// di Guido Michelone //

Michel Camilo (Santo Domingo, 4 aprile 1954) diventa celebre in tutto il mondo attorno al 1988 quando l’omonimo album, Michael Camilo, resta in classifica per bene dieci settimane consecutive, benché il suo nome circolasse da oltre un lustro, anche grazie alle numerosissime collaborazioni con il Gotha del jazz statunitense. All’epoca dell’intervista – uscita nel 2009 solo in lingua spagnola per una dispensa universitaria – Camilo aveva già 23 album alle spalle a proprio nome. Successivamente, tra il 2011 e il 2019, usciranno i cinque Mano a Mano, What’s Up, Spain Forever, Live in London, Essence, che, aggiunti almeno ai precedenti Why Not?, On Fire, Rendez-Vouz, Thru My Eyes, Solo, offrono un’idea precisa del valore di questo eccellente jazzman.

Michel, che sensazioni provi a essere ritenuto tra i più grandi pianisti jazz americani del mondo odierno?

Oh! È un grande onore essere considerato tra i migliori musicisti latin-jazz di oggi. Sembra una grande responsabilità e mi motiva a continuare a crescere come artista!

Ma la parola latin-jazz ha ancora oggi un significato?

Dobbiamo purtroppo ancora assegnare dei nomi per definire ogni stile musicale. Questo può essere un po’ difficile nel mio caso, dal momento che di questi tempi, oltre il latin-jazz, mi piace suonare anche lo straight jazz contemporaneo, così come amo la composizione e l’esecuzione di musica classica.

Michael, d’istinto, cos’è per te il jazz?

La musica jazz sfida costantemente l’artista creativo a cercare nuove idee, sentimenti, emozioni e soluzioni, al fine di contribuire a perfezionare l’arte dell’improvvisazione. È come se scrivessimo sempre una nuova composizione ogni volta che suoniamo un “assolo”. Questa composizione istantanea (o improvvisazione) è ciò che chiamiamo il “fattore di rischio” ed è ciò che più mi ha attratto nel diventare un musicista jazz.

È difficile e raro trovare un pianista di Santo Domingo, perché le isole caraibiche sono considerate la culla della musica folk e della salsa, quindi come potrebbe definirsi il tuo approccio al pianoforte jazz?

Ho scoperto il jazz quando avevo quattro anni, dopo aver sentito una registrazione alla radio del grande pianista Art Tatum che eseguiva la celebre versione per piano solo di Tea for Two. Mi ha completamente cambiato la vita! Però devo anche aggiungere che nei Caraibi abbiamo avuto una forte tradizione musicale, con alcuni grandi maestri di pianoforte.

Ma che tipo di musica ascoltavi da bambino?

La mia famiglia ha due generazioni di musicisti e compositori classici e abbastanza famosi in loco, quindi ho avuto la fortuna di ascoltare presto un’ampia gamma di stili musicali. Ogni volta che la famiglia si riuniva era come una grande festa musicale, dove tutti si alternavano al pianoforte, alla fisarmonica, alla chitarra, eccetera; quando avevo nove anni, ho iniziato la mia educazione musicale formale al Conservatorio Nazionale.

Tu, Michel, come pensi che si evolverà il futuro del jazz?

Al giorno d’oggi ci sono molti nuovi festival in tutto il mondo e il pubblico sta diventando sempre più giovane, quindi stiamo vivendo un grande momento nel jazz e il futuro del jazz è molto luminoso! Mi considero felice di essere vivo in questo momento e di poter condividere la mia musica con tutti i miei fan in tutto il mondo.

Tra i tanti dischi che hai inciso, ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato?

Live at the Blue Note per la Telarc ha segnato un momento importante poiché è stato il doppio CD della mia vita, che è stato accolto con favore dal pubblico e ha pure vinto un Grammy Award. Ora sono davvero entusiasta del mio ultimo DVD/CD dal titolo Caribbean – Michel Camilo Big Band per la Calle 54 Records (distribuita dalla Sony Music), che inizialmente viene pubblicato in Spagna il 15 settembre 2003; si tratta per me di un fantastico concerto dal vivo con una All-Star di diciannove orchestrali davanti a cinquemila persone; il filmato è stato addirittura diretto da Fernando Trueba, mio amico personale, nonché regista premio Oscar.

In Live at the Blue Note c’è ovviamente tanta musica latina. Come hai accolto questo sound nel tuo personale bagaglio artistico-culturale?

Per me è importante preservare e rendere omaggio alla mia identità culturale, e sebbene io viva in una grande metropoli come New York dal 1979, il “tocco latino” nella mia musica è sempre stato un elemento importante, e allo stesso tempo questo è il mio modo per restare legato alle mie radici, alla mia famiglia e al luogo in cui sono nato: Santo Domingo, Repubblica Dominicana.

Chi sono stati i tuoi maestri o riferimenti nella storia di jazz? E, in altre parole, chi i tuoi idoli al pianoforte?

Ti cito un po’ alla rinfusa i pianisti jazz Art Tatum, Oscar Peterson, Bill Evans, McCoy Tyner, Thelonious Monk, James P. Johnson, Bud Powell, Sonny Clark, Red Garland, Ahmad Jamal, Herbie Hancock, Chick Corea e Keith Jarrett. Inoltre amo molto la musica classica classica e nel mio cuore ho un posto speciale per tutti dai compositori Bach, Scarlatti, Beethoven, Mozart, Chopin, Liszt, Scriabin, Rachmaninoff, Gershwin, Bartok, Lecuona, agli interpreti Horowitz, Rubinstein, Glenn Gould e Arturo Benedetti Michelangeli.

Ma quali sono i musicisti che non ti annoi mai di ascoltare?

Nel jazz, oltre i nomi che ho già citato, direi Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Miles Davis, Duke Ellington, Thad Jones, Count Basie, Louis Armstrong, Sonny Rollins, Michael Brecker, Jaco Pastorius e Pat Metheny tra gli altri. Per quanto riguarda la musica classica, amo in particolare le composizioni di Stravinsky, Ravel, Debussy, Satie, Prokofiev, Falla, Albéniz, Shostakovich, Puccini, Mahler, Ginastera, Piazzolla, Bernstein, Copland.

Quali sono i tuoi impegni per l’immediato futuro?

Sono stato nominato nuovo “Jazz Creative Director of the Chair” della Detroit Symphony Orchestra, a partire dal 19, 20 e 21 novembre, quando sarò presentato come solista per eseguire il mio Concerto per pianoforte n. 1, diretto dal Maestro Leonard Slatkin.

Pensi che sia difficile fare in modo che la gente negli Stati Uniti apprezzi la tua musica?

No, grazie a Dio è sempre stata una bellissima storia d’amore con il pubblico di tutto il mondo da quando ho iniziato la mia carriera di leader. Uno dei momenti salienti di quest’anno è stata la mia esibizione in trio alla celebrazione del 55° anniversario del Newport Jazz Festival. Alla fine, ho invitato Joe Lovano a unirsi a noi per un’incredibile jam session su Night in Tunisia. Grandissimo divertimento!

Trovi differenze tra il pubblico europeo e quello americano?

Non molte. Penso che l’interazione degli ascoltatori con i musicisti sia più soggetta alla sala da concerto o all’auditorium, se è un luogo grande o piccolo, e se è al chiuso o all’aperto, eccetera. Nel latin jazz abbiamo un’espressione che penso sia una delle chiavi per una grande performance: Escuchar la habitación [letteralmente Assolta la stanza]. Per me è anche meraviglioso scoprire un nuovo pubblico, mentre condividiamo insieme una bella serata di musica dal vivo.