// di Francesco Cataldo Verrina //
Già l’idea che un disco possa ispirarsi al romanzo «Le Città invisibili» di Italo Calvino offre una forte suggestione all’immaginario del fruitore, che percepisce la struttura sonora e narrativa delle vaie tracce come se fossero i capitoli di un libro. Ad onor del vero, l’intelaiatura armonica di «The Imaginary Roads», l’album di Alessandro Campobasso e del suo quartetto, pubblicato dalla GleAM Records possiede tutte le caratteristiche di quella che potrebbe essere la colonna sonora ideale del romanzo legato alla fase sperimentalista di Calvino e che il suo autore scrisse e diede alle stampe nel 1972. «Le città invisibili» appartiene a quel periodo che alcuni studiosi chiamano «combinatorio», dove la letteratura diventa un gioco, ossia una costruzione che viene eretta e poi distrutta, quasi come la struttura melodico-ritmico-armonica di un disco jazz.
Chi legge il libro di Calvino, alla medesima stregua di chi ascolta il disco di Alessandro Campobasso, può affrontare una lettura tematica, quindi un ascolto tematico, oppure seguire l’ordine consueto, pagina dopo pagina, composizione dopo composizione, finendo col trovarsi davanti un variegato labirinto di suggestioni, in cui sembra che i temi e i soggetti si perdano e si ritrovino in un fantasioso groviglio di parole o di note, dove il lettore deve ricombinare le parti, cosi come i musicisti fanno con le diverse partiture. Alessandro Campobasso, leader e batterista, sostenuto da Luigi Di Nunzio al al sax contralto, Pasquale Calò al sax tenore, Eugenio Macchia al pianoforte e Giulio Scianatico al contrabbasso, si cimenta su uno schema fortemente evocativo, dove le ricche tessiture sonore, le forme e gli spazi multitematici si combinano come i racconti che Marco Polo, nel libro di Calvino, fa al Kublai Khan, imperatore del regno dei Tartari, narrando di città immaginarie incontrate sul suo cammino, attraverso le sensazioni e le emozioni che quei luoghi, con i loro profumi, sapori e rumori, gli avevano suscitano. Nel disco di Alessandro Campobasso, le essenze ed i cromatismi sonori riportano alla mente lunghi viaggi, distese e panorami mozzafiato, in virtù di un perfetta combine di elementi jazzistici attinti alla tradizione che confluiscono in una modernità liquida come le acque di un affluente in mare aperto.
«Le città invisibili» non è propriamente un racconto di fantascienza ma, il succedersi dei suoi capitoli, fa pensare di trovarsi in un mondo «alieno» e sospeso in un’altra dimensione: tutto ciò accade anche ascoltando attentamente «Imaginary Roads» di Campobasso e compagni, dove l’alienazione diventa alterità, ossia la ricerca di una destinazione altra, rispetto all’opprimente società contemporanea, sfilacciata e frammentata, nella quale gli individui non conoscono, o hanno dimenticato, la nozione di interplay o di interrelazione. Il disco si basa sul concetto di strade immaginarie ed immaginate che confluisco, s’intersecano e si disperdono attraverso un impianto musicale a maglie larghe e con le parti scritte non recintate, dove l’improvvisazione, la poetica della libertà e la fuga verso un altrove sono sempre possibili. Tutta le tracce eseguite nel set sono farina del sacco del batterista-leader, ottimo arrangiatore e compositore, fatta eccezione per «You And The Night And The Music». Sei capitoli tematici che offrono un quadro organizzativo variegato nelle dinamiche espositive, quasi un concept circolare dove il pensiero iniziale si salda perfettamente a quella finale, attraverso una spirale contrappuntistica basata sulla confluenza e su un sinergico lavoro di squadra. L’opener, «Interrail Global Pass», introdotta dal batterista-leder, quasi a voler apporre un sigillo sulla propria opera, si muove in maniera incisiva, facendo uso di reiterate situazioni, al limite dell’ostinato, e di un fluido commercio di idee tra piano e sassofoni, che si alternano in uno schema surrettizio e complementare, mentre la retroguardia ritmica delimita il perimetro con estrema abilità. Per l’autore è l’inizio di un viaggio che scava nella memoria. «News» si sostanzia come un progressione serpentina ed ipermodale, dal sapore vagamente dissonante ed impostata su moderato jazz-waltz sospeso al filo della tensione, tanto da ricordare rtalune atmosfere shorteriane, ricche di simboli, di percezioni e premonizioni che diventano i segni di una vita reale, ma anche fantastica.
«You and The Night and The Music»è uno standard d’altri tempi e dal sapore nostalgico, ma ricollocato in una dimensione contemporanea dal formato quintetto, con Pasquale Calò che armonizza e rifinisce al sax tenore la melodia disegnata dal contralto Luigi Di Nunzio. Il costrutto sonoro si materializza come un mid-range avvolgente e rilassato, in cui la sezione ritmica foraggia il contralto nell’atto di addentrarsi in un’esplorazione melodica che sembra ricercare e cogliere i desideri più reconditi. Un assolo di basso sul finale fa da spartiacque all’arrivo della quarta traccia, «Play On». Nelle intenzioni dell’autore il riferimento va al linguaggio gergale del rugby, quando l’arbitro pronuncia l’espressione «play on», mentre si continua a giocare e lottare nonostante tutto. Siamo dunque alla materializzazione scenica di un processo di reazione e resistenza che tutti gli umani affrontano durante il loro percorso esistenziale. Il tema portante sono gli scambi tra le persone che sono rappresentati musicalmente da ripetuti cambi di passo e di umore e da un ottima linea di basso, complice la batteria, che da consistenza al mood cangiante e mutevole della prima linea.
«All of Marla», liberamente costruito sullo standard «All of Me», la cui citazione risulta assai evidente in talune partiture, è anche il brano più esteso dell’album, quasi dieci minuti. Il viaggio si conclude con la title-track, «The Imaginary Roads», strade e città fantastiche come nel romanzo di Calvino, immaginate dalla mente, ma viste anche con gli occhi di colui che sa guardare oltre la banalità del quotidiano. L’ensemble torna alla modalità quintetto, dove le due ance condividono una metrica dispari in un andirivieni contrappuntistico quai ciclico, in cui l’interplay sviluppa una costante situazione di vicinanza e distacco, contrazione e rilascio tensioattivo non del tutto convenzionale. «The Imaginary Roads», è un lavoro dotato di una notevole componente onirica, attratto dall univesro delle «fantaparole», ma compensato dalla solidità esecutiva di musicisti, i quali non chiudono mai i cancelli della creatività, lasciando molte strade aperte: metaforicamente, tutte quelle strade immaginate, perse, presenti, passate e future.
