// di Francesco Cataldo Verrina //

Se è vero che la tromba sia lo strumento che più di ogni altro riesce ad incarnare la voce umana, ricreandone talune sfumature in maniera quasi speculare, una tromba applicata all’opera lirica con le modalità di un canto diventa una forma di simbiosi creativa dal tratto saliente estremamente suggestivo e coinvolgente.

La rilettura della «Norma» di Bellini» di Paolo Fresu attraverso gli arrangiamenti di Paolo Silvestri, che dirige l’Orchestra Jazz del Mediterraneo, diventa un nuovo linguaggio espressivo che oltrepassa le formule tradizionali di «third stream», la famosa «terza via» da sempre agognata da George Russell, Gunther Schuller e da numerosi musicisti e musicologi i quali pensavano ad un ricercato connubio tra elementi jazzistici di matrice afro-americana e il più tradizionale serbatoio classico della musica eurodotta. Di certo, la rivisitazione del capolavoro operistico del compositore catanese ad opera di Fresu e Silvestri travalica tutta una tradizione di esperimenti effettuati in ambito jazzistico come la famigerata «Porgy and Bess» di George Gershwin orchestrata, negli anni ’50, da Gil Evans per Miles Davis. La mente corre anche a tanti altri lavori più o meno riusciti di musicisti jazz alle prese con ricche orchestrazioni di archi, legni e ottoni: uno su tutti «April In Paris» di Charlie Parker, ma la lista sarebbe lunga ed interminabile.

Spesso molte di queste iniziative vengono comunemente considerate poco ortodosse e non conciliabili sia dai cultori del jazz straight-ahead che dai templari del purismo classico-sinfonico. Paolo Fresu da lungo tempo tratta materiale slegato da qualsiasi stile contemporaneo, ma allo stesso tempo non esattamente classico: rivisitazioni di formati musicali lontani dal jazz attraverso reinterpretazioni non convenzionali ed atipiche. Era già successo con «Altissima luce. Laudario di Cortona». Nel caso della «Norma» gli elementi classici ed operistici non si fondono, ma si sovrappongono armonicamente compensandosi: lo strumento-orchestra, abnorme per dimensione, non fagocita mai il «piccolo» solista che ne diventa prolungamento espressivo e voce narrante. Molti tentativi pregressi di «terza via» in ambito jazzistico, specie negli anni ’50 e ’60, si sono basati su un assemblaggio di frammenti prelevati dal cosiddetto AmericanSongBook, che pur messi insieme per affinità elettiva, non possedevano l’omogeneità e sontuosità di un capolavoro del melodramma italiano della prima metà dell’Ottocento, terreno fertile per il romanticismo letterario, scenario ideale per una sorta di nuovo sturm und drang universale, dove le passioni ed i sentimenti sono stati celebrati da melodie immortali, che definiscono l’idea stessa di «bel canto».

Inizialmente l’Art Sicilia Jazz Festival aveva proposto a Paolo Silvestri una rilettura delle arie più famose di Vincenzo Bellini, «poi nel corso del lavoro di arrangiamento», racconta il maestro nelle liner notes dell’album «ho invece maturato l’intenzione di creare una versione moderna di Norma, pur senza rispettare la successione originale dei brani, lasciando quasi inalterate le melodie nella loro straordinaria bellezza, mantenendone spesso la forma simile alle canzoni popolari del nostro tempo, ma rielaborando l’armonia e la strumentazione in uno stile jazzistico». Così le celebri arie della Norma, riacquistano nuova linfa vitale, corroborando un’attualità mai doma, attraverso l’incantevole «voce» della tromba e del flicorno di Paolo Fresu, che sostituisce idealmente, senza diventarne un surrogato, le voci delle grandi cantanti liriche che hanno reso immortale, un’opera avvincente, ma di difficile interpretazione ed esecuzione. Siamo di fronte ad un costrutto sonoro capace di trascendere la grammatica di uno specifico codice stilistico, per diventare semplice vettore di un flusso emotivo costante.

