// di Marcello Marinelli //
La fisarmonica mi ispira, il francese zingaresco anche, paesaggi mi si spalancano davanti, orizzonti lontani. Gli orizzonti lontani suggeriscono idee profonde e lontane, gli orizzonti lontani rimarginano le ferite, davanti ad un orizzonte lontano la pochezza della vita si arrende e, almeno per un istante, l’anima si alimenta d’infinito, si ha voglia di oltrepassare l’orizzonte lontano. Nella mia fantasia, oltre l’orizzonte lontano non ci può che essere un paesaggio sublime, non sempre è così ma mi piace pensarlo. Macino chilometri come chicchi di caffè, le catene innevate alpine mi rigenerano, il massiccio del monte Rosa mi colpisce con il suo candore, sarà il nome ma il massiccio del monte Rosa mi intriga, sarà il suo essere “Rosa” così terribilmente femmina, un monte femmina a difesa della maschia pianura.
Vorrei raggiungere quelle vette, ma dato che non sono scalatore mi accontenterò delle sue pendici, è come raggiungere le alte sfere femminili, territori impervi, strade strette, sentieri inaccessibili o da esplorare, la propensione all’ essere pioniere, rischi di cadute improvvise, pericoli di caduta massi e, quando la femminilità è ricoperta del manto di neve, le valanghe sono all’ordine del giorno. Le nuvole ti lambiscono, o mie care vette, e tanto per rimanere in tema caro Monte Rosa devo dire che hai proprio due belle “vette”, ti danno quell’aria un pò pensierosa, i pensieri che fuggono con le nuvole, l’aria spinge i pensieri lontano, masse d’aria s’incontrano, socializzano, si scontrano, producono quella strana patina che vi avvolge, care le mie vette, che vi ricopre, quel bel manto bianco vellutato, che vi rende così caste e pure.
…..e la neve va
la neve scende a fiocchi, rende tutto così uniformemente candido e affascinante, così soave, soffice, silenziosa, insinuante, leggera, e poi questa leggerezza che aggiunta ad altra leggerezza, e ad altra leggerezza ancora può diventare terribilmente pesante se non è spalata, ma la neve è “donna”, allora non si spala la neve, si può, al limite, gentilmente scansarla con tutte le accortezze del caso e non farla diventare paurosamente massa pesante.
Quello che più mi colpisce di te, cara la mia neve, è il tuo essere così assordantemente silenziosa, mi circondi senza che io me ne accorga, mi avvolgi fra le tue trame fitte lentamente e incessantemente, lasciandomi senza parole, il tuo silenzio mi ruba le parole, non ho parole davanti al tuo cospetto, così fredda e così calda allo stesso tempo. Le ambivalenze delle mie sensazioni verso di te non si sciolgono al sole, come i cristalli solidi di cui sei formata. Il tuo essere fisico al sole scompare, il tuo lato spirituale rimane intatto dietro i cieli profondi. Mi piace camminarti sopra e affondare le mie membra su di te e vedere le mie orme che ti attraversano. Come sei discreta neve nel tuo farti paracadutare, soltanto quando scende il gelo fra di noi e diventi una lastra di ghiaccio, la nostra vicinanza può diventare pericolosa per me, posso scivolarti sopra e farmi male perché diventi tutta di un pezzo e per nessuna ragione scalfibile, potrei sbandare pericolosamente e smarrire la “retta via”.
..e laggiù sulla piana????
umido, terribilmente umido, il cielo pieno di vapore acqueo incombe sulla terra senza rilievo, color grigio pastello come nei disegni dei bambini all’elementari.
La nebbia al calar della notte rende l’atmosfera da villaggio senza tempo, nasconde tutto il mondo circostante, la magia che compie è notevole, far sparire tutto il mondo nel raggio di pochi metri. Ci restringe gli sguardi, si abbassano gli sguardi sulla terra dove ci sono gli unici indizi della “retta via”, non c’è altro da consultare tranne la terra, né sole, né stelle, né costellazioni. E l’ideale per un incontro furtivo, per un incontro d’amore discreto, una cornice romantica e complice dove le persone assumono solo vaghi contorni e forme imprecise, baciarsi avvolti in un mantello, inglobati dalla nebbia. Deve essere veramente affascinante, solo che l’unica controindicazione è che bisogna fare in fretta altrimenti l’umidità ti entra nelle ossa e le fa marcire e non rimane che pelle senza struttura ossea, praticamente rimangono vestiti per il carnevale. Quello che non ti perdono cara la mia vecchia e umida nebbia è che di notte mi puoi anche nascondere l’universo intero ma di giorno no, non posso non vedere i miei cari e indispensabili orizzonti, posso solo accettare che tua figlia, la signorina foschia, s’interponga fra me e la linea dove la terra e il cielo si toccano. L’oblio della vista. Lo so, lo so, tua figlia è un pò fastidiosa, mi fa sgranare gli occhi, schiarisce troppo i colori della natura, cozza con la luce del sole, ma siamo tolleranti e allora quando fate le bizze aspettiamo pazientemente la fine dei vostri capricci.
…e quando il “nitido” torna ad albergare nel mio sguardo, mi si dischiude ancora l’orizzonte in tutta la sua lontananza, è una riscoperta, è il naturale alternarsi fra il chiaro e l’offuscato, tra limpido e appannato e anche la mia mente in sintonia con lo sguardo, alterna opacità e bagliori.
