// di Kater Pink //
VENUS – Paolo Zou
Il nuovo lavoro di Paolo Zou, la cui progettazione iniziale risale all’inizio del 2020, durante i mesi di quarantena dovuti al Covid, è intenzionalmente ricco di sfumature e situazioni musicali sensibilmente differenti. Un’ampia varietà stilistica che costituisce, del resto, il filo rosso e la caratteristica principale che ha contraddistinto l’intero percorso musicale del chitarrista romano. Zou negli anni infatti, oltre al jazz, produce musica elettronica, suona reggae-ska ed è attivo in ambiti pop e hip hop.
«Come per ogni mio lavoro compositivo – spiega Paolo Zou – ho capito dapprima con chi avrei voluto registrare il prossimo lavoro a mio nome, per poi solo più tardi cominciare a scrivere musica, pensando soprattutto ai musicisti per i quali la stavo scrivendo».
Ad affiancarlo nell’album sono dunque Adriano Matcovich al basso elettrico, e voce su un brano, e Dario Panza alla batteria e alle percussioni, aggiunte in un secondo momento in un paio di brani.
«Durante la prima prova per questo lavoro – racconta Zou – con Adriano e Dario c’è stata fin da subito una profonda intesa e una grande affinità di approccio al jazz e alla musica improvvisata. Riguardo al processo compositivo una mia costante è quella di scrivere tutto a casa, rigorosamente su carta, spesso anche le parti di basso e batteria, per poi verificare insieme se quel che ho pensato funziona oppure no. In questo caso è stato fin troppo semplice mettersi d’accordo su qualsiasi aspetto riguardante il lavoro da svolgere insieme! Ci accomuna una visione aperta, assolutamente inclusiva. Non a caso condividiamo un’estrema varietà di ascolti, dal Jazz, alla Trap, al Soul, al Pop, alla Classica».
“Venus” è un album letteralmente ricco di tinte e di tonalità. Infatti, a partire da un elemento autobiografico, una leggera forma di sinestesia, ovvero quella sorta di contaminazione dei sensi nella percezione che permette di avvertire una relazione tra suoni, colori e forme, Zou ha scelto di evidenziare un aspetto della creatività che già in passato ha intrigato artisti, letterati e poeti: dalle vocali colorate di Baudelaire alla volontà di dipingere la musica di Kandinsky.
«In questo album – confida Zou – ho voluto dare spazio al fatto che per me ogni brano, che sia mio o di altri, evoca uno o più colori precisi. Tutti i brani, tranne alcuni brevi intermezzi, sono perciò intitolati con un oggetto del colore del brano. E quindi VENUS è giallo, ORHIS osso, COVELLITE azzurro, ADAMITE verde, BLACK ONYX nero, IS ARUTAS, infine, è bianco».
SINKING ISLANDS – Satoyama
Ancora una volta i Satoyama raccontano le urgenze del nostro pianeta, da sempre al centro della loro musica e del loro impegno. Lo fanno attraverso il linguaggio dell’immaginazione, un wanderlust evocativo che narra di un ipnotico amore per la sabbia e per le onde del mare. “Sinking Islands”, come ci dice il titolo, ci parla dell’innalzamento del livello dei mari e del destino che accomunerà luoghi lontani e poco conosciuti insieme a città e grandi metropoli.
Ogni brano del disco porta il nome di una realtà che affonderà se non si applicano cambiamenti repentini: Tuvalu, Palau, Kiribati ma anche la più familiare Venezia.
E’ lo spirito dei sognatori che parla dritto all’anima. E’ lo sguardo delle anime che non si arrendono alla corrente apatica e immobile della società che ci vuole sdraiati e immutati di fronte al climate change. E’ un disco che invoca un racconto di romantico rincontro tra la natura e l’uomo nella sua espressione migliore e più alta: la bellezza.
Il nuovo album prosegue il cammino intrapreso dal precedente “Magic Forest”, ottimamente accolto dalla critica ed incluso tra i migliori 100 dischi dell’anno dalla rivista JAZZIT, e dal progetto “Build a Forest” che attraverso il primo tour ad impatto zero li ha portati, grazie al supporto di Siae, Mibact e Fano Jazz Network, a suonare lungo tutta la Russia promuovendo un nuovo modo di vivere la musica ed il lavoro dell’artista. Una straordinaria esperienza da cui è stato creato il docu-film “Rails”. Ogni concerto dei Satoyama, aiuta a finanziare un progetto di sostenibilità. Una scelta concreta che mira a costruire, attraverso la musica, un mondo più equo e sostenibile.


TALES – Freakson
La band toscana Freakson nasce nel 2014 dall’ispirazione creativa del batterista e compositore Gianni Apicella. Dall’iniziale vasto organico di dieci elementi, e l’uscita del primo disco omonimo nel 2015, Freakson si è trasformato nel 2019 in un più compatto quartetto, accomunato dalla passione per il jazz e per la sperimentazione. Alessandro Vasconi è pianista e coautore dei brani insieme a Gianni Apicella. Completano la formazione, e contribuiscono in modo sostanziale al suo mood, Yuri Nocerino ai sassofoni e Mirco Capecchi al contrabbasso.
