del nord-est contemporaneamente allo studio. Mi sono iscritto poi in Giurisprudenza e un po’ di tempo dopo Basso mi ha chiamato con Dizzy Gillespie. È stato lui che mi ha consigliato di fare il musicista a tempo pieno… Perché in giro c’erano giù troppi avvocati! E ho deciso.
D. Perché, Dado, proprio il pianista?
R. Il pianoforte è sempre stato in casa… Era naturale che mi avvicinassi. Inoltre mia madre, che da giovane aveva suonato la fisarmonica, fu la prima a darmi un’infarinatura sugli accordi e la tastiera in generale. Ma in realtà io mi innamorai del contrabbasso e per un po’ volevo fare solo questo! Ero troppo giovane però e senza patente non ti puoi muovere con un contrabbasso… Troppo difficile in autobus, taxi, treno. Così sono ritornato al pianoforte, pur continuando a suonare il basso ma senza quella frequenza di un tempo.
D. Ma cos’è per te il jazz?
R. In grido di libertà, di creatività, una necessità di espressione come l’aria che respiriamo. Nel rispetto delle tradizioni di coloro che l’hanno creato.
D. Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
R. Come sopra: libertà, condivisione, una preghiera, un mantra che ci avvolge e ci porta in una dimensione di dolcezza, forza, urlo e sul suolo, pianto di gioia, un ritmo che non deve mai mancare, quelle blue notes che, se non ci fossero, renderebbero paradossalmente la musica più triste!
D. Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?
R. Ah, ah, ah ah! A volte si a volte no… Beh, sicuramente il primo, a sedici anni, che evoca un po’ l’entrata in questo magico mondo della musica. Ero piccolo e senza la minima scaltrezza, ma riascoltandolo vi trovo una spregiudicatezza e una temerarietà di cui non sarai capace oggi. Poi il mio disco Solodado in piano solo che è interamente pensato, ideato da me e The Cube con Tom Harrell… Entrambi i prodotti dalla Abeat, rappresentano esattamente chi ero io in quel momento.
E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?
Qualsiasi cosa di Ellington, gli Hot Five di Armstrong, Solo Masterpieces di Art Tatum, Ben & Sweets (quintetto pazzesco), Portrait In Jazz di Bill Evans e Kind Of Blue di Miles. Se poi ne devo scegliere solo uno… Ben & Sweets della Verve perché rappresenta tutto ciò che c’è stato fino ad allora e contiene germogli di quello che sarebbe arrivato.
D. Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
R. I miei genitori, Flavio Crivelli (mio maestro di pianoforte), Franco Cerri, Tito Fontana, Muhammad Alì, Lorenzo il Magnifico, Jimmy Woode, Ray Brown.
D. E i pianisti che ti hanno maggiormente influenzato?
R. Troppi! Fats Waller, Earl Hines, Art Tatum, Count Basie, Erroll Garner, Bud Powell, Oscar Peterson, Georghe Shearing, Ahmad Jamal, Bill Evans, Wynton Kelly e McCoy Tyner. Ma ce ne sono altri…
D. Dado, ma qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
R. Lavorare con Dizzy Gillespie, con Ron Carter, con Ray Brown, con Joe Henderson, con Tom Harrell… Dizzy e Tom mi hanno veramente aperto nuove porte. Ma il momento più bello deve ancora arrivare.
D. Qual è la tipologia di musicisti con cui ami collaborare?
R. Coloro che rispettano, conoscono e amano la tradizione e allo stesso tempo guardano avanti sfruttando le proprie solide radici per esplorare nuovi angoli…
D. Come vedi la situazione della musica in Italia?
R. La Musica sta bene, benissimo. Ci sono tantissimi giovani supertalentuosi di altissimo livello internazionale… Potrebbero suonare dovunque… Purtroppo non ci sono abbastanza strutture che possano permettere loro di esprimersi… Sì, abbiamo festival e rassegne estive importanti. Bene! Ma in inverno?
D. Anche la cultura italiana in generale sta bene?
R. Rispetto ad altri paesi europei siamo indietro di cinquant’anni. In questi ultimi anni né la destra né la sinistra hanno fatto qualcosa di veramente serio nei confronti della cultura, a parte qualche sporadica iniziativa del singolo. Siamo il ‘paese della cultura’, abbiamo potenzialità enormi, ma prigionieri di gente che antepone il calcio o Il grande fratello a tutto il resto. I giovani scappano all’estero. E fanno bene.
D. Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
R. Un bel tour in trio con Eddie Gomez e Joe La Barbera per un tributo al mondo di Bill Evans da metà maggio fino ai primi di giugno 2023. Poi ho questo progetto che abbiamo portato già l’anno scorso a Umbria Jazz, Itamela, un quartetto con due meravigliose musiciste, la chitarrista napoletana Eleonora Strino, la contrabbassista cubana Yanara Reyes McDonald ed Enzo Zirilli alla batteria. Un progetto che attraverso un ideale viaggio in nave da Genova fino al ‘nuovo mondo’, vuole descrivere e celebrare il valore immenso della donna nella società e nelle vite di tutti noi.
