// di Bounty Miller //

I Temptations sono stati un fenomeno di proporzioni planetarie e fu grazie al loro contributo che, almeno nella prima metà degli anni ’70, la «disco» (ma forse più «disco-funk», sicuramente «funk»), intesa come musica da discoteca e finalizzata al ballo, poté annoverare tra le proprie fila artisti di tale caratura, universalmente stimati ed apprezzati anche da quella schiatta di critici con la «puzza sotto il naso», i quali hanno sempre visto una certa evoluzione dell’R&B» verso fenomeni di consumo come un pugno in un occhio. Senza le loro taglienti ed ipnotiche evoluzioni funk, non ci sarebbe stata forse una certa «disco» e la musica da ballo moderna avrebbe avuto un differente destino. Si pensi soltanto alla miriade di versioni e rielaborazioni di «Papa Was A Rolling Stone» fatte e rifatte nel corso degli anni.

Tra le più quotate formazioni di soul e rhythm&blues, cresciuti musicalmente e, per molto tempo, mercenari sotto le insegne della prestigiosa etichetta di Detroit Motown, come gruppo vocale di derivazione doo-wop, i Temptations si affermarono, particolarmente, nel corso degli anni ’70, grazie ad una prolifica serie di robuste pubblicazioni in cui vennero miscelati con sapienza e mestiere svariati stilemi di matrice nera, capaci di plasmare i gusti del pubblico più attento, smaliziato e competente. Essi sono considerati all’unanimità, uno dei migliori gruppi vocali di sempre, probabilmente il più acclamato dalla meta degli anni ’60 ai primi ’70, sicuramente uno degli organici (variabili) più rappresentative della black-music di tutti i tempi e tra i più eclettici, stilisticamente irrequieti, mutevoli ed innovativi in ambito di quella che oggi chiameremmo genericamente BAM (Black American Music), dove tutto tende a mescolarsi, tra «fratelli coltelli», secondo il principio dei vasi comunicanti. Non si dimentichi che gli Americani prima, e poi il mondo intero, dopo il swing, il boogie-woogie ed il rock’n’roll, sono passati a ballare il soul-jazz, i cosiddetti boogaloo con l’organo Hammond, il soul-boogie con il tagliente R&B della Stax, i riff ostinati di James Brown e le batterie al piccolo trotto della Motown, per poi arrivare al funk da discoteca, spesso chiamato ingiustamente, come dicevamo, disco-music.

Basta analizzare queste brevi note biografiche per comprendere quanto il cammino dei Temptations sia stato lastricato da difficoltà di ogni genere: divisioni, mutamenti, morti premature, rimpasti della formazione, scioglimenti, riunioni e soprattutto cambiamenti di stile, di produttori e di appartenenza a questa o a quella scuderia discografica. Una vita artistica travagliata, che ha dato, però, risultati sorprendenti. Il tutto iniziò quando due amici, Eddie Kendricks (1939 -1992, USA) e Paul Williams (1939 – 1973, USA), già insieme nei Primes, si recarono a Detroit per mettersi insieme a tre ex Distants: Otis Williams (1941, USA / vero nome Otis Miles), Melvin Franklin (1942 – 1995, vero nome David English) e Richard Street (1942 – 2013, USA), sostituito da Elbridge Bryant (1939 – 1975, USA) poco dopo. I cinque lavorano, dapprima, come coristi per conto terzi, quindi divenuti Temptations, incidono per una piccola etichetta, la Miracle. Nel 1962 firmano per la Motown. Dopo alcuni singoli, Bryant se ne va lasciando il posto a David Ruffin (1941 – 1991, USA), proveniente da varie esperienze con gruppi gospel. Kendricks è il leader e, dopo qualche discreto tentativo, porta al successo una canzone di Smokey Robinson, «The Way You Do The Things You Do»: è il 1964. L’anno successivo, con la vellutata voce di Ruffin, è la volta della classica «My Girl», alla quale segue «It’s Growing».

