// di Bounty MIller //
I compilatori di storie più meno esaustive della musica contemporanea e gli artefici di antologie a vario titolo hanno sempre avuto più di un problema con la catalogazione della sfuggente e variegata musica afro-americana. A parte il jazz ed il blues, i cui tratti distintivi venivano e vengono facilmente definiti e profilati, per tutto il resto da sempre si alternano definizioni assai generiche, quali R&B o, addirittura, completamente onnicomprensive come black music, facendo riferimento al colore delle pelle degli artefici e degli artisti più che alle caratteristiche sonore dei loro dischi. Per contro, indicando buona parte del rock, si potrebbe parlare ad esempio di white music, di certo, però, non avrebbe alcun senso. Per inquadrare la musica con cui gli Earth, Wind & Fire, catapultati con vigore nelle classifiche di vendita di mezzo mondo a partire della seconda metà degli anni Settanta, definizioni ne occorrerebbero più di una e sicuramente non generiche ed esemplificative. Il loro elaborato sonoro, a causa di una forte commistione e confluenza di stili e di precedenti vissuti artistici, potrebbe essere talvolta definito soul-funk, altre volte funk-fusion, in alcune partiture pop’n’soul, fino al periodo di massimo splendore commerciale, dove la definizione più calzante, ad onor del vero, sarebbe quella di disco-funk.
Gli Earth Wind & Fire arrivarono al grosso pubblico italiano tramite la TV. La loro splendida «Fantasy» era stata adottata per uno spazio televisivo della RAI dedicato alle anteprime cinematografiche: «Prima Visione» a cura dell’Anica/Agis, una specie di antesignano dei trailers che oggi passano a tutte le ore e su ogni canale televisivo. Quando arrivo «September», il gruppo godeva già di una discreta notorietà. A cavallo tra il 1978 e il 1979, Maurice White e compagni erano tra i più ballati in discoteca e tra i più richiesti presso quella miriade di piccole «radio libere» che all’epoca pullulavano l’etere nostrano. Nonostante la stragrande maggioranza delle persone, li ricordi per i successi disco-dance, appare alquanto riduttivo e poco veritiero, limitare gli EW&F al semplice rango di artisti disco. Essi incarnavano il classico gruppo musicale statunitense con un marcato background jazz-soul-fusion, assimilabili ai maggiori artefici del cambio di sonorità all’interno del vasto movimento musicale del black-soul-funk avvenuto negli anni ’70 e trascinato dal dilagare della disco music: impasti vocali curatissimi, un reiterato uso dei fiati, spettacolari live-show e arrangiamenti accattivanti facevano di questa formazione il punto di riferimento ideale per una miriade di gruppi minori.


Il segreto di una visione così ampia della musica è da ricercare nella lunga ed articolata carriera di Maurice White, il leader indiscusso della band, amante dell’Egitto e più in generale della «Grande Madre Africa» (si pensi alle «faraoniche» copertine degli album). Batterista jazz e poi produttore di successo, Maurice White, dopo aver suonato per tre anni con Ramsey Lewis, formò nel 1969 a Chicago, insieme fratello Verdine, The Alty Peppers, poi diventati Earth, Wind & Fire. La band decollò solamente nel 1972, trovando la giusta dimensione musicale e canora, quando si unì alla brigata il ventunenne Philip Bailey, con il suo inconfondibile falsetto. Sia il cantante e batterista Maurice White (19 dicembre 1947, Memphis / Los Angeles, 4 febbraio 2016) che il vocalist Philip Bailey (8 maggio 1951, Denver) si caratterizzarono come artisti funambolici ed imprevedibili, traendo immensi benefici, proprio dalla militanza in un gruppo dall’organico molto variegato e dalle incursioni sonore assai instabili.
