// di Kater Pink //

FREEDOM RHYTHM – Giovanni Angelini
Giovanni Angelini non è un musicista qualsiasi. È sufficiente leggere i capisaldi del suo curriculum per capire che ci troviamo di fronte ad un esploratore, e anche ad un onnivoro recettore delle esperienze più disparate. Colpisce il suo apprendistato con Fabrizio Sferra – Giovanni, si capisce, è un batterista – le masterclass dirette da gente come Dave Douglas o Eric Harland, la laurea conseguita al Conservatorio di Monopoli alla corte di un pianista sempre troppo incompreso, il geniale e compianto Gianni Lenoci. E colpisce l’eclettismo di questa sua seconda prova discografica in cui si cimenta con la composizione e l’esecuzione di strutture complesse – aiutato in questo da musicisti di alto profilo – eppure orecchiabili. Provate ad ascoltare I Need Your Smile, una ballad suadente, con la voce di Simona Severini e un assolo superbo al sax alto di Gaetano Partipilo. Provate a farvi avvolgere dagli inserti alla chitarra di Alberto Parmegiani, dal violoncello di Giovanni Astorino, dalla sezione fiati (con Partipilo, Giuseppe Todisco alla tromba e Antonio Fallacara al trombone) mai sopra le righe, dalla ritmica sempre puntuale e precisa (Angelini è supportato dal basso di Dario Giacovelli), dal piano elettrico del grande Vince Abbracciante. Ognuno fa la sua parte, senza personalismi, al servizio della musica. E tutto questo accade in una Puglia che sempre più cerca di scorporarsi da ogni forma di provincialismo per assumere i connotati e quel carattere di universalità che serve alla musica moderna. “Freedom Rhythm”, lo dice il titolo, è il tentativo – riuscito – di sintetizzare esperienze musicali e metterle al servizio di un concetto, quello della libertà, del quale oggi si sente sempre più bisogno.Questo progetto è sostenuto da “Programmazione Puglia Sounds Record 2022” OPERAZIONE FINANZIATAA VALERE SUL POC PUGLIA 2027-2013 – AZIONE “SVILUPPODI ATTIVITA’ CULTURALI E DELLO SPETTACOLO

FLYING IN A BOX – Enrico Bracco

Il cosiddetto Jazz Italiano – sarebbe meglio usare la dizione di “jazz suonato in Italia” – ha perso, da un po’ di tempo, buona parte del suo appeal mediatico. Certo i nostri connazionali sono, tra i musicisti di jazz, quelli che maggiormente si distinguono per un approccio melodico sofisticato e anche per un certo tipo di linguaggio in cui si fa sentire forte l’influenza del melodramma o comunque di una cantabilità spiccata che in molti casi riesce a salvare situazioni altrimenti difficili da imporre all’attenzione di un mercato che, oggi più che mai, si fa sempre più complicato da gestire. E se un po’ di tempo fa in tutta la penisola, da nord a sud, riuscivano ad imporsi personalità in cui il jazz si mischiava a caratteristiche territoriali contingenti (il jazz, si sa, è una spugna, che assorbe tutto quello con cui viene a contatto) oggi è Roma a rappresentare, con i musicisti del suo milieu, buona parte della creatività improvvisativa che caratterizza da sempre questa musica. Ed è una creatività che pesca a piene mani in un modo di suonare che si fa fortemente influenzare dalla mentalità che detta legge a New York e, di conseguenza, in tutto il mondo: farsi le ossa sulla tradizione cercando di sviluppare la propria personalità ma senza scantonare da certi dettami che da sempre fanno parte delle “regole” – se così possiamo chiamarle – dell’idioma afroamericano, e quindi lo swing e il groove. Il nostro catalogo prende spunto da questo vivaio e oggi si arricchisce di una nuova presenza, quella del chitarrista Enrico Bracco un signore che vanta un curriculum di tutto rispetto con esperienze in cui la musica va a braccetto con il teatro, il cinema, la televisione. Questo è il suo quinto disco da leader e il suo flirt con la mentalità statunitense è da subito ben evidente non solo nella musica ma anche nella scelta dei collaboratori come quelli coinvolti nel quintetto che ha contribuito a realizzare “Flying In A Box”, un lavoro in cui l’amore per la melodia e la conoscenza del lessico del jazz vanno insieme, in una maniera molto vicina a quella cosa che tutti siamo abituati a chiamare “equilibrio”. Sono il fiore all’occhiello del jazz peninsulare moderno: Daniele Tittarelli al sax alto, Pietro Lussu al pianoforte, Giuseppe Romagnoli al contrabbasso, Enrico Morello alla batteria.

