// di Bounty Miller //
Basta ascoltare il basso incisivo e martellante di «Ladies Night», l’invitante ritornello di «Get down on it» o la contagiosa allegria di «Celebration» per capire che, dietro la storia di questa disco-funk-band, ci fosse una solida e lunga militanza sulle assi dei palcoscenici. Per intenderci, mestiere e dimestichezza con la fabbrica dei successi a presa rapida, soprattutto un’innata capacità compositiva capace di dosare abilmente melodia e groove. È certamente riduttivo parlare della Gang come di un semplice fenomeno disco-music, anche perché, prima della parentesi «discotecara» che li ha resi famosi in tutto il mondo, i Kool & The Gang avevano già concesso molto alla discografia mondiale. I Nostri esordirono nel 1969. Il primo singolo, «Kool & The Gang», tratto dall’album omonimo, in pochissimi giorni, scalò le classifiche ufficiali di Billboard e quelle speciali riservate all’R&B. A ruota, arrivarono altri singoli come «The Gang’s Back Again», «Let The Music Take Your Mind» e «Funky Man».
I sette album che seguirono, registrati tra il 1969 e il 1974, raccolsero l’unanime consenso di pubblico e critica. Nel 1973, «Live At the Sex Machine» fu il primo album ad approdare ai quartieri alti delle classifiche, grazie ad un trascinante singolo, «Funky Stuff». Nel 1976 si unì al gruppo Clifford Adams trombonista di notevole capacitaà compositiva ed esecutiva. Con «Open Sesame», «Jungle Boogie» e «Hollywood Swinging», i Kool & The Gang rinnovati nel line-up raggiunsero la consacrazione, salendo in cima alle charts e smerciando milioni di dischi in tutto il mondo. All’interno della storia e della discografia di Kool e compagni esiste, dunque, una forte dicotomia tra quella che fu la produzione dei primi anni ’70, almeno fino alla «Saturday Night Fever», della cui colonna sonora fecero parte, ed un certo conformismo di maniera tipico del periodo aureo dei primi anni ’80 con milioni di copie vendute in ogni sperduta landa del Pianeta Terra.
In verità, Kool & The Gang sono stati sempre percepiti come uno strano oggetto contraddittorio: da una parte propugnatori di un edonismo fisico-estetico ed artefici di un piacere immediato da fruire in pista sotto il bombardamento di migliaia di watt; dall’altra l’esperienza e il background di artisti di vaglia, capaci di divagazioni jazz-funk e riferimenti al rock, genere peraltro sfiorato negli anni ’80, nella fase calante della loro carriera. La gang di Robert «Kool» Bell ebbe il merito storico di creare quella sorta di crossover tra vari stili e generi afro-americani, elaborando una sintesi sonora «giullaresca» e capace di divertire bianchi e neri, attraverso un’immagine perennemente giovane ed un piacevole ibrido musicale non improvvisato, ma frutto di studio e di reale consistenza musicale.
La Kool & The Gang è stata una «band» (band nel senso più nobile del termine) significativa e fondamentale nel processo di evoluzione della black music, decisiva per certi versi, nonché tra le espressioni musicali nere più integrate e più fruite nei club d’America e d’Europa, ma anche percepita come un vero ensemble di musicisti e non come una creazione «in vitro», caratteristica che accomunava molti prodotti destinati alle discoteche. Le loro origini si perdono negli anni ’60, periodo difficile alla ricerca di una quadratura stilistica e formale. Attraverso un percorso pionieristico, Kool e soci giunsero alla definizione di uno modulo espressivo fruibile ed accettato almeno una decina d’anni più tardi. Si pensi che il gruppo fu tra i primi organici di colore ad esplorare e forgiare una miscela sonora capace di collocarsi al crocevia tra il jazz-funk ed lo street party, proprio quel sound tipico (conosciuto ed amato) che li ha iscritti di diritto all’albo d’oro della storia della musica contemporanea. Anche se dopo un album di grande successo, come «The Spirit of the Boogie» del 1975, la band cominciò ad abbandonare progressivamente l’ortodossia del «P-Funk», del funk distillato in purezza, «Pure Funk» come lo definiva George Clinton dei Funkadelic.


