// GIanluca Giorgi //
Flock, Flock (2022 2lp)
Uno dei punti di forza della scena jazz alternativa che è cresciuta a Londra negli ultimi anni è l’interconnettività dei suoi musicisti. Tutti si conoscono e band ad hoc si uniscono costantemente. Flock è una nuova collaborazione tra cinque musicisti di spicco della scena jazz e sperimentale londinese: il vibrafonista Bex Burch (Vula Viel), il percussionista Sarathy Korwar, il tastierista Dan “Danalogue” Leavers (Soccer96, The Comet Is Coming), il pianista Al MacSween (Maisha) e il suonatore di ance Tamar Osborn (Collocutor), i quali nel disco si cimentano una gran varietà di strumenti. Galeotta fu una jam in streaming: nel primavera 2020.
L’alchimia tra i musicisti è stata così perfetta che, nell’estate dello stesso anno, l’etichetta Strut Records ha pensato bene di far rinuire il gruppo ai The Fish Factory Studios di Londra per dar vita a un nuovo progetto. Dopo due anni, a maggio 2022, è uscito l’album di debutto.
Ciò che unisce Flock sono, in primo luogo, l’entusiasmo per le tradizioni musicali al di là del jazz e, in secondo luogo, la capacità di combinare in modo convincente le radici acustiche con il futurismo elettronico. Nell’album ci sono risonanze del primo minimalismo, del jazz spaziale alla Sun Ra, della musica trance magrebina, della musica percussiva giavanese, dei collage audio tipo Jon Hassell e della musica per meditazione Zen. Quindi troviamo brani epici ed altri minimali, altri più tesi e claustrofobici, comunque l’atmosfera che prevale è solare.
La copertina è un’opera d’arte basata su una nuova illustrazione esclusiva di Muhammad Fatchurofi. Un gran disco di moderno jazz.
Eiji Nakayama, Aya’s Samba (1978 ristampa 2019)
Prima ristampa in vinile di questo incredibile album di Eiji Nakayama. Un sogno per gli amanti del genere, infatti le stampe originali sono rarissime da trovare e molto costose (circa €1000,00). Ormai in esaurimento a che questa ristampa che stiamo trattando. Johnny’s Disk record è un’etichetta jazz indipendente, gestita dal proprietario del jazz cafe Kaiunbashi No Johnny situato a Rikuzentakata City nella prefettura di Iwate, in Giappone.
L’album in oggetto rappresenta una pubblicazione importante per il catalogo della Johnny’s Disk, non solo perché rappresenta la prima uscita in assoluto, ma è all’origine della nascita dell’etichetta. All’epoca, quando il proprietario ascoltò la band suonare decise di fondare l’etichetta. Un’organizzazione dicograficaapprezzata nel tempo e che ha pubblicato una serie di album di alta qualità, che vanno dal jazz moderno, al jazz d’avanguardia, al rock antagonista. Questo è un disco diviso tra un profondo jazz spirituale e di impressionismo post-modale. Un lavoro complessivamente interessante, con un lato A veramente superbo. “Yellow Living” è una ballata lenta intrisa di malinconia, con il sax è la tastiera che emozionano, mentre “Aya’s Samba” è un dolce jazz-samba in tonalità minore, considerato un classico del jazz giapponese. Stupendo!
Silent Room (Enzo Carniel e Filippo Vignato), Aria (2021)
Silent Room è un dialogo, tra il pianoforte del francese Enzo Carniel e il trombone dell’italiano Filippo Vignato, due artisti molto vitali della scena jazz europea. Un disco lirico e raffinato che si muove tra espressione e contemplazione; tra lirisimo e minimalismo, tra musica acustica ed elettronica, ricco di invenzioni e imprevedibile nei suoi sviluppi, in alcuni momenti quasi liturgico. L’accoppiata strumentale non è molto usuale e la musica che ne deriva è di difficile classificazione, muovendosi tra jazz, musica contemporanea e ambient. Il duo sembra riempire di suoni una stanza silenziosa (da qui il Silent Room), aria che all’udito si fa suono, il suono del trombone e quello del piano acustico, del Fender Rhodes e dell’elettronica che intrecciano un dialogo ininterrotto in tutte le otto tracce di “Aria”, dove diventa meraviglioso anche il “suono del silenzio”. Un’album molto suggestivo, personale, di grande fruibilità ma non banale.
Da non perdere, asolutamente.


AM (Isaiah Collier & Michael Shekwoaga Ode), Beyond (2022)
I AM è il duo composto da due vecchie conoscenze, Isaiah Collier al sax e alle percussioni e Michael Shekwoaga Ode alla batteria. I AM: Beyond potrebbe sembrare un disco di free jazz ma è molto di più, infatti, gli interpreti si muovono liberi tra jazz, musica orientale, funk, avant-garde, blues, rock e poliritmi dell’Africa occidentale. Un disco non convenzionale che si spinge spingersi veramente oltre: è suono allo stato libero.