«Direi – spiega Gianni Apicella – che potremmo definirci una progressive jazz band la cui musica presenta alcuni tratti distintivi e tipici delle colonne sonore. La caratteristica principale di Freakson nell’approccio compositivo è abbastanza minimale e spesso di facile lettura ma ogni brano è un racconto a sé, che parla di storie di vita vissuta e di persone. Da qui il titolo Tales di questo lavoro, una rappresentazione sonora di sei racconti, ovvero la tracklist dell’album, vere e proprie visioni che spaziano musicalmente dal prog/rock, al neo soul e al jazz. Di conseguenza attribuirci un’etichetta di genere non è semplice. Solo nel complesso di queste storie è possibile percepire l’equilibrio espressivo della band».
A sottolineare il respiro collettivo dell’album Gianni Apicella chiarisce che «Siamo stati tutti fondamentali nella composizione. In “The Warrior”, ad esempio, io ho scritto la melodia sulla quale Alessandro ha poi aggiunto l’armonia, in altri brani è successo l‘opposto, in altri ancora tutto è partito da un’idea ritmica. Da parte loro Mirco e Yuri contribuiscono alla visualizzazione di ognuno di questi racconti, delineando il “motivo” principale del brano. Come è successo, sempre per esempio, sulla parte B di “Afreaka” dove Yuri evoca nel suo solo le urla strazianti delle madri i cui figli vengono colpiti dalla carestia e dalla guerra, contrapponendosi alla parte A dove invece viene enfatizzato l‘aspetto più spensierato e festoso del continente africano».
Come in analoghi e svariati casi in campo artistico in cui la pandemia ha giocato un ruolo determinante, Tales è stato concepito e fortemente influenzato dalle vicissitudini materiali ed emotive degli ultimi due anni. Al di là delle intrinseche difficoltà «Il lato positivo – confida Apicella – è stata la disponibilità di tempo grazie a cui abbiamo potuto dedicarci alla registrazione dei brani, insieme o a distanza, per poi mixarli. Non avevamo idea di come funzionasse propriamente un software audio ma avevamo ben chiaro il sound finale. Pazientemente ci siamo dunque divertiti a imparare l’uso del software per lo stretto necessario. Abbiamo probabilmente avuto anche fortuna ma siamo assolutamente soddisfatti del nostro lavoro. È come volevamo che suonasse!»
ANAPHORA – LEXICON I – FIlippo Deorsola
on l’album Lexicon I, il pianista italiano Filippo Deorsola riunisce il suo trio Anaphora per una raccolta di pezzi che sfidano le tradizioni stesse del jazz a cui i tre musicisti si sono formati.
Altamente originali e spesso inaspettate, le 11 composizioni si ispirano alla musica d’avanguardia, al jazz straight-ahead, alla musica classica contemporanea e persino al blues, giocando con le aspettative dell’ascoltatore ad ogni battuta. L’intimità del piano solo, le esplorazioni materiche del contrabbasso e le esplosioni del groove coinvolgente della batteria costruiscono l’asimmetria stilistica indefinibile delle sperimentazioni sonore di Anaphora.
Nato dall’incontro casuale ad una jam session del Conservatorio CODARTS di Rotterdam, il trio Anaphora è guidato dal desiderio di esplorare la relazione tra forma musicale, improvvisazione e capacità innata di ognuno dei musicisti di orientarsi in un paesaggio musicale.
In Jonathan Ho Chin Kiat (contrabbasso) e Ap Verhoeven (batteria) Filippo Deorsola ha trovato due compagni di viaggio che hanno abbracciato la natura lungimirante del jazz contemporaneo, che sfugge alla rigida classificazione di generi, e che si dimostrano cospiratori partecipi nella ricerca tesa ad eludere le attese – sia le loro, sia degli ascoltatori. Con le parole stesse di Filippo Deorsola, sgretolando una comoda familiarità con la struttura e il tempo musicali, e lanciandosi nel mondo dell’inatteso “gli automatismi del corpo vengono messi in discussione. E’ necessario quindi riprendere il controllo del corpo per fare in modo che impari a navigare forme musicali più complesse per poi lasciarlo improvvisare liberamente su queste”.
Volendo trasformare le parole in azione, Filippo Deorsola ha presentato la sua ricerca sull’improvvisazione, oggetto della sua tesi di laurea, alla Arts and Technology Conference di Porto nel 2021, e ha fondato il M.A.D. Collective (Mutually Assured Deconstruction), uno spazio che riunisce artisti visivi, autori, esecutori e rappresentanti del mondo accademico per elaborare nuove modalità di indagine degli eventi e del mondo che ci circonda.
Lexicon I è un’esperienza di ascolto affascinante per gli amanti della musica contemporanea, e lascia presagire cosa ci riserveranno in futuro Filippo Deorsola e i suoi compagni musicisti.