Esponenti di quel funk danzabile ed a presa rapida, che tanto fervore suscitò e suscita ancora tra i giovani cultori ed i vecchi nostalgici, gli Earth Wind & Fire, con un line-up basato in media su nove musicisti di levatura internazionale, incisero primo album, «That’s the Way Of the World», agli inizi degli anni ’70. La notorietà giunse, però, con il successivo «Spirit» ed il singolo «Getaway». La vera e propria affermazione arriverà solo nel ’77 con il già citato «Fantasy»; mentre a seguire, daranno alle stampe il doppio live «Gratitude», contenente «Sing Song» e «Got to Get You Into My Life». Nel 1979, a coronare una prolifica attività ed una breve, ma già intensa carriera, arrivò nei negozi «The Best of EW&F», un articolato compendio di successi, comprendente le funkeggianti e richiestissime (in discoteca) «September» e «Boogie Wonderland», nonché le inconfondibili ed avvolgenti ballate, imperniate su armonizzazioni vocali di origine gospel, straripanti di armonie soul al miele millefiori.
La musica della band univa l’essenza del soul-jazz a ritmi metronomici della disco-music, fondendo a caldo la tenerezza del soul a qualche sprazzo di rock elettronico. Il risultato era paragonabile ad una miscela esplosiva di suoni e ritmo che, a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, impazzò nelle discoteche di mezzo mondo. Il fatto di essere molto prolifici, li fece scivolare presto sul piano inclinato della ripetitività: gli album, pur molto belli dal un punto di vista formale ed estetico, suonati sia pure magistralmente, cominciarono a perdere quella freschezza e quell’appeal che aveva contraddistinto i primi lavori. Gli eccessivi impasti vocali, talvolta stucchevoli ed ammiccanti, il marcato virtuosismo di cantanti e strumentisti, le ripetute incursioni della sezione fiati, servirono a coprire qualche carenza creativa. Soprattutto, certe tentazioni verso le nuove tecnologie e talune contaminazioni pop-rock, cominciarono ad alterare il loro DNA soul-jazz, spingendoli verso un inevitabile tracollo.
Sciolti nel 1983, gli Earth, Wind & Fire vennero riformati da White nel 1987 per una serie di nuovi album come «Touch The World» (1987), «Heritage» (1990) e «Millennium» (1993). Ottime le prove come solista del cantante Philip Baley, in particolare il riuscitissimo duetto con Phil Collins «Walking On A Chinese wall». Gli EW&F possono vantare alcune delle disco-song più conosciute in tutto il mondo. In particolare, «Boogie Wonderland», che viene annoverata tra le maggiori hit dance di tutti i tempi ed insieme a «Disco Inferno» dei Trammps, vanta il maggior numero di inserimenti in compilation di vario tipo. Un’altra loro originalissima caratteristica furono le copertine degli album, spesso doppi, dei veri e propri gioielli di grafica-artistica. Nel periodo di massimo splendore commerciale, i Nostri si dilettarono, quasi come dei sacerdoti pagani, nell’esaltazione del culto delle piramidi, dei simboli e delle iconografie Egizie, Maya ed Incas. Le operazioni di riciclaggio e di mero revival, talvolta, possono sembrare una forzatura, ma gli Earth, Wind & Fire continuano a essere fonte d’ispirazione per giovani artisti hip-hop e produttori di house music.
Nella più recente raccolta dal titolo lapidario di «The Ultimate Collection», sono stati inclusi tre remix: è bastato solo qualche ritocco ed un moderno groove per aggiornare il tutto. Le altalenanti incursioni nel mondo della discografia, nel 2003, con il nostalgico «The Promise» e, due anni più tardi, con il new-soul patinato di «Illumination» hanno alimentato solo i rimpianti per il sound dei tempi d’oro, capace di irretire solo qualche antico cultore del genere, ma sicuramente poco comprensibile ai giovanissimi, abituati alle sonorità più schematiche, servili e scontate dell’airplay radiofonico e alle alchimie musicali meno complesse ed impegnative, tipiche del sound che imperversa nelle discoteche del terzo millennio.

