// di Guido MIchelone //

Sloveno, classe 1953, Zlatko Kaucic nel corso degli anni suona batteria e percussioni, in ordine alfabetico, con Ab Baars, Alexander Balanescu, Paul Bley, Peter Brötzmann, Augustí Fernández, Chico Freeman, Javier Girotto, Barry Guy, Maya Homburger, Steve Lacy, Joëlle Léandre, John Lewison, Albert Mangelsdorff, Paul McCandless, Phil Minton, Evan Parker, Marc Ribot, Louis Sclavis, Gianluigi Trovesi, Saadet Türköz, Trevor Watts, Keeny Wheeler, vale a dire con il meglio dell’avanguardia europea (e in parte statunitense). Con il nuovo CD Pogum/Pogumnih (2020-22) lo si ascolta solo dirigere la propria band, come racconta, con ottimo italiano, nella prima parte di questa nuova inedita intervista, mentre nella seconda viene tradotto per la prima volta un colloquio in inglese del 2016.

Zlatko, parlaci del tuo nuovo disco, Pogum/Pogumnih: che significato ha?

Il titolo Pogum/Pogumnih in lingua italiana vuol dire Audaci/Coraggiosi e, come album, è stato concepito e strutturato in tempi di Covid e lockdown: La situazione e l’ingiustizia attuali, per come va il mondo, mi hanno spinto a fare questa musica! Si tratta di una musica dedicata ai lavoratori sanitari, che hanno lottato per salvare le vite altrui, ma anche via via a chi manifesta contro gli autocrati (da noi in Slovenia c’era un certo Janša) e in effetti si sentono a inizio disco le voci di protesta di giovani in Ljubljana; a chi aiuta i rifugiati (e qui ho inserito la voce di Papa Francesco); a chi combatte contro i cambiamenti climatici (si senti la voce di Greta Thumberg); insomma contro tutte le ingiustizie sociali, e favore di tutti quelli che tentano di cambiare in meglio nostro cuore, i nostri pensieri…

Come è venuta l’idea di questo progetto e che significato ha?

I musicisti sono tutti giovani ventenni provenienti dalla mia scuola che si chiama “Sorgenti sonore”dove insegno jazz già da vent’anni! Abbiamo già fatto molti dischi con mostra musica originale! Ho anche chiamato un bravo musicista italiano come Ivan Pilat al sax baritono e il giovane trombettista Flavio Zanuttini, oltre il grande Marco Colonna che suona vari clarinetti! Con questo progetto di dodici elementi me compreso, che dirigo l’orchestra ci siamo anche esinbiti con grande sucesso al festival Jazz&wine, e subito dopo anche aUdine Jazz!

Ci dici in due parole chi è Zlatko Kaucic?

Mah… un essere umano che si interessa a tutto, che è creativo, differente dai mainstream correnti, fuori dai giri commerciali!

Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?

Quando era bambino, circa a dieci anni, sentivo musica alla radio, specialmente Radio Luxembourg, ma anche la RAI Italiana, però ha sempre richiamato la mia attenzione il suono degli uccelli nel cielo! La mia prima batteria l’ho fatta con scatole, botti e i fustini del Dasch: eravamo alla metà degli anni Sessanta e si comprava in Italia il detergente in bidoni di cartone; per le bacchette sono andato a farle nel bosco, come “piatti” usavo i ricambi del tritatutto (quello per le patate) e suonavo insieme con la musica che c’era in radio!

Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?

Dopo che ho fatto esperienza in gruppo, con gli “Upupa” a Udine (musica tipo Jimi Hendrix, rock sinfonico) sono andato a Zürigo dove ho trovato grandi musicisti che abitavano a un paio di chilometri da nostra casa; nel nostro condominio c’erano Alan Blairman (batterista con Archie Sheep, Mal Waldrom, Karl Berger), c’era anche l’improvvisatore radicale Stefan Witwer e tanti altri. In un altro palazzo c’erano Irene Scwaitzer, Peter Frei, eccetera, eccetera! Loro mi hanno spinto verso il Jazz.

Ma tu allora cosa sentivi?