Le classifiche rispondono egregiamente. Le canzoni sono entrambe composizioni di Robinson ed ambedue saranno riprese dal mitico Otis Redding. L’album «Sing Smokey» documenta l’eccellente collaborazione fra il compositore-produttore e il quintetto. Robinson, diventato vice-presidente della Motown, fa spazio al duo autorale Eddie Holland/Norman Whitfield. I due non tardano a creare altri successi a presa rapida per gli abili vocalist: «Ain’t Too Proud To Beg» e «I Know, I’m Losing You». Ma sono solo alcuni tra i pezzi più riusciti di una sterminata produzione. Progressivamente, Whitfield, con 1’aiuto di Barrett Strong, prende il completo controllo del gruppo, che dopo un’efficace «I Wish It Would Rain» (1967) perde per strada Ruffin (del resto la voce di Ruffin sarebbe stata troppo «classica» ed elegante perciò che Norman Whitefield aveva in mente), sostituito dall’ex Contours, Dennis Edwards (1943 – 2018, USA). Alla fine del 1968, con l’album «Cloud Nine», è proprio Whitfield ad imporre la clamorosa svolta stilistica che, sotto l’influenza di Sly Stone, dei Funkadelic e di Curtis Mayfield, porta i Temptations nelle file del soul-funk-psichedelico e della nuova canzone nera «consapevole»: «Message From A Black Man» diventa un manifesto programmatico, mentre in ambito jazzistico impazza la New-Thing e l’America, dove le masse di colore chiedono parità di diritti, sembra esplodere come una polveriera.

Il nuovo corso non è gradito ai sostenitori del saltello terzinato e mellifluo della vecchia scuola di Detroit, almeno per un certo periodo, però, produce inequivocabili risultati qualitativi e commerciali con l’appoggio di una certa critica fino ad allora restia. Ne sono una dimostrazione album come «Cloud Nine», «Puzzzle People» e «Psycadelic Shake», i quali cominciano a comparire negli scaffali dei negozi accanto a quelli delle più prestigiose rock band o dei cantautori impegnati. Contemporaneamente, il gruppo si piega ai «doveri mercantili» di casa Motown e pubblica una serie di album a presa rapida in collaborazione con Diana Ross & The Supremes. Deciso ad intraprendere una carriera da solista, nel 1971, Kendricks abbandona il gruppo, presto seguito da Paul Williams, che morirà suicida due anni dopo. Rimasti in tre, i Temptations si riorganizzano con l’introduzione nell’organico di due voci tenorili, Damon Harris e Richard Street, continuando per un certo periodo ad incidere ricevendo il plauso delle calssifiche: «Superstar», «Papa Was A Rollling Stone», «Masterpiece», «The Plastic Man», alcuni dei singoli più fortunati, che in quella prima parte degli anni ’70, dominata dal soul-funk, finiranno in pasto ai DJs delle prime discoteche. Attraverso continui cambi d’organico, il gruppo approda alla seconda meta degli anni ’70, lasciando la Motown e firmando un nuovo contratto milionario con l’Atlantic, con cui produrrà molto materiale influenzato dall’imperante disco-funk.

I Tempataions si adeguano presto ai dettami dell’universo musicale afro-americano che, avendo ottenuto maggiori libertà espressive ed essendo uscito dalla paludose acque dei race records (dischi prodotti da etichette specializzate in sola musica nera), vuole partecipare a pieno titolo al lauto banchetto del sogno americano. Perfino alcune stazioni radiofoniche bianche si aprono alla musica dei «fratelli neri», mentre dall’altra parte dell’Atlantico le cosiddette radio pirata inglesi infarciscono i loro palinsesti di musica soul-funk, alternandola ai classici dell’era beatlesiana e alle novità del post-beat. Il Sessantotto aveva portato una ventata di aria nuova nel mondo della musica di consumo. Perfino la stantia Mamma Rai iniziò a passare i successi dei Temptations et simila in trasmissioni appositamente create per un’audience giovanile.

Rientrati alla Motown, come «il figliuol prodigo» alla casa del padre, alle soglie degli anni ’80, i Temptations vengono di nuovo raggiunti da Ruffin e Kendricks per «Reunion»: nonostante il disco fosse stato architettato con grande maestria e raffinatezza stilistico-tecnica, non ottiene risultati lusinghieri. Il resto del nuovo decennio verrà speso principalmente nei circuiti old-style, con il solo Otis Williams dei membri originari in formazione. Negli anni ’90, scompaiono in rapida successione Ruffin, Kendricks e Franklin, mentre il brand Temptations continua ad essere presente sul mercato con alcuni trascurabili dischi inediti, diverse antologie e frequenti apparizioni dal vivo. Nel 2000 la movimentata storia dei Temptations è diventata il soggetto di una mini-serie televisiva.

Discografia Consigliata

Cloud Nine (Gordy), 1969

Puzzzle People (Gordy), 1969

Psycadelic Shake (Motown), 1970

Solid Rock (Motown), 1972

Zoom (Motown), 1973

1990 (Mowton), 1973

Masterpiece (Motown), 1973

House party (Gordy), 1975

Hear To Tempt You (Atlantic), 1978

Bare back (Atlantic), 1978