// di Francesco Cataldo Verrina //

Una piccola premessa basata su una sensazione ed una convinzione del tutto personale: l’uso della chitarra in un disco che per mood s’inserisce in un contesto post-bop è alquanto rischioso. In primis perché la chitarra, per quanto strumento dalla doppia funzione, accompagnamento e solista, non potrà mai sostituire un pianoforte, non ne possiede la potenza «vocale» e ritmica; in seconda istanza, in qualsiasi chitarrista, specie contemporaneo, si cela sempre lo spiritello di qualche «rock-hero» che tende a far scivolare il costrutto sonoro verso la fusion o un qualcosa di simil-smooth-jazz. Attenzione, però, queste sono solo le parole di un vecchio critico hipster che ama molto la gerarchia strumentale all’interno di un combo jazz, sia pure aperto ai nuovi orizzonti della contemporaneità.

Al netto di ogni valutazione estetica, «Third Wave» di Fabio De Angelis è un ottimo disco ed il chitarrista Luca De Toni s’inserisce bene all’interno di un quartetto pianoless. Generalmente in quei lavori, dove il band-leader è un batterista, si aprono scenari insoliti, in quanto i rifinitori dell’estetica sonora del progetto diventano gli strumenti solisti, nello specifico la chitarra ed sax tenore di Robert Bonisolo, il quale a tratti appare rinunciatario rispetto a De Toni che invece sovrabbonda per eccesso di generosità, volendo usare un eufemismo. Tutto ciò potrebbe essere non casuale, ma intenzionale, essendo il «direttore dei lavori» limitato alla retroguardia ritmica, insieme ad un bassista dalla spiccata personalità come Ares Tavolazzi. Avendo affidato a due solisti, il compito di di dare voce alle varie istanze del progetto, è probabile che Fabio De Angelis abbia pensato di dividere in parti uguali il compito, senza considerare che, per ottenere una più proficua amalgama ed una più convincente sintesi melodico-armonica, la chitarra averebbe dovuto svolgere un ruolo leggermente subalterno. Un modello ispirativo avrebbero potuto essere taluni dischi o concerti di Charles Lloyd, in cui la chitarra svolge un compito importantissimo, con i suoi spazi (dove perfino Bill Frisell accetta questo ruolo), ma sempre di rifinitura e mai preponderante rispetto al sassofono.

«Third Wave» possiede, però, una peculiarità: è il disco d’esordio di un batterista che usa l’escamotage della doppia narrazione tematica in prima linea, al fine di apporre il suo marchio di fabbrica al progetto, e da questo punto di vista l’operazione è perfettamente riuscita. Pensate che Art Bakley metteva sempre il front line due strumenti solisti dalla personalità marcata (una tromba e un sax, in alternativa un trombone) in maniera tale che quella sorta di bipolarismo a tratti competitivo, lasciasse ad intendere che il direttore del cantiere fosse un altro. In «Tribulaçao», opener dal sapore latino e dai contrafforti modali, il sax, che si muove con passo rollinsiano, ma con un timbro più vicino a certi moduli shorteriani, sembrerebbe assoluto dominatore della scena, ma già in «Blopicity», standard a firma Miles Davis (sotto le mentite spoglie di Cleo Henry) e Gil Evans, la torta viene spartita equamente tra sax, chitarra e basso: tutti gli ospiti vengono trattati in egual maniera. Nonostante l’ottima intuizione del batterista-leader di conferire alla struttura ritmica la sua personalità con alcune variazioni, legate alla velocità del tempo, qui lievemente incrementata, l’improvvisazione dei solisti risulta a sé stante e senza un vero gioco contrappuntistico di relazione. Sassofono, chitarra e basso disegnano tre splendidi quadretti come se avessero registrato in tre momenti differenti. «Lake Zurich», componimento dal chitarrista, è un malinconico e brunito jazz waltz in cui la voce lirica e suadente del sassofono si muove su un terreno alquanto libero da ridondanze armoniche, dove chitarra e basso sembrano sussurrare accrescendone il pathos, soprattutto De Toni suona a lungo note pungenti impregnate di blues calante che fanno pensare molto a certe ballate rock da lunga high-way americana, mentre il sax ricompare solo nel tratto finale, riportando il costrutto sonoro in una dimensione molto più jazz e ripetendo lo schema operativo a compartimenti stagno.

