// di Marcello Marinelli //

Un pugno dello stomaco, con inusitata dolcezza. Così è l’ultimo film di Danny Boyle, il regista scozzese, “The millionaire”, già famoso per “Trainspotting”, il suo precedente capolavoro, un film sulla tossicodipendenza. Dicevo un capolavoro, almeno per me lo è, un film dove odio e dolcezza, ingiustizia e solidarietà, lusso e miseria, comicità e dramma vanno a braccetto. Un film d’amore innanzitutto, sullo sfondo di un India, il vero “ombelico del mondo”, dove ogni cosa convive con il suo opposto. Mumbai (ex Bombai) è l’ambientazione naturale dove si svolge il film nella sua quasi interezza, con rapidi e folgoranti fughe in altri luoghi.

Uno di questi è il celeberrimo Taj Mahal, il monumento simbolo dell’india nello stato dell’Uttar Pradesh, luogo di pellegrinaggio di migliaia di turisti. Il più grande mausoleo al mondo fatto costruire dall’imperatore Shah Jahan in onore della sua seconda moglie Mumtaz Mahal, morta prematuramente, il più maestoso regalo postumo di un uomo al suo amore. Un esempio di amore sconfinato a corte. Un simbolo della magnificenza indiana, un monumento che ti lascia di stucco, nel suo splendore, nel lucido estremo dei suoi marmi levigati, nel suo essere cattedrale nel deserto, infatti intorno a questo capolavoro dell’arte Moghul, il deserto vero della pianura indiana e il deserto della ricchezza circostante. La città dove ha sede è Agra, un posto dove il tempo sembra si sia arrestato, sembra essere catapultati in un’altra epoca storica, un medio evo prossimo venturo, dove uomini, capre, mucche, cani, scimmie e vari altri animali vivono insieme come nell’arca di Noè. Ho visitato tre stati indiani, l’Uttar Pradesh, il Rajasthan e il Gujarat in tutti le medesime condizioni, tranne che per qualche rapido scampolo di modernità, l’India del boom economico è ancora per pochi.

La maggior parte della popolazione vive di niente, in milioni sulla strada, sui marciapiedi delle grandi città e delle piccole, nelle case fatiscenti e misere. Interi nuclei familiari sotto tende, nella migliore dell’ipotesi, ai margini dei marciapiedi, dove mangiano, si lavano e fanno i loro bisogni fisiologici. Mentre attraversavo con il pullman Nuova Delhi, ci si imbatteva in moltissime persone a fare la cacca ai bordi dei marciapiedi, d’altronde chi non ha casa la cacca in qualche parte la deve pur fare. Religiosità e materialismo, caos e quiete estrema, non violenza e sopraffazione, ecumenismo religioso e scontri inter-religiosi, tutto e il contrario di tutto. Solidarietà e individualismo, praticamente un concentrato ai massimi livelli, delle contraddizioni dell’uomo nella sua permanenza al mondo. Un paese affascinante, estremo, tollerante, un paese che non finisce di stupire, un paese che esaurisce gli aggettivi, un paese da vivere più che da descrivere, un paese unico, la più grande democrazia del mondo. Più di un miliardo di indiani, che fra alcuni anni saranno più numerosi dei cinesi. Un laboratorio politico, umano e religioso in movimento.

Nonostante la povertà estrema, i grossi problemi del più popoloso paese al mondo, gli sguardi delle persone sono inclini, al benevolo. La cosa che più rimane impressa sono i sorrisi delle persone, anche dei più diseredati, i sorrisi che ti si stampano in faccia e rimangono impressi come tatuaggi. La curiosità che ti accompagna, le continue domande, il chiedere l’elemosina, gli sguardi che ti spogliano, che quasi rimani senza respiro. La dolcezza e la diversità. I templi, il caos indescrivibile delle strade. I grattacieli (pochi), gli slum (tanti). Il cricket, bollywood, la musica, la danza degli zingari. Attraversare la strada al centro di Nuova Delhi è un’esperienza mistica. La conquista dello spazio è un imperativo categorico. Il più grande allevamento di vacche a cielo aperto, nelle tangenziali, nei cortili delle case, davanti ai negozi. I costumi tradizionali, gli induisti, i mussulmani, i jainisti, i buddisti, i cristiani, i sikh, i templi, le moschee, i sorpassi azzardati, il deserto, l’angoscia, il mare, le onde, la sporcizia, i carrettini stipati fino all’inverosimile, le biciclette, i una girandola di sensazioni, di odori, di colori da rasentare la follia. “India you’re under my skin”……..shhhhh qualche secondo di raccoglimento per uno dei personaggi più straordinari di ogni tempo, il mahatma Gandhi e la non violenza fatta arte e cultura e strumento politico e la sua città natale Porbandar e la sua umile ex dimora.

‘The millionaire’ sintetizza in maniera encomiabile questo tipo di emozioni, rende avvincente, angosciante, mirabolante, avventuroso, ciò che l’India, il “nostro ombelico del mondo”, produce. Una miscellanea, un intreccio insolubile e indecifrabile, di ciò che siamo al mondo, fatto di amore e odio, odio e amore, ricco e povero, spiritualismo e materialismo, caste, sottocaste, gruppi, sottogruppi, matrimoni combinati, amuleti, divinità, proibizionismo e permissivismo. Danny Boyle ha colto l’anima di quel subcontinente a ritmo di videoclip e di commedia, di tragicità e di amore, perché il film come quel paese, nonostante tutto esprime amore nelle sue forme più diverse. Come il Taj Mahal simboleggia la gloriosa storia d’amore dell’imperatore Shan Jahan e sua moglie Mumtaz Mahal svolta nel 1600 tra l’elite della società indiana, “the millionaire” simboleggia un’altra indimenticabile storia d’amore che si svolge nel film, negli slums di Mumbai, tra i due protagonisti Jamal Malik e Latika e richiama alla mente l’indimenticabile storia d’amore di questo nostro universo nella perenne ricerca di un equilibrio che difficilmente si raggiunge senza passare attraverso la parte più sofferta di ognuno di noi.