// di Francesco Cataldo Verrina //

Le tante donne che affollano la scena jazz europea e mondiale, a parte poche rare eccezioni, «cantano». I loro dischi per quanto intriganti sono delle raccolte di ballate sentimentali e struggenti, ma lontane da quello che potrebbe essere un concept jazz vero è proprio o un’analisi logica dell’evoluzione del bop post-moderno. Per contro, «Outside Introspections» di Federica Lorusso apre subito la mente dell’ascoltatore su scenari sonori che si vestono di reminiscenze, quanto di immagini fresche di giornata, legate alla contemporaneità del jazz, «fermento laico» in perenne divenire. E sottolineo jazz nel senso più autentico, dove il costrutto sonoro si attiene alla regole sintattiche, estetiche e semantiche dell’idioma tipico della musica improvvisata african-american, filtrandole attraverso un bagaglio di esperienze personali e collocandole nell’ambientazione della propria esperienza quotidiana. Federica Lorusso ha abbandonato da anni la sua solatia Puglia e vive in Olanda, dove «Outside Introspections», edito dalla Abeat Records è stato registrato. E come lei stesso ha dichiarato, l’album diventa «un ponte musicale tra il mio Paese d’origine e il Paese che ora chiamo casa». Il mood che l’album sviluppa si colloca a metà strada tra la concretezza mitteleuropea e la poetica libertaria della genetica mediterranea, attraverso un perfetto gioco di dosaggio dei vari elementi. Dischi di tale struttura diventano un argine nei confronti dei tanti alieni e mutanti genetici devoti alle nenie scandinavo-germaniche che da tempo infestano le strade d’Europa e della discografia jazz.

Proviamo ad entrare nel dettaglio: «Against The Nihilism» è un esemplare costrutto ipermodale, magnificato dal sax tenore di Claudio Jr De Rosa, il quale si muove su un terreno d’indagine e di esplorazione di marca shorteriana, con qualche digressione alla Gato Barbieri, anche se il fantasma di Coltrane sembra spiare da un angolo buio della 52° Strada. Fondamentale risulta il sostegno del pianoforte della band-leader, encomiabili complici David Macchione al contrabbasso e Egidio Gentile alla batteria, i quali arrotondano il groove sempre per eccesso e mai per difetto. «Pensieri di Una Notte di Luglio», a metà strada tra Puglia e Mitteleuropa, assume la sagoma umida e metropolitana di una ballata dai contrafforti mediterranei nella sua evoluzioni tematica, specie nel canto ancestrale e sofferente di Federica Lorusso che, con i tasti sotto le dita, ricontestualizza immediatamente l’impianto sonoro in una dimensione ideale, dove pianoforte e sassofono si scambiano promesse per l’eternità, a cui la cantante-compositrice aggiunge i suoi vocalizzi, quasi a voler stendere una pellicola protettiva su quella che sente come una sua creatura speciale. In un’intervista, Federica racconta: «La prima composizione in ordine di tempo è stata«Pensieri di una notte di Luglio» risale più o meno a quattro anni fa, in Italia. Scrivo tanto, ma alla fine ho scelto i brani che ritenevo più vicini alla mia sensibilità e ai gusti del momento. Cerco di fare in modo che il processo creativo sia sempre diverso, per evitare di ripetermi. Certe volte mi siedo al pianoforte e suono aspettando di trovare quella giusta combinazione di armonia e melodia, certe volte parto da una linea di basso, a volte sono delle emozioni che fanno nascere un brano, a volte mi lascio trasportare da quello che mi dice l’istinto. Se una melodia o una progressione armonica mi fa venire i brividi, è una strada che va esplorata».

Sante parole, perché in «What Do I Hear?» emerge anche tutta la potenza vocale della Lorusso che si lancia in velocità in una pista ad ostacoli asfaltata di swing, costantemente crivellato dal suo scat e mantenuto in auge dalla retroguardia ritmica sicura di rispettare la tabella di marcia del convoglio. L’arrivo del sax, dispensatore di una verticalizzazione coltraniana, collauda con successo la validità dell’impianto ritmico-armonico. «Just Go Ahead» si materializza come una ballata fumé e notturna, affogata in un alcoolico blues urbano ed introdotta da un sax quasi sanguinante, a cui il piano fornisce un passaporto per entrare a pieno regime nel sistema armonico. Al cambio di guardia è la band-leder con il pianoforte a sviluppare il tema fino al rientro in scena di De Rosa, il quale ritrova i fili di una struggente narrazione, ma non è mai abbandonato al suo destino ed al suo patimento: il comping della retroguardia ne asseconda desideri e passioni. «Into The Distance» è un’altra ballata che raggiunge profondità liriche abissali. L’inizio è quasi felpato con il tema affidato alle corde del contrabbasso. Al suo arrivo il sassofono ricama una melodia malinconica ed autunnale per poi tentare qualche dribbling sulle fasce laterali del costrutto armonico, mentre il piano lo trascina in un’ambientazione più onirica e sospesa, quasi shorteriana.

«Take A Breath» è una lunga progressione pianistica dai tratti soulful che sviluppa un tema dal sapore moderatamente retrò, implementato da De Rosa che, deposto il sax, imbraccia il clarinetto abbandonandosi ad un canto dalle suggestioni antiche come uno scrittore ne inizia la sua narrazione a ritroso nel tempo, ma senza scollegarsi mai dalla trama principale del romanzo. «Orange» esalta ancora il potente affiatamento tra il pianoforte di Federica ed il sax di Claudio, entrambi talvolta procedono per vie traverse alla ricerca di qualche territorio inesplorato. I cambi di umore sono frequenti ed il risultato stupefacente. «How The Sea Sings After The Twilight» è un racconto sonoro intenso, ammannito nel formato piano trio, in cui il «quarto uomo» aggiunto è la voce di Federica, perfettamente armonizzata, mentre basso e batteria, con il sax a riposo dopo intense battaglie, emergono in vari frangenti. «Don’t Ask Me» è l’ultimo brano della track-list, ma è anche il più lungo e certamente non meno importante dei suoi predecessori, essendo depositario di una melodia a presa rapida, se non altro capace di pungere e di insinuarsi nella mente del fruitore, dove il tenorista tenta qualche incursione a volo libero, ma senza mai debordare verso l’impossibile. Nulla è affidato a caso, ma frutto della mercuriale interazione contrappuntistica tra pianoforte e sax tenore, che si prendono e si lasciano ad ogni cambio di passo, in un’appassionante singolar tenzone che produce meraviglia ed ammirazione. Le parole della pianista-compositrice pugliese possono tranquillamente fare da corollario ad ogni nostra presunta pretesa di descrittività esaustiva: «Alla fine di tutto il lavoro, ho guardato i titoli dei miei brani e ho visto introspezione, nostalgia, paure, ambizioni. Senza che ne fossi consapevole, c’era un filo conduttore che collegava tutti i brani che ho scritto fin ora. Stavo raccontando la mia storia, il mio percorso di crescita come musicista ma soprattutto come persona». Brava, Federica Lorusso, benvenuta nel mondo dei jazz con «J» maiuscola.

Federica Lorusso