Nel complesso è un collage di suoni spirituali, che possiamo sentire già nella prima traccia, un rituale di 11 minuti intitolato “Introduction: Take Me Beyond”, una poesia parlata, caratterizzata da colpi di gong, didgeridoo e campane tibetane del poeta Jimmy Chan, ospite nel disco, il pezzo alla fine si abbandona al flauto Hulusi di Collier e al sax sopranino, diffondendo nell’aria qualcosa di sciamanico. Tutto il percorso si basa sull’interazione fra i due musicisti e si muove soprattuto seguendo l’esecuzione infuocata di Collier con riff duri e ossessionanti, ma precisi, mentre la batteria rimbombante e fragorosa di Ode. Collier in alcuni frangenti non disdegna un suono melodico a spirale, ulteriormente rafforzato in questa registrazione dall’uso della respirazione circolare, creato spesso attraverso l’elaborazione elettronica delle lunghe linee del sax. Ma è nella crudezza esecutiva di questo duo che risiedono i punti di forza dell’album.
Il disco è l’ennesima prova del fatto che ci troviamo difronte ad un boom per il jazz, in particolare modo quello più sperimentale e basato sulla commistione (proveniente principalmente da Chicago, New York e Londra). Il microsolco nel suo complesso presenta momenti di drammatico crescendo e decrescendo, con un’energia che potrebbe attirare anche i fan del rock più rumoroso, soprattutto colpisce che il disco sia stato registrato in una sola notte. Sebbene riecheggia il passato, Beyond non è un’imitazione o un tentativo di ricrearestorie già sentite, ma è un concept pieno di energia spirituale con sonorità moderne spesso basati su riff, simili a quelli del gruppo di Shabaka Hutchings, Sons of Kemet. L’ obiettivo di questo progetto è trasportare l’ascoltatore in un viaggio inedito e senza compromessi.
The Awakening-Hear, Sense And Feel (1972 ristampa 2019)
Quando gli Awakening si formarono all’inizio degli anni ’70, unirono veterani del R&B di Chicago e musicisti jazz affiliati AACM, mentre per questo album di debutto il sestetto ha attinto a diverse fonti. Il disco non è un classico progetto di jazz spirituale, del tipo Sanders o Coltrane, ma è una sorta di via di mezzo,tuttavia potrebbe essere un valido album per chi volesse avvicinarsi al questo genere. Non contiene brani molto lunghi e difficili da ascoltare soprattutto possiede un suono abbastanza accessibile. Si percepisce una sensazione di jazz spirituale senza la magnificenza (coltraniana) ad esso associata. Pur contenendo qualche momento caos si ascolta facilmente ed ogni traccia è superba. Da molti è considerato, comunque, un classico del jazz spirituale, ma soprattutto un raro album della Black Jazz, mai ristampato prima. Essenziale!


Michael Gregory Jackson, Clarity (1977 ristampa 2019)
Un album molto particolare che segna il debutto su ESP-Disk del chitarrista Michael Gregory Jackson, poi passato negli anni a venire alla musica jazz e fusion. Un lavoro che risente del periodo ed infatti l’atmosfera che si respira è selvaggiamente meditativa, ma al contempo rilassante e piena di suadenti melodie. Il leader Michael Gregory Jackson alle chitarre è accompagnato da David Murray al sax tenore, Oliver Lake al flauto e Wadada Leo Smith alla tromba, musicisti che, durante il set, si sono cimentati con una gran varietà di strumenti.
All’interno delle varie tracce possiamo trovare musica aritmica, rumore avant percussivo, chitarra elettrica elaborata e linee di fiati infuocate e flauto, con l’incantevole voce R&B di Jackson. Bill Frisell considera Michael Gregory Jackson tra quei chitarristi misconosciuti che hanno contribuito all’evoluzione del jazz nella New York degli anni Settanta, influenzando profondamente quella straordinaria stagione dell’avanguardia. Uno dei chitarristi più originali della sua generazione con uno stile estremamente versatile unitamente ad una capacità di utilizzare al meglio i nuovi ritrovati dell’elettronica. Il primo brano è veramente una chicca, una gran bella scoperta.
Tom Skinner, Voices Of Bishara (2022)
Voices of Bishara è la prima registrazione a proprio nome del batterista, compositore e produttore con base a Londra Tom Skinner, figura centrale sulla scena musicale underground degli ultimi vent’anni. Skinner negli anni ha svariato tra jazz contemporaneo e musica indie suonando, per anni, con la leggenda del jazz etiope, Mulatu Astatke, nei Sons of Kemet come uno dei due batteristi, nel progetto elettronico “Hello Skinny”, mentre di recente ha fondato il trio The Smile con Thom Yorke e Jonny Greenwood.
“Voices of Bishara” è un disco di ottimo jazz, con un approccio al genere non propriamente ortodosso, ma un jazz al tempo stesso classico (con certi suoni anni sessanta e settanta) e contemporaneo (in taluni casi con ritmiche quasi dub e hip hip), e con accenni allo “spiritual jazz”, genere tornato fortemente di moda. Un approccio molto vigoroso al jazz, speciequando Hutchings e Garcia usano note spezzate; meditativo quando Hutchings passa al clarinetto basso, Garcia al flauto mentre il violoncello di Dayes crea morbidi tappeti. Il disco è stato registrato dal vivo in studio, quindi Skinner si è occupato della post-produzione, adottando la formula del taglia e cuci, alla maniera di Theo Parrish o del più attuale Makaya McCraven. Per l’album in questione ha radunato il meglio della scena londinese, a partire proprio da Shabaka Hutchings e Nubya Garcia al sassofono e al clarinetto (per la prima volta insieme su un disco), oltre ad aver coinvolto Kareem Dayes (violoncello) e Tom Herbert (contrabbasso). Il progetto è stato accolto molto positivamente dalla critica che, in massima parte, lo sta considerando uno dei migliori album dell’anno, emozionante e vivace.

