Intervista inedita, realizzata nel 2010
// di Guido Michelone //
Arturo Sandoval, assieme al pianista Chucho Valdes fonda Cuba negli anni Settanta il gruppo Irakere, felicissimo incontro tra la locale musica salsa e jazz e crossover statunitensi; l’aspetto più marcatamente jazzistico dell’ensemble si deve proprio alla tromba funanbolica di Arturo Sandoval, che da sempre ama definirsi discepolo o seguace di Dizzy Gillespie; quest’utlimo a sua volta lo chiama per ben tre anni nella propria United Nation Orchestra, con cui vince persino un Grammy grazie all’album Live At The Royal Festival Hall.
Poi nel 1990 la fuga dall’Avana e la richiesta di asilo politico negli Stati Uniti: paradossalmente nel momento in cui ottiene la possibilità di girare il mondo e di collaborare con i migliori strumenti nordamericani, l’ispirazione di Arturo Sandoval corre tra alti e bassi: un buon disco, I Remembr Clifford, dedicato alla memoria del trombettista Clifford Brown (altro suo musicista prediletto), ma per il resto quasi un impulso a strafare, a voler evidenziare al massimo le doti istrionistiche talvolta debordanti, come mostra ad esempio il pur fortunato – nelle vendite – Live At The Blue Note un pout-pourri di ogni genere (afrocuban, straight, bebop, funky) con il leader, oltre alla tromba, anche al pianoforte, alle percussioni, alle tastiere e persino nel canto scat.
Rispetto a tale esuberanza, il Rumba Palace (Telarc, 2007), il cui titolo si riferisce a un celebre locale di Miami, risulta omogeneo, coerente e stilisticamente compatto, nel senso che Arturo realizza un classico prodotto di latin-jazz con una formazione che egli stesso chiama little big band, ossia una via di mezzo tra il combo e l’orchestrona, con molti fuoriusciti cubani, tra cui spicca il plurisassofonista Felice Lamoglia, autore di Guarachando, unico pezzo su dieci che non sia uscito dalla penna del leader. Tra ruspanti ballate e ritmi calienti si va avanti egregiamente, da A Gozar a Nouveau Cha Cha con l’intelligenza di un solista gillespiano che sa usare ben quattro trombe di differenti tonalità. A Rumba Palace seguono Mambo Night (2009) e soprattutto A Time for Love (Concord Jazz, 2010), da cui parte questa breve intervista telefonica (2010), realizzata a ridosso dell’album (ancora inedita in lingua italiana), Sandoval si rivela gentile e affabile, come sempre, non senza una punta di polemica.
INTERVISTA
D. Arturo, innanzitutto volevo complimentarmi con tuoi precedenti lavoriRumba Palace e Mambo Night.
R. Ti ringrazio, ma presto ne recensirai uno nuovo, ah, ah, ah…
D. Vero, ma prima, Arturo, puoi raccontarci brevemente la tua carriera musicale?
R. Ho iniziato nella mia città natale, Artemisa, all’età di dieci anni. A dodici anni suonavo già con gruppi locali, a quattordici entrai al liceo artistico per studiare musica classica, e poi l’orchestra di musica moderna, dal 1967 al 1971. Lì entrai nel servizio militare obbligatorio per tre anni, e poi venne Irakere, fino al 1980 quando ho formato il mio gruppo.
D. Che ricordi hai della tua esperienza con questo nuovo album di imminente uscita?
R. Sono felice di averlo registrato, non a caso si chiama A Time For Love. È un disco molto dolce e realizzato con tanto amore.
D. Ma per te, Arturo, la tua musica, oltre l’amore, è jazz, o latin-jazz, o cubano-jazz, o altro?
R. Sono soprattutto un musicista. E amo la musica. Tutta, purché sia buona. Sono un musicista, musicista, musicista!
D. Arturo, però, come musicista, cos’è il jazz?
R. Il jazz è sinonimo di libertà. È il modo più sincero di esprimere le idee di un musicista.
D. E quali sono i trombettisti che ti hanno maggiormente influenzato e quelli che preferisci in generale?
R. Ammiro e rispetto chiunque abbia suonato bene la tromba, l’elenco sarebbe infinito. Ma se devo citarne uno, sarà senza dubbio John Birk “Dizzy” Gillespie.
D. Sei ancora amico di qualcuno dei membri del gruppo Irakere?
R. Certamente, anche se con quelli rimasti a Cuba ci sono difficoltà a vedersi e anche a sentirsi!
D. Esiste per te un’identità del jazz cubano?
R. Nel 1946, Mario Bauza, Dizzy Gillespie e Luciano “Chano” Pozo crearono quello che chiamarono Afro-Cuban Jazz. Un capitolo importante nella storia della musica! Adesso non so cosa succede a Cuba con il jazz, sono ventuno anni che non posso andare nel mio Paese d’origine.
D. Com’è stata la politica di Fidel Castro sul jazz? C’era censura o disprezzo per la musica degli americani (bianchi e neri) negli Stati Uniti?
R. La dittatura chiama il jazz “la musica dell’imperialismo yankee”. Il malgoverno di Cuba non ha mai visto i jazzisti di buon occhio.
D. Ma ora, Arturo, non sai quale possa essere la situazione del jazz nella ‘tua’ isola?
R. Ripeto, non lo so, vivo in California e non posso entrare a Cuba!
D. Ci sono giovani jazzisti in America Latina che meritano attenzione anche nel resto d’Europa e del mondo?
R. Certo che sì, e molti bravi musicisti. L’elenco sarebbe troppo lungo da in tutti i paesi che ho visitato dal Messico al Brasile, all’Argentina ho ascoltato tanti giovani jazzmen di talento! Ma lo stesso potrei dirti della Germania e dell’Inghilterra dove ho spesso suonato!
D. Ci parli, Arturo, dei tuoi attuali progetti per il presente e per il futuro?
R. Bene, lavorando sodo, come sempre, insegnando, registrando e componendo musica per diverse realtà come la televisione. E poi devo promuovere A Time For Love. Spero che ti piaccia.
D. Mi piacerà. Grazie Arturo per la disponibilità.
R. Grazie a te e a presto.
