// di Bounty Miller //

Per Art Blakey fu una calda notte quella di Parigi, dove il demiurgo dei tamburi realizzò una delle travi portanti della sua lunga discografia. Pur avendo il vecchio batterista suonato per decenni la stessa musica con un roster di musicisti d’eccellenza, i quali si sono alternati nel tempo, quei set furono indimenticabili, quasi avvolti in un alone di leggenda. Una delle guest dello show fu Bud Powell, musicista iconico ed inventore del bebop insieme a Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Thelonious Monk. All’epoca Powell era stato dato da molti già per finito, vuoi anche per la lunga assenza dal territorio e dalle cronache jazzistiche USA. Contro ogni previsione, il pianista suonò come trascinato da una forza divina, inficiando tutte le dicerie sul suo conto. Il suo trade-mark siglò a fuoco e ad imperitura memoria quelle performance dei Messengers. Le sue mani sui tasti, forti di una ritrovata vigoria, resero immortali le versioni live di brani come «Bouncing With Bud» e «Dance Of the Infidels». Gli assoli di Powell furono lunghi, pungenti e ben assestati, divenendo nel tempo quasi dei piccoli case-study per torme di provetti pianisti venuti dopo. Parigi in quegli anni offriva un approdo ed un rifugio sicuro ai musicisti jazz che non trovavano posto altrove, ma che soprattutto avevano problemi in patria legati alla droga o al fisco. Uno dei più famosi, fu proprio Bud Powell, il quale vi trascorse gli ultimi anni della sua difficile e caotica esistenza. Come sappiamo, il soggiorno parigino del pianista fu anche motivo d’ispirazione per «’Round Midnight» del francese Bertrand Tavernier, uno dei film che ha saputo raccontare il jazz, cogliendone il mood e l’essenza meglio di altri, ma soprattutto bypassando il becero e scontato biografismo o il noioso vezzo documentaristico di taluni registi e scrittori statunitensi.

L’altro ospite, uno sconosciuto per tanti libri di storia, fu il sassofonista francese Barney Wilen, che aveva acquisito fama e notorietà a fianco a Miles Davis durante la registrazione della colonna sonora di «Ascensore per il patibolo», ma non fu un fatto casuale, il francesino possedeva davvero un innato talento, tanto da poter compete con la nomenclatura dell’hard-bop afro-americano. In quella circostanza i suoi assoli al sassofono contralto (invece del solito tenore) furono densi di immaginazione, energia e ricchi di personalità. Il giovane outsider non sfigurò accanto a certi mostri sacri, suonando con un’ampia libertà di manovra, forse ispirato dallo stile Jackie McLean. Ascoltando il disco il jazzofilo ignaro o occasionale potrebbe pensare che quegli assoli aspri e taglienti, sviluppati spesso per vie traverse, fossero proprio di McLean. Eppure nelle varie edizioni i due nomi in cartellone furono Bud Powell, giustamente ospite, e Lee Morgan che invece era in pianta stabile nell’organico di Blakey: misteri della discografia e del potere evocativo di taluni nomi. All’epoca, i Messaggeri ingaggiati da Blakey erano proprio Lee Morgan (tromba), Wayne Shorter (sax tenore), Walter Davis Jr. (pianoforte) e Jymie Merritt (basso). In altre parole, uno dei più solidi combo hard-bop della storia del jazz moderno.

Ad onor del vero, in questa sessione live parigina del 1959, Lee Morgan è in forma smagliante e sempre in asseto da guerra, per tanto merita sicuramente il nome in copertina, ma il set venne alimentato, oltre che dal drumming incessante, anche se schematico, del burbero capo tribù, in particolare da alcune improvvisazioni da manuale sviluppate da un istintivo Wayne Shorter in erba, con tanto di stridii involontari dell’ancia. Quando il sax tenore di Shorter, stentoreo e gargarizzante, entrò in scena dopo il lancio del tema di «A Night In Tunisia», il boato della folla esplose dalla prima all’ultima fila mentre le bordate di Blakey dalla retroguardia alimentavano il motore a tutta manetta. La Sowing Records che ha ristampato «Blakey In Paris» con Bud Powell e Lee Morgan, originariamente pubblicato nel 1961, ha dimenticato di citare nelle note di copertina tutto il resto del line-up. Fortunatamente trattasi di una riedizione ripulita e migliorata per audiofili (almeno così viene dichiarato), quindi i documenti depositati agli atti sono alquanto noti ai cultori ed agli appassionati dei jazz di vecchia data. Art Blakey & The Jazz Messengers, ospiti Bud Powell (pianoforte) e Barney Wilen (sax alto), furono ripresi dal vivo al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi nel 1959. L’album ricavato da queste registrazioni ha finito per diventare nel tempo una delle pietre miliari della discografia del batterista. Il set è stato saltuariamente disponibile su varie etichette, ma la ristampa in oggetto è da considerarsi fra le più riuscite.

Come già accennato, il gruppo di Blakey di quel periodo ostentò grande sicurezza ed una perfetta tenuta strumentale e relazionale durante la lunga e dilatata versione «The Midget», componimento a firma Lee Morgan e nell’intramontabile «A Night in Tunisia» di Dizzy Gillespie introdotta da un tempestoso e coriaceo assolo di Blakey. Ma è l’aggiunta delle special-guest nei primi due pezzi che si rivelò corroborante per tutta l’impresa. Come già detto, Bud Powell, che sostituì Walter Davis Jr., e il sassofonista francese Barney Wilen al contralto divennero un valore aggiunto per le ispirate versioni di «Dance Of The Infidels» e «Bouncing With Bud» di cui Powell era autore, mentre la tromba di Morgan spazio inesorabilmente a tutto campo per l’intera esibizione. La storia ha dimostrato che «Blakey In Paris» rappresenta una delle date riprese dal vivo più rilevanti all’interno della vasto catalogo di Art Blakey, ma forse dell’intera saga dell’hard-bop.