// di Francesco Cataldo Verrina //

Scandagliando la discografia di Paolo Fresu si riescono a cogliere due aspetti basilari della personalità artistica del musicista sardo. Oggi, pur dividendosi tra passato e presente, Fresu è l’uomo che guarda al futuro lasciando spesso il jazz sullo sfondo e tentando vie alternative alla tradizionale composizione, attraverso un’indagine di altri universi ed emisferi sonori, sovente proposti e condotti con formule strumentali minimali ed atipiche. Esiste poi il Paolo Fresu del primo decennio di attività, mai facilmente circoscrivibile, ma decisamente più ligio al «trattato costituzionale» del post-bop.

In effetti se «Re-Wonderlust» fosse proposto in una blind auditionsenza poter consultare le note di copertina, sarebbe come un viaggio a ritroso nel tempo del tempo negli anni ’50 e ’60. Il sestetto suona un hard bop perfettamente strutturato e calibrato su gli umori del tempo che fu: in cui a tratti è possibile cogliere l’influenza di Monk, ad esempio in «Geremeas», oppure quella del famoso «Maiden Voyage» di Herbie Hancock, nello specifico in «Children Of 10000 Years». Il gioco delle parti è perfetto cosi come l’amalgama tra i sassofonisti, che si mescolano e si alternano elegantemente alla tromba nei vari temi: la tromba che a volte sembrerebbe suonata da Miles Davis altre da Chet Baker. Ma ritornando alla realtà dei fatti ci si accorge che l’anno di grazia era il 1996 e che il disco, all’epoca pubblicato BMG France, documenta e suggella un incontro fra il trombettista italiano Paolo Fresu e del suo quintetto allargato al tenorista belga Erwin Vann. Facevano parte del line-up: Roberto Pipelli al pianoforte ed al piano elettrico, Attilio Zanchi al contrabbasso, Ettore Fioravanti alla batteria e Filippo Vignato al trombone.

«Re-Wonderlust» è scrigno di pietre preziose capaci di brillare ad imperitura memoria, come tutto ciò che nasce sorgivamente o che arriva inaspettatamente: il disco venne fuori da una fortunata seduta di registrazione sostanzialmente improvvisata e decisa al momento, da cui scaturirono tredici brani per quasi un’ora e dieci minuti di musica di alto livello. Il 13 maggio del 1996 il Quintetto Italiano, così lo chiamavano in Francia, si era esibito al festival internazionale Jazz à Liège. Su suggerimento di Lina Guglielmi, allora manager del gruppo per il Belgio, al quintetto venne aggregato il giovane sassofonista belga Erwin Vann. Il giorno dopo il nuovo line-up varcò la soglia dello studio A della Radio Televisione belga di lingua francese per incidere un master live su due piste che verrà poi pubblicato dalla BMG l’anno successivo, grazie all’intermediazione del produttore Jean-Jacques Pussiau.

Fresu rimarca ancora l’importanza degli anni francesi: «In un certo senso la Francia, con la OWL, con la BMG e con il celebre e premiato «Night on The City», è stata un ventre gravido non solo per me ma anche per il Quintetto». In effetti «Wanderlust» sarà il primo di una fortunata serie di 5 album prodotti dalla major transalpina e che salderanno il rapporto creativo del trombettista e del suo gruppo con il pubblico d’Oltralpe. Il repertorio di «Wanderlust» si sostanziava attraverso vecchie e nuove composizioni del Quintetto, per l’occasione arrangiate per sestetto, le quali riprendendo gli assunti basilari e l’humus creativo di alcuni lavori precedentemente pubblicati come «Ossi di Seppia» e «Ensalada Mistica». Ai brani originali si aggiunsero altre punte d’eccellenza sonora: «Children of 10000 Years» composto dal sassofonista ospite Erwin Vann, un hard bop di medio corpo lubrico, strisciante e con qualche venatura funky che s’immerge – come già sottolineato – nelle rarefatte atmosfere hancockiane.

Lo stesso mood viene catturato in “Appuntamento Sul Treno”, che scandisce il passaggio sotterraneo di un convoglio notturno lungo la metropolitana di una città avvolta nella nebbia, quasi un’atmosfera da noire francese; lo standard di Mal Waldron «Soul Eyes», perfettamente calato nel suo mood carezzevole e romantico, intriso di miele millefiori; il suggestivo tema cinematografico scritto da William Walton, «Touch Her Soft Lips and Part», ben calibrato ed adattato all’evocativa tromba del band-leader; “Hush” un omaggio al sassofonista e flautista belga Bobby Jaspar, artista al quale, in quell’anno, il festival Jazz à Liège tributava un doveroso omaggio nei settant’anni dalla nascita. Tra gli inediti, “Seven Up” è perfetto gioco di ruolo con scambi perfetti tra i vari strumentisti, tanto da rievocare il miglior Miles Davis del periodo pre-elettrico; “In Quelle Sere D’Autunno” è un affresco crepuscolare dalle tinte scure, ricco di pathos e stati d’animo mutevoli sottolineati dai passaggi tromba-sassofono.

«Wanderlust», originariamente pubblicato solo a nome Paolo Fresu nel 1997, è stato rimasterizzato dopo 23 anni dalla sua prima pubblicazione da Stefano Amerio ed immesso nuovamente sul mercato nell’aprile del 2020 dalla Tǔk Reloaded, l’etichetta personale di Fresu, con il titolo di «Re-Wanderlust», magnificato da un’originalissima copertina che riprende l’opera grafica «A piene mani» di Paola Pezzi. Il valore espressivo del musicista sardo e del suo ensemble mantengono inalterata l’attualità di questa storica incisione, che appare per nulla intaccata dal tempo. Il quintetto di Paolo Fresu è uno dei gruppi jazz più longevi al mondo con la formazione originale ancora in attività.

L’album si apre con l’arrangiamento originale di «Trunca e Peltunta» registrato nel 1986 insieme a Dave Liebman. «‘Trunca e Peltunta’, in lingua sarda logudorese ‘troncare e bucare’, era il segno che mio padre utilizzava per marchiare le sue pecore distinguendole così dalle altre greggi», spiega Fresu. «Si praticava un piccolo taglio e un piccolo buco nella parte superiore dell’orecchio dell’animale utilizzando un coltellino e una foratrice per cinture in cuoio».

La trascinante composizione eponima «Wanderlust», nasce da un termine inglese di origine tedesca che si riferisce al romantico desiderio di viaggiare ed esplorare il mondo, una sorta di progetto sonoro inteso come cammino possibile nell’anima: non a caso nelle note della ristampa dell’album vengono riportate le parole di Giuseppe Ungaretti: «la meta è partire». Non solo, ma la musica di Fresu e del suo storico quintetto allargato giunge perfettamente a destinazione colpendo l’anima e la mente dei fruitori vecchi e nuovi, di quanti avevano amato «Wanderlust» e di quanti scopriranno «Re-Wanderlust».