Tre volte vincitore di un Oscar, ha legato la sua fama a successi intramontabili, resi leggendari dalla voce di Dionne Warwick

// di Irma Sanders //

Mentre impazza il Festival di Sanremo, registriamo una grave perdita per il mondo della musica mondiale. Il compositore statunitense, maestro dell’easy listening e vincitore di tre Oscar, Burt Bacharach, è morto all’età di 94 anni, mercoledì 8 febbraio nella sua casa di Los Angeles per cause naturali. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla sua agente, Tina Brausam. Musicista e compositore da record ha deliziato milioni di persone con gli accattivanti arrangiamenti e le intramontabile melodie di «Walk On By», Magics Moments» e decine di altri successi. C’è anche un piccolo legame con l’Italia: nel 2009 produsse la canzone «Come in ogni ora» che Karima portò a Sanremo nella categoria Nuove Proposte, mente, lo stesso anno, scrisse «Something That Was Beautiful» per Mario Biondi. Le sue canzoni, molte delle quali scritte in sodalizio con il paroliere Hal David, sono diventate tutti successi d’alta classifica, in particolare quelle interpretate da Dionne Warwick. Tra i tandem autorali solo Lennon-McCartney, negli anni ’60, rivaleggiavano con Bacharach-David in termini di traguardi commerciali. Tra il dal 1967 e il 2005, Bacharach ha collezionato otto Grammy in qualità di compositore, arrangiatore e interprete.

Gianni Morelenbaum Gualberto ha scritto: «Scompare con Burt Bacharach il genio che ha portato a compimento la trasformazione del pop-song americano in una squisita forma di liederistica popolare, in cui i versi di Hal Davis non meno superbamente illustravano i nuovi sogni, i nuovi desideri, i nuovi luoghi della Middle Class americana. Con elegante, ironica, sentimentale sensibilità musicale e una vena ritmica argutamente irregolare, Bacharach ha consacrato la tradizione ebraica dei grandi songsmith di Broadway: la sua è stata l’ultima voce di un sofisticato immaginario urbano tutto americano, che attraverso pellicole, commedie, atti teatrali ha illustrato in modo malinconicamente e soffusamente aderente la vitalità, il romanticismo metropolitano delle grandi città americane prima dell’11 di settembre. Egli è stato per la nostra epoca quello che Stephen Foster, Irving Berlin, George Gershwin, Cole Porter, Riccardo Rodgers sono stati per la loro».

Burt Freeman Bacharach nasce nel 1928 a Kansas City in una famiglia di ebrei tedeschi, studia alla McGill University e alla Mannes School of Music. Negli anni Cinquanta è stato pianista, arrangiatore e direttore della formazione che accompagnava Marlene Dietrich nei suoi spettacoli. La sua carriera inizia ufficialmente nel 1954 ma il primo successo arriverà nel 1958 con «Magic Moments» cantata da Perry Como, con la quale vince il primo disco d’oro certificato dalla RIAA (il premio era stato istituito proprio nel 1958), saldando la fortunata collaborazione con il paroliere Hal David, durata per quasi vent’anni.

Da quel momento inizia un’inarrestabile scalata internazionale con la produzione di dischi entrati nella storia della musica del Novecento, tra singoli e colonne sonore di film famosi. Il suo repertorio consta di quarantotto successi nella Top 10, nove numeri 1 e oltre cinquecento composizioni, le quali hanno abbracciato il pubblico di diverse generazioni, facendo del musicista americano uno dei più importanti compositori di ogni epoca. Personaggio fortemente carismatico è riuscito a superare il limiti generazionali scrivendo alcune fra le più acclamate canzoni del secolo scorso. Bacharach ha vinto tre Oscar, ricevendo due statuette nel 1970 per la colonna sonora di «Butch Cassidy» e per la canzone «Raindrops Keep Fallin’ On My Head» (condivisa con David Hall). Nel 1982, insieme all’allora moglie autrice di testi, Carole Bayer Sager, ha vinto l’Oscar per «Best That You Can Do», il tema di «Arthur». Tra le altre sue colonne sonore di film si ricordano «What’s New, Pussycat?», «Alfie» e la parodia di James Bond del 1967 «Casino Royale» contenente «The Look of Love», cantata da Dusty Springfield.

Le parole di Gianni Morelenbaum Gualberto sono alquanto eloquenti: «La musica di Bacharach è stata, fra le tante cose, l’espressione più affettuosa e sinceramente sentimentale del rinnovamento dell’American Dream (era da poco crollata la vergogna della Segregazione, che, pur fra dinamiche conflittuali che durano a tutt’oggi, non riguardò solo gli africano-americani ma anche gli ebreo-americani, sottoposti a costanti angherie, umiliazioni ed esclusioni), fra tensioni politiche (come quelle espresse dal soul di Curtis Mayfield, Martin Gaye, James Brown, Aretha Franklin o dal free-jazz) e l’ascesa traumatica di una nuova generazione che nel 1968 aveva decretato l’inizio del prolungato crepuscolo del mondo patriarcale bianco, oppresso da gravi colpe. E non stupisce che questa tensione verso una nuova dimensione, anche se immaginaria, venisse ‘sposata’ anche da interpreti africano-americani come Dionne Warwick, Isaac Hayes, le Shirelles, Jerry Butler, The Fifth Dimension, e, successivamente, da Luther Vandross, Cissy Houston, The Delfonics, The Drifters, Nina Simone, Gloria Gaynor, Gladys Knight, Bobby Womack, Marisa Staples, El DeBarge, Patti. LaBelle. Proprio a Vandross, interprete vocale sopraffino ed espressivo, si deve una portentosa (ri)lettura di «A House Is Not A Home», sia in studio di registrazione che dal vivo. Sono notevoli la prontezza e la sensibilità con cui molti interpreti africano-americani hanno saputo cogliere nel raffinato e asimmetrico lirismo musicale di Bacharach il segno forte del cambiamento socio-politico (il compositore di «Magic Moments» non avrebbe mai più potuto servire il contesto retrivo di un Perry Como), un tratto che molti non hanno saputo valutare, fermandosi alla lievi increspature di superficie solo apparentemente levigata, frutto di un mondo musicale (Bacharach è stato allievo di Darius Milhaud, il che lo ha reso un eccellente arrangiatore e orchestratore che non ha mai fatto mistero del suo profondo interesse per il be bop) la cui complessità era notevolmente presente nei versi obliqui e talvolta ingannevoli dell’assai sofisticatamente newyorkese Hal David».

Oltre a «I’ll Never Fall In love Again» a «I Say A Little Prayer», passando, per «Make It Easy On Yourself», «Anyone Who Had A Heart», «The look Of Love», “What The World Needs Now Is Love» e «Painted From Memory», tra i successi planetari di Bacharach ci sono anche «That’s What Friends Are For» (eseguita da un gruppo all-star: Dionne Warwick, Elton John, Gladys Knight e Stevie Wonder) e il duetto di Patti LaBelle e Michael McDonald «On my own». Nel 1997 si era divertito a ricreare una nuova versione di «I’ll Never Fall in Love Again», interpretando ironicamente sé stesso nel film «Austin Powers» di Mike Myers. Più di recente aveva collaborato con Sheryl Crow, Elvis Costello e Dr Dre, a riprova che la sua musica non fosse mai passata di moda. Bacharach è stato più volte ospite alla Casa Bianca, dove nel 2012 il presidente Barack Obama gli ha consegnato il Premio Gershwin, che lo colloca di diritto tra i maggiori compositori del XX secolo.

Burt Bacharach