«Beatrice», eseguita con un tono avvolgente e crepuscolare che esplode progressivamente in un crescendo di vibrazioni positive, è una composizione di Sam Rivers contenuta nell’album «Fuchsia Swing Song» del 1965. Il tema iniziale viene lanciato dal basso, mentre l’impianto di base è suddiviso tra Bonisolo e De Toni, a metà strada tra due famose versioni successive all’originale di Sam Rivers, quella del sassofonista Joe Henderson del 1986 e quella del chitarrista Philip Catherine del 2010. Fabio De Angelis dichiara: «È la prima cosa che abbiamo suonato in studio tutti insieme, e ho deciso di tenerla. È un brano meraviglioso che non mi stanco mai di suonare anche dopo anni». «Diamond Boy», dedicata al fratello del band-leader, è uno dei momenti più suggestivi dell’album, tra le atmosfere sospese e oniriche alla Wayne Shorter ed i languori di una chitarra struggente che disegna una melodia a facile presa fatta di note ariose e spaziate, mentre la retroguardia presidia il tracciato con variazioni ritmiche non convenzionali ed ispirate ad alcuni moduli percussivi più contemporanei. C’è perfino un omaggio a «Senza Fine», un classico di Gino Paoli, personaggio che sta incrementando le proprie quotazioni negli ambiti jazzistici per la modularità delle sue composizioni, le quali si prestano a diverse variazioni armoniche. Chissà se avremo mai un ItalianSongBook, dal quale i jazzisti nostrani potranno trarre linfa ispirativa? La versione proposta dal quartetto di De Angelis risulta molto più asciutta e sfrondata dei certi vincoli melodici eccessivamente dolciastri. In verità, sembra una cosa altra rispetto all’originale, grazie ad un arrangiamento originale e propedeutico al gioco alternato di sax e chitarra.

La title-track, «Third Wave», composta da De Angelis, si riferisce alla terza ondata epidemica ed è imperniata su un impianto tipicamente hard-bop di scuola coltraniana, in odor di «Giant Steps», dove il sax di Bonisolo emerge in tutta la sua potenza muscolare, peccato che l’intermezzo di basso e chitarra, per quanto di pregevole fattura, freddino la necessaria «aggressività» necessaria per un costrutto di tale fattura. Ottimo il recupero sul finale anche se breve, sostanziato da un dialogo tra batteria e sassofono. L’autore lo descrive così: «Third Wave è stata scritta durante la terza ondata. E’ un brano che ho suonato in vari contesti e in vari modi. Sicuramente è quello che racconta di più questa mia fase legata alla tradizione». A suggello dell’album un altro evergreen, «Just in Time» di Jule Styne proveniente dal musical «Bells Are Ringing» messo in scena per la prima volta nel 1956 e rivisitato da Tony Bennett, Dean Martin e Nina Simone. L’arrangiamento di De Angelis è implementato in velocità e locupletato dal sax, con il sostegno della batteria, che si presta a misurarsi su vari terreni, guardando nello specchietto retrovisore, come uno scrittore d’avanguardia che usa le citazioni di illustri predecessori. Queste le parole di De Angelis: «È uno standard legato alla tradizione che mi è sempre piaciuto per la sua melodia. Un brano che ho voluto incidere in questo modo perché volevo un momento in cui suonare da solo con Robert senza nessun accompagnamento, tirando fuori quella vena un po’ più aggressiva che abbiamo entrambi». «Third Wave» di Fabio De Angelis è un disco facile, fruibile e ricco di melodie a presa rapida, che potrebbe fare la felicità dei neofiti e di quanti non cercano nel jazz compiti difficili da svolgere; un lavoro misurato nei dettagli e con una precisa messa a punto, equilibrato nei suoni e caratterizzato, forse, da un eccessivo bilanciamento di pesi e contrappesi fra le parti. Se dovessimo trovare un difetto, sarebbe quello tipico dell’opera prima, dove si avverte qualche ingenuità negli arrangiamenti, mentre la formula esecutiva risulta a tratti schematica e vagamente scolastica. Noi di DoppioJazz non amiamo dare punteggi, ma ci fermiamo a quattro stelle, aspettando Fabio De Angelis alla prova del fuoco del suo secondo album.

Fabio De Angelis