Nel 1964, Robert «Kool» Bell, bassista di talento, mise in piedi, dalle parti di Jersey, un gruppo chiamato Jazziacs. Tale denominazione la dice lunga su quelle che sarebbero state le finalità del gruppo, almeno nelle intenzioni, ossia una formazione stabile modello Jazz Cruseders. Oltre a Robert Bell (conosciuto come ‘Kool’) al basso (nato l’8 ottobre 1950 a Youngstown, in Ohio) facevano parte della Gang Ronald Bell al sassofono tenore (nato il primo novembre 1951 sempre a Youngston e morto nel 2020); George Brown alla batteria; Robert Mickens alla tromba e alle percussioni; Dennis Thomas al sassofono alto; Claydes Charles Smith alla chitarra (1948-2006); Clifford Adams alla tromba (1952-2015) e Rick Westfield alle tastiere. Il padre dei due Bell era uno dei manager di Thelonious Monk e i fratelli erano amici di Leon Thomas. La loro musica risultava essenzialmente influenzata dal jazz, ma soprattutto dal vivo riuscivano a catalizzare, risucchiare ed incorporare i fermenti della strada e le nuove istanze della cultura nera giovanile, ottenendo larghi consensi, specie tra i giovani neri delle periferie urbane. Quello stesso humus sociale in cui, nel decenni successivo, iniziò a maturare la cultura hip-hop. In verità, i Kool &The Gang degli esordi e delle prime esibizioni live risultavano ben diversi e portatori di un suono libero, improvvisato, autenticamente nero e più jazz di quanto non avvenne con le più facili, levigate e fruibili «Get Down On lt» o «Let’s Go Dancing (Ooh la, la)». Il contratto con la De-Lite Records (piuttosto duraturo nel tempo) arrivò nel 1969, così come l’indirizzo della Gang verso un funk metropolitano, infarcito di jazz, durò molti anni. Dopo la seconda meta dei ’70, con la deflagrazione della disco-music, un primo cambio di stile divenne urgente ed inevitabile, ma ancora più deciso ed evidente – come già detto – dopo la straripante «Saturday Night Fever», in cui anche Kool And The Gang fecero capolino con «Open Sesame».
L’elemento pionieristico di Kool And The Gang può essere facilmente rintracciato anche in altri gruppi coevi, quali War o Ohio Players, mentre reciproche contaminazioni emergono riascoltando i primi lavori di Earth Wind & Fire e Commodores. Robert «Kool» Bell ha sempre evidenziato come, a causa del modulo da loro imposto, per molti cantanti neri, agli inizi dei ’70, fosse diventato difficile trovare lavoro in un gruppo. La specialità della casa di Kool e soci, inizialmente, furono quei classici «funkettoni» strumentali, dove la voce risultava un accessorio inutile. Tale peculiarità divenne per certi versi un’arma a doppio taglio, costringendoli presto al cambiamento. Con l’avvento della disco-music, più frivola, melodica e signora del mercato, Kool &The Gang cessarono improvvisamente di vendere dischi. Il sound forse stava invecchiando e qualcosa non girava più come avrebbe dovuto.
