Guido Michelone dialoga con Gerlando Gatto a proposito di “Gente di jazz“
// di Guido Michelone //
Gerlando, con “Gente di jazz” inizia un trittico di libri di interviste. Eri consapevole allora (2017) che avresti dato vita ad altri due volumi analoghi?
“Assolutamente no anche perché il libro mi era costato parecchia fatica. Poi come si dice, l’appetito vien mangiando…”
– Tra l’altro il ‘trittico’ avrà un seguito? Hai nel cassetto altre interviste? Oppure ti occuperai di altri temi jazzistici?
“E’ presto per dirlo. Comunque, per rispondere alla tua domanda, in oltre 50 anni di professione ho accumulato una marea di interviste per cui nel cassetto ne ho ancora molte. Per il momento avrei forse un’altra idea che però non ti anticipo”.
– Torniamo a “Gente di jazz”: come è nata l’idea del libro e come l’hai impostata?
“Oramai da tempo vado affermando che molti dei festival estivi dedicati al jazz, anche alcuni fra i più importanti, sono quasi inutili. E ciò innanzitutto perché sotto l’insegna di “jazz” contrabbandano musica che con il jazz nulla o pochissimo hanno da spartire, in secondo luogo perché, a differenza di una volta, i musicisti americani girano spesso in tournée europee per cui è possibile ammirarli anche al di fuori dei festival, in terzo luogo perché molte di queste manifestazioni sono completamente sganciate dal territorio in cui si svolgono. Tra i festival che fanno eccezione c’è Udine Jazz che ha sempre dato il giusto rilievo ai musicisti locali. Nel 2016, in procinto di andare a Udine per seguire il Festival, ho voluto dare un’occhiata al mio “portafoglio” di interviste e mi sono accorto che molti dei musicisti si erano esibiti a Udine. Di qui l’idea, anche per affermare vieppiù la valenza del Festival, di pubblicare un libro che contenesse esclusivamente interviste di musicisti che avevano collaborato con il Festival; ne ho parlato con il patron della manifestazione, Giancarlo Velliscig, l’idea è piaciuta e così è nato il libro”.
– Dalle interviste hai la percezione che alcuni (magari non tutti) jazzmen vivano meglio la loro esperienza sul palco da festival a festival? Ovvero si trovino meglio a Udine piuttosto che in un’altra situazione?
“Francamente non so se i musicisti si trovano meglio a Udine piuttosto che da qualche altra parte. Quel che so, e che vivo ogni qualvolta vado in Friuli, è che lì si respira un’atmosfera molto calda, accogliente, un ambiente che cerca in tutti i modi di far sentire il musicista apprezzato a proprio agio”.
– Spicca nel libro l’indice dei ‘grandi’ intervistati, dai compianti Petrucciani e Zawinul a maestri della tastiera come Tyner, Solal, Walton. Ci puoi lasciare un breve ricordo di questi cinque eccezionali pianisti?
“Per lasciarti un ricordo di questi artisti avrei bisogno di molto spazio… per cui non lo farò e mi limito solo ad un bellissimo e dolcissimo ricordo. Ero in Martinica in occasione del Festival del Jazz e in quella edizione erano presenti sia Gonzalo Rubalcaba sia Michel Petrucciani. La sera, dopo i concerti, c’era l’abitudine di riunirsi giornalisti e musicisti nella magnifiche ville dei notabili del luogo e immancabilmente in tutte queste ville c’era almeno un pianoforte a mezza coda. Quella sera, dopo aver mangiato e bevuto, Gonzalo Rubalcaba si avvicinò al pianoforte e cominciò a suonare qualche nota, qualche accordo; dopo qualche minuto Petrucciani si alzò dalla poltrona in cui era comodamente seduto, lo raggiunse al piano e i due cominciarono a improvvisare regalandoci un’oretta di musica celestiale, assolutamente straordinaria. Un’esperienza che mai dimenticherò”.
– Visto che è già trascorso un lustro puoi fare un bilancio di come il libro sia stato accolto da pubblico e critica?
Nel nostro ambito direi abbastanza bene. Al di fuori semplicemente ignorato. Come ben sai, nel nostro Paese o parli di politica, o ti fai sponsorizzare da qualche potente di turno, o paghi. Altrimenti non esisti. Non ho trovato nessuno di quelli che si riempiono la bocca palando di cultura, di musica, che poi si sia dato la briga di vedere cosa accade nel nostro mondo. È davvero una schifezza, ma non mi meraviglia, tutt’altro!”.
– E per concludere te la senti di fare un generale bilancio dei tre volumi di interviste?
“Credo di averti già implicitamente risposto. Comunque mi piace aggiungere qualcosa: nel Paese di mia moglie si dice che un uomo è completo se ha un figlio, se ha scritto almeno un libro… e se ha piantato almeno un albero. Ecco, quest’ultimo mi manca e spero di farlo quanto prima… certo a Roma è piuttosto difficile ma ci stiamo attrezzando”
– Progetti per il futuro?
“Seguire mio figlio che ha scelto una facoltà universitaria molto difficile”.
