// di Gianni Morelenbaum Gualberto //

I migliori esempi dell’Art Deco e del cosiddetto Streamline Moderne sono custoditi negli Stati Uniti, in particolare a New York. Ma senza andare così lontano, l’essenza di tale tipo di espressione artistica e architettonica è riscontrabile nell’arte di Busby Berkeley, il coreografo e divino maestro della «cinema dance» e forse l’artista che più assecondò e confermò quanto affermava Maya Deren: «Film is related more closely to dance than to any other form because, similar to dance, it is conveyed in time.» (Il film è strettamente legato alla danza più che a qualsiasi altra forma d’arte perché, come la danza, è proiettato nel tempo). Berkeley fa compiere il tragitto verso la modernità a una serie di tradizioni spettacolari americane: l’American Museum di P. T. Barnum, il minstrel show, il vaudeville, il burlesque e il cosiddetto three-ring circus, come appare evidente nel parossismo cinetico, surreale, elefantiaco eppure di deliziosa snellezza poetica nel fantasmagorico finale di «42nd Street» del 1933

Gran finale di «42nd Street» del 1933

Dallo stesso film, nell’ingranaggio di «I’m Young and Healthy»: Berkeley rinnovava tradizioni che intendevano creare sentimenti di abbondanza, varietà e meraviglia, senza necessariamente strutturarsi in termini di unità, continuità e consistenza. Il coreografo toglie la cosiddetta chorus line dal palcoscenico teatrale e la inserisce nel contesto cinematografico, avvalendosi di tutte le tecniche di ripresa per l’epoca più avanzate (e usando rigorosamente una sola cinepresa, ma con una mobilità straordinaria, delineando prospettive impossibili in un normale palcoscenico): soprattutto, egli non ricerca nelle ballerine una bellezza fuori dal comune, anzi: la sua usuale parade of faces (sfilata di volti) esibiva volti di ragazze piacenti ma tipiche della società americana, volti da «ragazza della porta accanto» che dovevano suscitare nel pubblico degli anni della Grande Depressione un senso di uguaglianza, di partecipazione e di speranza.

Beautiful Girls | Dames | Warner Archive

Nel film «Dames» del 1934 egli crea due capolavori: «I Only Have Eyes for You» e «Dames». In quest’ultima coreografia egli non solo gioca con il posizionamento e la forma umana, ma fa uso anche di labirinti/illusioni ottiche e transizioni illogiche in scala, raggiungendo straordinari livelli di pura astrazione. In «I Only Have Eyes for You» , la manipolazione della sfilata di volti giunge allo spettatore con un tratto particolarmente inventivo. La coreografia del movimento è letteralmente una danza di volti, di un volto in particolare, manipolati da altri ballerini. Lo schema spaziale, i livelli sovrapposti e il lieve movimento dell’immagine della testa creano una danza che estende ulteriormente il concetto di «parade of faces». Le coreografie di Berkeley rappresentano sublimi opere d’arte che, al contempo, declamano il fascino dei colori e delle linee dell’Art Deco e della sua volontà di democratizzazione dell’oggetto d’arte, reso di qualità anche se serializzato. Illusioni di un’epoca che, dopo il crollo del 1929, doveva creare e regalare illusioni, motivi per resistere, speranze per sopravvivere.

«I Only Have Eyes for You» / Dames, 1934