Dopo una pausa di riflessione ed una messa appunto, il gruppo riemerse con un beat più moderno, fiati più raffinati e meno insistenti e con arrangiamenti più levigati, ma soprattutto l’innesto di un cantante stabile e perfettamente integrato nel gruppo si sarebbe rivelato determinante. A questo punto, per il nuovo corso commerciale del gruppo di Jarsey la voce di Taylor divenne basilare. Una vocalità calda e pastosa che affiorava da ogni solco, avvolgendo l’uditorio ed istigandolo alla danza con estrema naturalezza, senza castranti falsetti da eunuchi e forzature vocali finto-soul. Altro innesto decisivo fu la produzione di Deodato, abile alchimista, che a partire da «ln The Heart» riuscì ad alleggerire i suoni, riportando il treno-Kool sui veri binari della «disco», da cui avevano in precedenza deragliato. Nel ’79, con «Ladies Night» (divenuto un classico) assestarono un colpo decisivo anche al mercato delle discoteche nel senso più ortodosso del termine.


Il responso fu immediato e su larga scala, sia per album «Something Special» che per il successivo «As One». L’arrivo di «Emergency», meno malleabile dei precedenti, sposto il baricentro dell’interesse sonoro e l’ambito esplorativo della Gang, anticipando alcuni temi che sarebbero stati rielaborati in futuro, ma segnò anche un punto di rottura sia pure non totale con la dance e l’inizio di un lento declino. In primis, «Emergency» tentava un misurato approccio con il rock, particolarmente in pezzi come la title-track o «Misled». L’idea fu quella di legare una chitarra più evidente al beat, innervando e indurendo i due episodi citati: sempre evidentissimo il basso di Kool con i suoi fraseggi brevi ma determinanti. «Fresh» si caratterizzò come il pezzo più dance, ma forse l’unico degno di rilievo, ricalcato sugli stilemi e sulla falsa riga di «Get Down On lt», mentre «Cherish» e «Bad Woman», due morbide ballate, si aprivano al pop da air-play radiofonico. Diversamente, «Surrender», funk martellante, quasi vecchia maniera, lasciò presagire anche qualche nostalgia per il passato, con l’impiego di cori dal sapore gospel che si innestavano sulla voce di Taylor. Dunque mano libera anche ad un certo virtuosismo con due calibrati assoli centrali di Curris (tastiere) e Ronald Bell (sax).
Il richiamo ai primi lavori e all’amore per il funk-jazz risultò palese. Del resto, il sax di Ronald ricordava vagamente quello di Coltrane. Pare che Kool e soci avessero persino registrato una canzone dal titolo «Champions» in cui comparivano Ron Carter e George Benson ed a cui avrebbero preso parte Ella Fitzgerald e Miles Davis, ma che per varie ragioni non fosse stata inserita nell’album. Molti si sarebbero attesi una svolta verso la musica fusion o qualcosa del genere, ma così non avvenne: lavori successivi come «Victory» del 1986 confermarono Kool & The Gang quali fermenti vivi ed attivi del moderno soul-R&B, capaci di produrre suoni battenti ed epidermici, lontani dall’impegno gravoso del jazz, in grado di strisciare appena sotto la pelle e di avvolgere le membra in vortice di danze. «Victory» fu anche l’inizio della fine. Sul calare degli anni ’80, dopo un monumentale tour, cui partecipò Stevie Wonder, il loro astro iniziò a spegnersi lentamente: nessuno avrebbe potuto pretendere da Kool e compagni liriche impegnate e suoni sperimentali, anche perché le pietre miliari della loro carriera sono identificabili con calde nottate passate in discoteca a a bere, ballare e rimorchiare a suon di funk, in veste di attori protagonisti, di gigioneschi intrattenitori o di ospiti d’eccezione in coinvolgenti dance-party grondanti di sudore. I Kool & The Gang fermarono ufficialmente le macchine dopo «Forever» (1986), quando il cantante James ‘JT’ Taylor ed il sassofonista Ronald Bell lasciarono il gruppo. In seguito, entrambi sarebbero ritornati sui loro passi, ma la verve creativa non era più quella di un tempo, soprattutto il pubblico delle discoteche non era più lo stesso. A parte le tante compilation o greatest hits commemorativi, l’ultimo album ufficiale pubblicato dalla Gang è «Still Kool» e risale al 2007.

