// di Gianluca Giorgi //

Ictus (Centazzo, Battiston, Feruglio) (1974 ristampa ristampa in 500 copie del 2005)
Un aneddoto, il disco è parallelo al periodo in cui Centazzo lavorava con Gaslini ed è costato l’amicizia fra Centazzo e Battiston. Questo perché uscì solo a nome del primo ma era a tutti gli effetti un disco in duo, con Franco Feruglio ospite come bassista. Fu un equivoco dovuto ad un errore della PDU. La ristampa della Wah-Wah Records, invece in copertina ha tutti e tre i nomi per volere di Centazzo.
Originariamente uscito nel 1974 (la prima ristampa del 2005 in vinile in un’edizione limitata di 500 copie) fu la prima pubblicazione di Centazzo, un oddessey jazz avantgarde in forma libera su cui iniziò già a sperimentare suoni generati elettronicamente. Coraggioso batterista e percussionista, in questo album Centazzo suonò anche flauto, sintetizzatori e cantò, insieme ad Armando Battisti alle tastiere, ai due in alcune tracce si è unito Franco Feruglio al basso e contrabbasso. Il disco è stato spesso paragonato a Et Cetera di Soft Machine o Wolfgang Dauner. Un vero capolavoro…. musica improvvisata da sogno con influenze orientali ed elettronica!

Norma Winstone, Edge of Time (1972 ristampa limitata a 500 copie del 2012)
Nata a Londra, Norma Winstone iniziò a far parlare di sé alla fine degli anni ‘60, mentre sbarcava il lunario con Roland Kirk, al Ronnie Scott club, cantando standards. Di lì a poco però, fu coinvolta nel movimento d’avanguardia londinese e iniziò così una personalissima sperimentazione delle tecniche vocali, imperniata su un uso “strumentale” della voce. Nel 1971 è stata premiata come migliore cantante al Melody Maker Jazz Poll, conseguentemente, ha registrato il suo primo album per la Decca, “Edge of Time”, che – nonostante sia fuori catalogo da molto tempo – è ancor oggi considerato un vero e proprio cult per i collezionisti. Alla fine degli anni ‘70 assieme a John Taylor e a Kenny Wheeler ha dato vita al gruppo “Azymuth”, definito da Richard Williams del Times, «uno dei più delicatamente equilibrati e immaginativamente concepiti di tutti i gruppi da camera del jazz contemporaneo.

Il disco in questione è il primo della cantante, nella ristampa del 2012 (per la prima volta in vinile in tiratura limitata a 500 copie). In questo primo acclamato album solista la cantante inglese venne accompagnata da alcuni dei più importanti e talentosi esponenti del jazz britannico, per citarne alcuni: Art Themen (sassofono tenore), Alan Skidmore (sassofoni), Tony Levine (batteria), Kenny Wheeler (tromba), John Taylor (piano), Paul Rutherford (trombone eufonio), insieme mettono in risalto il talento fuori dell’ordinario della Winstone, cantante in possesso di una vasta competenza nella tradizione jazz ma aperta anche alla sperimentazione. La Winstone è in possesso di una voce limpida e di una notevole capacità di improvvisazione, rinomata è in particolare la sua abilità con il canto senza parole. Nel disco si intrecciano questi elementi così diversi, il canto tradizionale, quello senza parole, passaggi più lirici e tradizionali, astratte e sfuggenti derive di jazz sperimentale fra post bop e free. Il tutto per confezionare un gran bel disco, complice anche la bravura dei musicisti.

Dorothy Ashby with Frank Wess, Hip Harp 1958 ristampa 2004)
Una delle più considerate suonatrici di arpa in ambito jazz, Dorothy Ashby (1932-1986) portò l’arpa come strumento di improvvisazione nel jazz, al di là dell’uso precedente come novità o strumento orchestrale di sfondo. Ha dimostrato che l’arpa poteva suonare il bebop con la stessa abilità degli strumenti comunemente associati al jazz. Musicista creativa ed eclettica, non disdegnò di mescolare il jazz con influssi orientali e soul/r’n’b; le sue prime incisioni come leader risalgono alla seconda metà degli anni ’50, ed è stata anche una stimata strumentista in lavori di altri colleghi. Originariamente pubblicato dalla Prestige nel 1958, inciso al Rudy Van Gelder Studio, è un affascinante ed elegantissimo album di bop jazz che ha per protagonista uno strumento alquanto inusuale, l’arpa, oltre al flauto (Frank Weiss); lo strumento a corde conferisce atmosfere quasi fiabesche ai brani, senza perdere mai di vista l’anima jazz della musica suonata dall’ensemble, davvero un originalissimo contrasto.

Thelonious Monk, Underground 1968
L’idea della copertina, che vinse un Grammy Award, venne dal marketing della Columbia, che riuscì nell’intento di farlo amare in ambito extra-jazzistico. Se esiste un disco di Thelonious Monk etichettabile come sottovalutato, “Underground” è senza dubbio il candidato principale. “Underground” avrebbe dovuto essere un nuovo inizio per Thelonious Monk. Il disco ebbe una discreta sotto il profilo strettamente musicale, ma paga lo scotto di essere uscito fuori tempo massimo, quando la carriera del Monaco iniziava a declinare. Oltremodo, il jazz aveva già smesso da tempo di essere musica “popolare”, vuoi per una riappropriazione della sua essenza da parte degli afroamericani più intransigenti (free jazz, New Thing, il mutato approccio di Miles Davis), vuoi per l’interesse tanto dei giovani bianchi, quanto degli afro-americani verso l’immediatezza del rock’n’roll, a partire già dalla seconda metà dei ’50 con l’avvento di Elvis e successivamente con l’esplosione planetaria dei Beatles; dal canto loro i giovani di colore erano conquistati dalla “nuova musica” prodotta da Motown e Stax e dal funk di James Brown. Siamo nel 1967, anno caratterizzato dalla cosiddetta Summer Of Love, ma il ‘67 fu anche l’anno in cui vengono posate alcune fondamentali pietre miliari della musica del Novecento.