Io ero ancora ancorato al jazzrock (Weather Report, Billy Cobhan, Return To Forever). Un giorno dopo di aver sentito Alan Blairman con Mal Waldrom mi sono appassionato di questa musica, anche perché ho notato che suonare la batteria jazz è completamente diverso dalla fusion, e Alan suonava uno stile tipo Ed Blackwell, Billy Higgins… Beh… grazie a Blairman mi sono innamorato di questa bella musica! A Zürigo avevo poi l’opportunità di ascoltare anche altre proposte come il gruppo sudafricano Blue Notes con Dudu Pukwana, Mongezi Feza, Harry Miller, eccetera.

Quali batteristi jazz hai poi ascoltato di più?

Ce ne sono tanti, tutti quelli che han contributo a sviluppare concetti, idee, suoni in maniera nuova: Syd Catlett, Jo Jones, Philly Jo Jones, Max Roach, Elvin Jones, Roy Haynes, Tony Williams, Jack de Johnette e i citati Higgins e Blackwell…

E tra gli Europei?

Soprattutto Han Bennik, Paul Lytton, Tony Oxley…

Ma cos’è per te il jazz?

È un suono, forse il più bello del mondo, e un modo di vivere, sentire, gioire, piangere, ridere!

Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?

Sono i racconti che mi interessano, così come in maniera eguale mi interessano i concetti! E soprattutto la diversità dei racconti!

Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?

Ce ne sono tanti, però in particolare il doppio CD Zlati Čoln (2002) per la Splasc(h) Music, che ho fatto per il nostro più grande poeta sloveno, Srečko Kosovel, con Steve Lacy, Paul McCandess, Jean-Jaques Avenel. Nel 2005 ha avuto con un seguito Zlati Coln 2 (Dedicated to Steve Lacy).

E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?

Live At Plugt-Nickel di Miles Davis, The Secret of the Plants di Steve Wonder, Yellow Shark di Frank Zappa e The Skies Of America di Ornette Coleman.

Quali sono stati i tuoi maestri nella musica e nella vita?

Nella musica Coltrane, Parker, Ornette, Peter Delphinich, nella vita Che Guevara, Srečko Kosovel, i partigiani, Pavel Havel, mia nonna e mio nonno!

E i batteristi che ti hanno maggiormente influenzato?

Alan Blairman e Billy Higgins prima, adesso sto cercando me stesso!

Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?

Ci sono tanti momenti belli, in particolare quando condivido la musica con i musicisti con cui suoni e la passi all’ascoltatore, e quando faccio bei dischi che mi piacciono!

Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?

Quelli che sono molto aperti da tutte le parti, musica, arte, vita, filosofia…

Come vedi la situazione della musica jazz in Slovenia?

Da noi c’è una crisi pazzesca, non ci sono posti per suonare, abbiamo tre Festival di Jazz, come il Lubiana Jazz Fest, uno di più vecchi dopo Cerknoper per la musica d’avanguardia e Maribom. La destra ha distrutto tutto! Giovani talenti come Jure Pukl, Igor Lumpert, Kaja Draksler e tanti altri sono andati a vivere a New York, in casa sono rimasti in pochi come Samo Šalamon, Cene Resnik, Igor Bezget.

E più in generale che differenze noti tra Slovenia e Italia per il jazz?

Da voi c’è tanta tradizione, e nonostante il Berlusconismo abbia distrutto tanti club, è incredibile quanti giovani talenti ci sono ancora! Da noi invece i giovani vanno studiare in Austria, Olanda o Stati Uniti, quindi ciò crea un problema e porta a poca “originalità”!

Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro [2014]?

Sto lavorando in vari gruppi, ho suonato in Austria con Evan Parker, poi mi dedicherò al Trio Balanescu-Girotto-Kaućić, come pure al “Doline trio”con Saadet Türkoz e Giovanni Maier, al trio “December Soul” con Stefano Battaglia e Paolino dalla Porta, e infine il duo con Johannes Bauer.

Puoi infine parlarci del tuo CD a nome del Dreiländer Trio del 2013?

L’idea di questo CD arriva da Claudio Cojaniz: un giorno siamo andati a San Vito al Tagliamento, presso l’Antico Teatro Sociale Arrigoni e in pratica abbiamo fatto la registrazione in 2-3 ore; Giovanni ha portato con sé il famoso “Zoom” e così è nata la musica, anche se il pianoforte era già stonato! Senza fare troppe chiacchiere o filosofie, abbiamo improvvisato, anche con qualche pezzo già scritto o in testa, che abbiamo portato con noi!

Zlatko Kaucic Komb