CHILDREN’S SOUL – Ipocontrio Feat. Seamus Blake
Il rapporto e la collaborazione tra A.MA Records e gli Ipocontrio. formazione composta da Bruno Salicone, Francesco Galatro e Armando Luongo, risale al 2016 quando pubblicammo il loro secondo lavoro discografico “Continuum” quel rapporto si è consolidato nel corso degli anni con la partecipazione di Armando Luongo all’album di Alberto Parmegiani “On My Radio” nel 2018 e la pubblicazione dell’album d’esordio di Bruno Salicone “Happy” nel 2019 che vedeva la presenza anche di Francesco Galatro. Questo comune cammino approda oggi al terzo capitolo della loro avventura discografica “Children’s Soul” che segna un ulteriore passaggio nella loro evoluzione artistica e vede la partecipazione del sassofonista Canadese Seamus Blake. Sono passati ben venticinque anni dalla prima volta in cui ci è capitato di ascoltare e di vedere on stage qui in Italia Seamus Blake, uno dei tenoristi più espressivi del panorama contemporaneo. Era il 2007 e chi ha avuto la fortuna di assistere a quei concerti – con Seamus c’erano Dave Kikoski al pianoforte, Danton Boller al contrabbasso e Rodney Green alla batteria – si è accorto di trovarsi di fronte ad un musicista con le orecchie aperte, a 360°, sul panorama sonoro contemporaneo e con i piedi ancorati nelle radici del jazz. La sua capacità è quella di creare atmosfere swinganti e delicate purchè siano sostenute da intrecci ed elaborazioni innovative e vulcaniche, e per questo c’è bisogno di comprimari in grado di giocare allo stesso livello. E’ quello che gli Ipocontrio (Bruno Salicone al pianoforte, Francesco Galatro al contrabbasso e Armando Luongo alla batteria) riescono a fare in questo loro nuovo lavoro discografico “Children’s Soul” sviluppando un interplay che resta teso, emozionante e, nello stesso tempo, ricercato per tutta la durata – quarantacinque minuti – di questo disco. Gli Ipocontrio con “Children’s Soul” confermano l’impressione che, sin dal primo momento in cui abbiamo ascoltato il loro modo di suonare, abbiamo avuto: quella di un gruppo affiatato e alla continua ricerca – stratificata su una conoscenza approfondita del lessico del jazz – di equilibri e sonorità. Il contributo di Blake (che suona solo in alcuni brani del disco) è solo la ciliegina sulla torta di qualcosa che va ben oltre l’esigenza di incidere dischi, semplicemente la voglia di confrontarsi con le grandi personalità del nostro tempo.

ALTERED FEELINGS – Max Kochetov Quartet
Se dovessimo oggi stabilire le coordinate della musica più up to date del momento, il cosiddetto “cosmic groove” (o spiritual jazz che dir si voglia) dovremmo ripercorrere a ritroso un periodo – quello a cavallo tra la seconda metà degli anni sessanta e la prima metà dei settanta – in cui i germogli di un miscuglio di psichedelia, spiritualità, jazz, rock, soul, funk e chi più ne ha più ne metta, furono piantati all’interno di un terreno di coltura in cui stavano fermentando grossi sommovimenti sociali e culturali. Il cosmic groove ha la sua ragione d’essere in un melting pot di influenze latine, africane, brasiliane, asiatiche e indiane ed è una musica che cerca connessioni, un tutt’uno tra corpo, mente e anima. Provate ad ascoltare uno qualsiasi dei dischi incisi da Pharoah Sanders in quegli anni, titoli come ”Izipho Zam”, “Karma”, “Jewels of Thought”, “Summun, Bukmun, Umyun”, “Thembi”, “Black Unity”, “Elevation”, vi troverete religiosità, sperimentazione musicale, intrecci tra jazz modale, blues, gospel, tradizione indiana, poliritmia africana, bebop. Vi troverete un mondo coinvolgente e affascinante. E’ quello il mondo a cui si riferisce l’ucraino (di nascita, ma serbo di adozione) Max Kochetov. Sassofonista capace, profondo conoscitore del linguaggio dell’idioma afroamericano, ma soprattutto musicista dalla mentalità aperta e abile compositore, Kochetov in questo lavoro ci presenta una suite di 40 minuti concepita come un flusso continuo di emozioni a corrente alternata. C’è Coltrane e il suo sguardo verticale in questo flusso, c’è l’immersione all’interno di un mondo oggi dai più dimenticato (ma tornato, per fortuna, a mietere vittime presso i cultori di quello che continuiamo a chiamare jazz), c’è soprattutto la voglia di confrontarsi con una musica fortemente collegata ai tempi durissimi che stiamo vivendo, una sorta di evasione interiore dalla realtà che tutti stiamo attraversando, qualcosa in più di una semplice tendenza musicale. Abbiamo deciso – perdonateci – per una questione di opportunità commerciale, di dividere questa suite in otto brani distinti che però – ve ne accorgerete – funzionano come un tutt’uno nella loro sequenzialità. Max Kochetov e i suoi compagni d’avventura, con “Altered Feelings”, (il terzo episodio della sua produzione discografica) è un punto di vantaggio per noi, in termini di intensità musicale.