// di Gianluca Giorgi //
Mikolaj Trzaska-Slina, Ślina Trzaska (LP+8“ 2022)
La band di Breslavia Ślina torna con il suo terzo album in studio, questa volta registrato con Mikołaj Trzaska. Il krautrock e le improvvisazioni libere di natura psichedelica sono ancora il marchio di fabbrica di Ślina, ma il suono radicale e organico del sassofono e del clarinetto di Mikołaj Trzaska conferisce a questa musica un carattere completamente nuovo. Un suono pieno di sfumature, si passa dal silenzio e la delicatezza dell’ambiente, all’uragano e alla violenza, con motivi associati alla musica ebraica che Trzaska ha recentemente sperimentato nell’album “Goats’ ghost” uscito in estate. L’album uscito quest’anno, registrato nello studio Monochrom, costituisce la documentazione di questa fantastica collaborazione tra Mikołaj Trzaska, uno dei grandi innovatori del jazz in Polonia e co-fondatore della tendenza yass e la band di Wrocław Ślina, con la quale si è esibito molte volte dal vivo.
Per la stragrande maggioranza dell’album abbiamo a che fare con una lenta sospensione musicale, guidata da leggere sovraincisioni, percussioni dal groove sottile e droni che si estendono all’infinito, da brividi quelli suonati al contrabbasso. Ci sono anche sfumature orientali, con chitarre che richiamano quelle zone e sassofoni lamentosi. Il tutto crea un’atmosfera nebbiosa e sonnolenta, forse anche un po’ desolata. Questa non è una collaborazione della categoria di una band che accompagna un solista, le parti di Trzaska sono organicamente integrate nel tutto. Le 4 tracce dell’album sono intitolate come le loro lunghezze. La versione in vinile in edizione limitata a 66 copie è molto particolare, è composta, infatti, da un 12” ed un 8” per un totale di 20”. Un album intimo, meditativo con molta melodia, che invoglia l’ascolto.
Friedrich Gulda Und Sein Eurojazz-Orchester Feat. J. J. Johnson, Joe Zawinul, Eurosuite / Variations (1967 seconda stampa degli anni ‘70)
Originariamente pubblicato nel 1967 quest’album fu inciso da Friedrich Gulda (pianoforte) con la sua folta Eurojazz-Orchester e con gli illustri ospiti Joe Zawinul (secondo pianoforte) e J. J. Johnson (trombone). Registrato dal vivo nel 1966, l’album contiene due lunghissimi brani “Eurosuite” scritta da Johnson e “Variations” composta da Gulda; l’album è un interessante ed anche divertente esperimento di incontro fra il jazz e la musica classica moderna, guidato da un musicista, Gulda, che all’epoca era un profondo conoscitore di entrambi i mondi. L’austriaco Friedrich Gulda è ricordato come uno dei migliori pianisti del ‘900, nonostante la sua fama di eccentrico e di artista che amava uscire dagli schemi della musica classica, dalla quale proveniva. Dalla fine degli anni ‘40, infatti, egli si fece una reputazione inizialmente suonando acclamati interpretazioni di classici come Mozart, Beethoven e Bach, ma nel corso degli anni ‘50 si cimentò sempre più spesso anche con il jazz che lo portò a formare un suo ensemble: la big band Eurojazz-Orchester.


Pharoah Sanders, Pharoah (1977 ristampa 2008)
Sanders si fece notare negli anni ’60, collaborando con il grande John Coltrane negli ultimi e sperimentali lavori di quest’ultimo, ed indubbiamente risentì dell’influenza di Trane, oltre che mostrare affinità con un altro grande del free jazz, Albert Ayler. Quest’album pubblicato nel 1977 si compone di tre tracce, fra cui i ventuno minuti di “Harvest time”, che occupa tutta la prima facciata, un episodio senza batteria, dai toni contemplativi e gentili, molto cerebrale, in cui si alternano calmi monologhi di sax con patterns ritmici e melodici dai richiami mistici ed orientaleggianti, ed ottime parti di contrabbasso. I due brani sulla seconda facciata, arricchiti da organo, parti vocali e batteria, presentano un sound più vicino al soul jazz, ma anche percorso da una vena che sembra preannunciare atmosfere new age.
Bobby Hutcherson feat. Harold Land, San Francisco (1971 ristampa 2023 – 180 gr. – Blue Note Classic Vinyl Series)
Un sodalizio musicale tra il vibrafonista Bobby Hutcherson e il sassofonista tenore Harold Land di lunga data che portò nel 1971 all’uscita di questo splendido album. La band confezionò un suono muscoloso e che spesso sfiora i bordi della fusion, ma raramente la suona come ci si aspetta. Il tutto con un’immaginazione e una raffinatezza armonica tali da raggiungere la rara impresa di suscitare l’interesse dei fan del jazz tradizionale e del rare-groove. Un suono che tocca un’ampia gamma di influenze e che dona al disco un sapore distintivo. Fra i brani spiccano: “Goin’ Down South” con il suo ritmo incalzante, l’ipnotica “Prints Tie” e la trascendente “Procession”. È un peccato che Hutcherson non abbia esplorato di più questa direzione, perché San Francisco non è solo uno dei suoi migliori album, ma anche uno dei più attraenti e accessibili.

