// di Marcello Marinelli //
Era una mattina piovosa e domenicale di fine novembre. Akahito Mizumi uno studente di filosofia, originario del distretto di Kamikawa, passeggiava per le vie deserte del centro di una Tokyo ancora assonnata. Mise le cuffie senza fili alle orecchie e si collegò con Spotify e ricercò la musica di Ryiuchi Sakamoto un pianista che amava, già sapeva che era la musica giusta per quel preciso momento e si diresse verso il fiume. Spinse play in modalità random e ironia della sorte il primo brano che partii fu ‘Amore’, solo piano. Le prime note del brano accordi leggeri che si ripetevano e poi il tema così bello che lo fece trasalire e brividi di adrenalina gli salirono per tutto il corpo e gli si arrossarono gli occhi e trattenne a stento le lacrime, la musica e il suo ’mood’ erano una cosa sola; la capacità della musica di tradurre in suono gli stati d’animo.
Akahito era di un umore malinconico, la sera prima, la sua ragazza Hisako Suzuki, senza un apparente motivo, l’aveva lasciato improvvisamente, dopo una serata divertente al karaoke. Akahito non riusciva a spiegarsi il perché di quella fulminea decisione tanto più dopo quella bella serata. Rimuginava sui possibili motivi ma non riusciva a trovare una spiegazione plausibile. Akahito era davvero triste, quattro righe su ‘uozzap’ avevano decretato la fine della loro storia. Subito dopo Hisako era letteralmente sparita non rispondeva ai messaggi e alle chiamate, volatilizzata. Intanto la musica di Sakamoto proseguiva la sua trama casuale inserita nei suoi padiglioni auricolari e la dolcezza del suo piano dialogava col Violoncello di Jacques Morelembaun, un violoncellista brasiliano, in “Bibo No Auzora”, il loro dialogo era appassionato ma anche aspro come tutti i dialoghi tra amanti, a tratti stridente. Amava Hisako, la loro storia era iniziata tre anni prima durante una vacanza estiva nell’arcipelago di Hokinawa, dove si erano conosciuti. Tokyo era così bella e struggente quando era deserta e piovosa. Struggente come “Tango” brano cantato della sua playlist del pianista nipponico che evocava luoghi lontani ma col medesimo sentimento. Ultimo tango a Buenos Aires o ultimo tango a Parigi?
Il posto che Akahito amava di più di quella megalopoli era il lungo Sumida, il fiume che la bagnava e in quel momento avrebbe voluto accanto a sé Hisako avrebbe voluto abbracciarla e ballare con lei quel “Tango” che stava ascoltando, almeno un ultimo tango a Tokyo. Continuava a passeggiare e a rovistare tra i suoi pensieri quando all’improvviso, sul greto di quel fiume immenso, dove la città sembrava ancora più immensa, vide una ragazza seduta su una panchina. La ragazza stava osservando avidamente il suo cellulare, sembrava completamente estraniata dalla realtà circostante, ma quando Akahito le passò accanto, quella ragazza alzò lo sguardo e incontrò lo sguardo di Akahito. Quello sguardo durò a lungo, molto a lungo, almeno secondo gli standard giapponesi, per Akahito sembrò un’eternità. Quella ragazza gli sorrise. Era un sorriso spontaneo e leggero come le nuvole sovrastanti. Akahito rispose a quel sorriso luminoso con un sorriso goffo e impacciato, ma gli venne naturale sedersi accanto a lei.
Akahito si meravigliò di sé stesso, della sua audacia, lui che era così timido e introverso. Passarono degli istanti infiniti, era come se in quel momento il corso del tempo avesse rallentato mostruosamente il suo fluire naturale. Stavano l’uno accanto all’altra in silenzio. Indirizzarono i loro sguardi verso il fiume. Akayto aveva ancora le cuffiette e stava ancora sentendo Riyuchi Sakamoto e in quel preciso momento “Merry Christmas Mr Lawrence”, la musica sincronizzata perfettamente con i suoi umori fluttuanti. Fissavano il maestoso Sumida davanti ai loro occhi come se fosse il palcoscenico di un grande teatro. Avevano entrambi un sorriso ebete sulle loro bocche. Dopo quegli istanti interminabili passati a guardare verso il fiume, girarono all’unisono le loro teste e incrociarono di nuovo i loro sguardi. Akahito spinse il tasto stop sulla playlist di Ryiuchi Sakamoto, si tolse le cuffiette dalle orecchie “Come ti chiami?” le domandò. “Mi chiamo Akiko, Akiko Tanata e tu?”. “Mi chiamo Akahito Mizumi”. passarono altri lunghissimi attimi. “Da dove vieni Akiko?”.
Nel mentre una voce, poco lontano, esclamò: “Andiamo Akiko, si è fatto tardi, ci stanno aspettando al porto”. Era la voce di un ragazzo poco distante in compagnia di un altro ragazzo. Akahito rimase sorpreso di quella voce. Akiko si alzò di scatto e mentre andava via gli disse. “Vengo da Sapporo e sono a Tokyo per l’università. Ciao Akahito”. “Anch’io vado all’università. Allora speriamo di incontraci di nuovo Akiko”. Mentre si allontanava riuscì a udire solo le sue ultime parole “Lasciamo decidere al destino Akahito”. Si salutarono con un cenno della mano. Akahito non immaginava quale sarebbe stata la decisione del destino ma sicuramente il cielo plumbeo di quella mattina domenicale di Tokyo gli sembrava il cielo più bello del mondo e Hisako Suzuki immobile nello sfondo. Akahito perplesso, confuso, ma decisamente meno malinconico, si alzò dalla panchina, cominciò a camminare lungo il fiume si rimise le cuffiette, spinse il tasto play di Spotify, uscirono casualmente le dolci note del menestrello Sakamoto che intonavano “Dream” tratto dall’album “L.O.L. Lack Of Love” (Mancanza di amore) si fermò un momento, chiuse gli occhi e sorrise.
