// di Marcello marinelli //
È una giornata fredda di fine gennaio, mi sveglio presto, ho freddo, ho bisogno di riscaldarmi ma devo stare attento ai consumi, devo anche risparmiare. Come d’incanto, come nelle migliori tradizioni fiabesche l’incantesimo viene in mio soccorso. Gli incantesimi sono di vario genere, alcuni sono funesti, altri sono vantaggiosi, come in questo caso e allora brindo al fato benevolo con biscotti e caffè solubile, ognuno brina con quello che ha. Riscaldo i motori del mio impianto stereo come di consueto e accendo le macchine pronto per il nuovo giorno. Non ho voglia di scegliere quindi mi affido al caso, premo il tasto play del mio lettore CD e ascolto il disco già inserito. Trattasi di un tributo a Curtis Mayfield un grande cantante soul. Decido di iniziare, così a caso, dal brano numero 4, “I’m So Proud” interpretato dagli Isley Brothers, ed è subito calore. Quando l’anima si riscalda si riscalda automaticamente anche il corpo e le buone vibrazioni calorose si irradiano per tutte le membra e arrivano dritte al cuore e poi al cervello e poi di nuovo rimbalzano in ogni direzione. Le particelle invisibili si insinuano sotto l’epidermide che per simpatia in maniera sinergica interagiscono col tessuto epiteliale.
È un bel circolo virtuoso, energia positiva che si autoalimenta, il trionfo della carica vitale, per le pulsioni di morte ora non c’è tempo, ogni cosa a suo tempo. I riscaldamenti sono spenti, temperatura interna 16 gradi. In alcuni momenti percepirei freddo glaciale, ma in questo momento in compagnia di Lenny Kraviz che canta “Billy Jack” questi 16 gradi mi sembrano 20 gradi, non ho freddo, della serie: il mistero delle temperatura reali e quelle percepite. Con “It’s All Right” cantata da Steve Winwood, la temperatura sale, ma per fortuna non quella corporea, basta con la febbre, quello non è un calore auspicabile perché se la temperatura raggiunge vette elevate, non c’è beneficio, anzi, iniziano i deliri e le allucinazioni. Bisogna sentire caldo senza elevare la temperatura corporea. Bisogna raggiungere il magico equilibrio tra temperatura interna ed esterna. Va tutto bene? Si va tutto bene “It’s All Right”, almeno in questo momento, colgo l’attimo, anzi colgo il minuto, e crepi l’avarizia colgo un paio d’ore e oserei cogliere tutta la giornata, perché ormai è matura. “It’s All Right”. Mi alzo e comincio a ballare come, batto le mani e muovo il mio corpo all’unisono con un coro gospel immaginario, ma non mi devo affaticare, sono in convalescenza. Nel mio monolocale un gruppo di 30 persone che intonano “It’s All Right” ed è un bel vedere e soprattutto un bel sentire.
Mentre sfuma la canzone il coro gospel alla spicciolata rientra nei ranghi e come in un film fantasy si smaterializza come polvere e rientra nelle casse acustiche di nuovo conio. Nel missaggio estemporaneo c’è chi esce e chi entra. Il coro se ne va ma dalla nuvola, dalla lampada di Aladino delle mie casse esce Aretha Franklin e come di prassi la figura è eterea la voce no. Sono seduto in mezzo al locale, guardo in alto, la voce di Aretha mi riempie di tutto il meglio possibile, “The Maiding Of You” canta e tra le strofe compare “Great Expression Of Happiness” e io mi sento così felice, così terribilmente felice, almeno in questo momento, vorrei piangere per felicità, ma il pudore trattiene le lacrime e allora gioisco senza lacrime con la voce di Aretha. Aretha finisce di cantare e alla fine applaudo, lei sorride e mi ringrazia e si ritira nella lampada prosciugandosi, effetti speciali per una voce speciale. Il mix continua e dalle fessure del finestrone entrano onde musicali sotto forma di percussioni, tappeto di tastiere, basso e chitarra e la voce inconfondibile di Phil Collins che intona “I’ve Been Trying”. Lento, il tempo oltre che freddo esternamente e caldo internamente, si è fatto lento e godo della lentezza, vorrei dilatare la lentezza all’infinito e poi oltre l’infinito, ma come si può andare oltre l’infinito? Non lo so ma con le parole si può andare oltre tutto e quindi oltre l ‘infinito.
Ci sto provando come Phil Collins nella canzone “I’ve Been Trying” ed è bello cercare di andare oltre l’infinito ed annullarsi come pulviscolo atmosferico e disperdersi nell’universo. Tutto si fa confuso ma il benessere percepito come la temperatura è buono e tende al bello, anzi al superbello. Poteva mancare l’entrata di Steve Wonder? No non poteva mancare. Entra direttamente dal camino come Babbo Natale e mi porta in dono una canzone “I’m The One Who Loves You”. È decisamente un bel dono questa canzone. Appare con il suo pianoforte bianco a forma d’Africa e mi dedica la canzone. Io col mio berretto di lana calato sulla fronte apprezzo entusiasta la dedica. Che altro volere di più da questa mattinata di gennaio? Ho assistito ad un bel concerto immaginario, ho riscaldato il mio locale e ho fatto incetta di calore, cercando di immagazzinarlo per i momenti in cui ce ne sarà di meno. Tutti i musicisti si radunano davanti a me come se fossi un pubblico numeroso. Tutti in piedi a cantare “Amen”. Io mi unisco a loro, ci prendiamo la mano e tributiamo il ringraziamento alla vita. Poi alla spicciolata, se ne vanno da dove erano venuti, quindi da un luogo imprecisato e io gravido di belle sensazioni mi avvio verso la fine di questa mattinata di gennaio, ebbro di piacere con il riverbero degli echi sonori incamerati ancora nelle orecchie, over and over again.