Il tocco sensuale e vellutato di Fresu, al contempo fragile e delicato, potente e descrittivo, riporta alla mente la voce del grande soprano Maria Callas. Lo stesso Fresu cerca di precisare: «Non solo la tromba al posto della voce della Callas ma siccome il disco è uscito per la mia etichetta discografica Tuk Musik , che ha una sezione dedicata alle voci, l’ho voluto addirittura inserire in questa sezione perché per me è un disco di voce. Non è la voce di una cantante ma la voce di una tromba, però c’è questa idea di assonanza tra la voce e la tromba. Del resto, la tromba è uno strumento molto fisico, sicuramente è quello più vicino in assoluto alla voce. Io da tanti anni porto avanti una ricerca sempre più approfondita su questa idea della tromba intesa come voce anche dal punto di vista delle melodie che scelgo a volte anche dal mondo della musica classica. In questo caso si è trattato di un progetto sull’Opera dove io devo «cantare» esattamente come canterebbe un soprano. Sono molto, molto soddisfatto, è una cosa che mi appartiene e il progetto è stato accolto benissimo. Le melodie di Bellini poi sono straordinarie, per certi versi molto moderne e quindi potevano essere trattate anche dal punto di vista jazzistico».

Il procedimento è ben strutturato ed organico e l’orchestra non tende mai a fagocitare il solista: l’equilibrio è perfetto. Il tenue lirismo l’innata capacità di sintesi ed il connaturato eclettismo di Fresu si esaltano nell’immortale «Casta Diva», la sentita invocazione della sacerdotessa gallo-romana Norma all’argentea luna; quasi un dono del cielo la sordina in «Dormono entrambi», oppure la capacità di semplificare, sgretolare e addensare la melodia in “Oh! Rimembranza!”, sino a giungere ad un finale drammatico e toccante. L’ampiezza e la leggerezza dei luminosi ed avvolgenti arrangiamenti operistici, trovano una sponda perfetta nella composizione e nell’improvvisazione d’ispirazione jazz, nella flessuosità ritmica e nella complessità armonica dell’Orchestra Jazz del Mediterraneo, ma soprattutto nella ricerca timbrica e nella purezza melodica di Paolo Fresu.

Tutte le performance sono in linea con il lirismo adamantino dell’arte compositiva di Vincenzo Bellini che, attraverso gli strumenti a fiato del musicista sardo, diventa una moderna apertura alla «cantabilità» classica. Siamo di fronte ad un perfetto sistema di vasi comunicanti tra le partiture del capolavoro operistico ed il mondo del jazz, nel senso più autentico dell’interpretazione e dell’adattamento non vincolato: la morbida, swingante, piacevole leggerezza dell’essere dispiegata ad ali libere dai sedici elementi dell’Orchestra Jazz del Mediterraneo, in primis il convincente pianoforte di Seby Burgio, il vecchio bop srotolato su ritmi quasi esotici in «Va, crudele, al Dio spietato» o le pennellate ampie e seducenti alla Miles Davis in sordina su «Deh! Proteggimi o Dio!», il paesaggio musicale tanto potente quanto umano tracciato dalle prime battute della conclusiva «Guerra! Guerra!» / «Qual cor tradisti» / «Deh, non volerli vittime» ne sono una dimostrazione lampante. Una rivisitazione in chiave strumentale libera dalla consecutio logica dello sviluppo narrativo per nulla scontato o ridondante, di alto valore divulgativo e interdisciplinare, quindi riproducibile senza vincolo di mandato all’interno dei più disparati contesti: teatri, festival jazz, sale da concerto, studi televisivi, piazze o auditorium.

Così come Fresu è capace di fotografare con poche parole due leggende del jazz come Baker e Davis: «Chet era la poesia, Davis il coraggio dell’innovazione», non teme di sconfinare, di oltrepassare la recinzione degli steccati armonici e dei codici semantici, o di entrare da jazzman sul palcoscenico della Classica o dell’Opera: «Norma» è una conferma della sua indole girovaga ed esplorativa nell’ambito di territori sonori non sempre agevoli e facili da attraversare. La cover art, in linea con lo stile minimale adottato nei più recenti dischi del musicista sardo, è rappresentata da un’opera di Alessandro Gottardo, artista che ha già collaborato con la Tǔk Music per la copertina di «Eros» di Paolo Fresu e Omar Sosa pubblicato nel 2016.

Paolo Fresu (Foto Roberto Cifarelli)