// di Guido Michelone //

Mentre tutti i già parlano dell’afro-british-jazz (Shabaka Hutchings e affiliati) quale frontiera per il sound del presente del futuro, grazie all’azzeccato originale mistura di musiche eterogenea nella Londra sempre più multietnica, ma ecco che, 2020 il COVID-19 blocca ogni attività creativa in tutto il mondo: il lockdown causato dalla subdola pandemia ha costretto a casa soprattutto i lavoratori dello spettacolo, che si sono inventani comunque nuove forme comunicative: alla pari di altri colleghi di ogni genere, i jazzisti suonano dalle finestre o sul terrazzo e balcone, oppure improvvisano e talvolta registrano a distanza o in remoto, grazie alle tecnologie ed ai computer che fanno miracoli. Tutti i jazzisti hanno avuto, altresì, l’opportunità di riflettere su sé stessi, riprendere o intensificare gli studi, comporre, suonare da soli, imparare nuove cose. L’estate del 2020, vennero annullati la maggior parte dei jazz festival internazionali, mentre l’attività concertistica fu drasticamente ridotta ai soli jazzisti locali, che di per sé, anche nella norma, non sarebbe un fattore denigrabile; soprattutto i musicisti hanno avuto la possibilità ed il tempo di dedicarsi alla composizione e alla produzione di nuovi dschi: il 2022 è stato un anno da record per quanto riguarda le pubblicazioni di album jazz. Quasi tutti i materiali erano stati concepiti durante i due anni di “coprifuoco” e di totale interdizione da eventi, spettacoli ed attività oncertistica in pubblico.

Al di fuori degli Stati Uniti, molto spesso nell’organizzare le kermesse, in Europa ed Italia in particolare, viene dato troppo spazio ai divi stranieri rispetto alle scuole autoctone in grado invece di proporre sovente un jazz originalissimo. La tristezza comunque nel vedere i concerti con mascherine e distanziamento è stata tanta, per fortuna superata, mentre l’attività discografica è proseguita abbastanza bene, anzi nelle vendite cresce l’acquisto di CD e soprattutto di vinili che, nel jazz, sembrano godere di una seconda giovinezza sia nel mercato collezionistico di pezzi di epoca, sia nel rifiorire di un’industria che propone le ristampe di classici e novità, nonché le versioni a 33 giri di album stampati tra il 1985 e il 2015, di cui esiste solo il supporto fisico digitale. Il 2023 dal punto di vista discografico si preannuncia ancora più opulento dell’anno precedente.

Tra le conferme di jazzman artisticamente maturati nel primo ventennio del XX secolo vanno ricordati, disposti alfabeticamente: Melissa Aldana, Nik Bärtsch, Binker & Moses, Lady Blackbird, Orrin Evans, Mary Halvorson, Alexandra Hawkins, Irreversible Entanglements, Conrad Herwig, James Brandon Lewis, Thomas Fujiwara, Nduduzo Makhathini, Rob Mazurek, Makaya McCraven, Joel Ross, Tyshawn Sorey, Veronica Swift, Craig Taborn, Tumbscrew, Marcin Walilewski; tra i jazzisti emergenti nel lustro 2018-2023 si possono infine fare i nomi di Zoe Amba, Gregg Belize-Chi, Jaimie Branch, Patricia Brenann, Kris Davis, Anna Högberg, Samara Joy, Jihye Lee, Adam O’Farrill, Ava Mendoza, Julius Paul, Emile Prisien, Nate Smith, Anna Webbers, Caleb Wheeler Curtis, Immanuel Wilkins, Brandee Younger sempre in ordine alfabetico.