// di Guido Michelone //

Taluni commenti ‘indignati’ (o peggio) sul mio breve saggio ‘Jazz e rave’ mostrano purtroppo che qualche jazzofilo si è fatto un’idea del jazz a propria immagine e somiglianza fino ad arrivare al misconoscimento di parecchi episodi di storia del jazz medesimo. Certe affermazioni stentoree non sono comprovate dalla realtà dei fatti: tutta la musica popolare del XX secolo – per restare in un’epoca recente legata al progresso industriale, alle nuove tecnologie, alle comunicazioni di massa, al gusto globalizzato – possiede una marcata presenza di trasgressione, alternativa, controcultura, protesta (o come altro la si vuol chiare) che, in Occidente, riguarda quasi tutti i fenomeni artistici, compresi quelli che oggi si vogliono ‘musealizzare’.

Ora va di moda prendersela con i rave party, ma mezzo secolo fa gli stessi atteggiamenti riguardavano i megaraduni rock o prima ancora la beatlesmania o l’isterismo collettivo dei fan di Elvis Presley. Ma anche a parlare di jazz, la situazione risulta più o meno identica nel passato che alcuni vorrebbe correlato a un mito aulico. Il jazz nasce anzitutto dalla promiscuità dei bordelli a New Orleans; ma prima ancora la musica dello schiavo afroamericano conserva indirettamente al Nord (Stati Uniti), in maniera più esplicita e diretta nel Centro (Cuba, Haiti, Giamaica) e nel Sud (Brasile) un’impronta fortemente rituale, che deriva dai baccanali organistici diffuse in ogni antica civiltà dagli Egizi ai bantù, dagli Edo ai Bambara. In Louisiana, al di là della promiscuità del Red Light Discrict nel Viieux Carré le sfilate pubbliche o i festeggiamenti privati, a suon di ragtime e hot jazz, degenerano spesso in risse o azioni illegali come sparare colpi di rivoltella in aria durante il capodanno: è quanto accade con il minorenne carbonaio Louis Armstrong, il quale finisce di conseguenza in riformatorio, dove maturerà la passione per la musica.

E Satchmo è il primo di una lunga catena di detenuti jazzisti rei di spaccio di droga (Billie Holiday) o persino di rapina a mano armata (Art Pepper). Lungi dal giustificare la criminalità organizzata – come i gangster di Chicago che chiamano jazzisti di prestigio, da Bix Beiderbecke a Joe Venuti, per allietare le serate non certo da educande – il sound afroamericano vive o agisce spesso sui confine del lecito o del proibito: musica insomma border line per eccellenza (la prima ad avere tutti o quasi i musicisti ‘drogati’ dall’erba leggera all’eroina pesante, con decenni di anticipo sul rock o sul rap) agisce sul crinale della legge americana. In epoca di proibizionismo le jazz band suonavano in locali equivoci (dove si spaccia whiskey di contrabbando), i solisti partecipano volentieri ai rend party (festicciole utili a pagare l’affitto degli inquilini, ma anche tanto chiassose e talvolta violente), le big band suonano negli stadi alle maratone di ballo (per coppie allo sfinimento), persino i gruppi cool e quelli successivi lavorano nei night (in mezzo a spogliarelliste e prostitute), i combo fusion performano per giovani fricchettoni (e il festival pop è segno di libero amore e via dicendo).

Insomma l’idea di Gerry Mulligan che il jazz sia una comoda pantofola, ovvero qualcosa da ascoltare dal giradischi – in poltrona davanti al caminetto fumando la pipa – è solo una delle tante (la minoritaria) discutibili proposte in mezzo a un bailamme che molti ‘censori’ farebbero bene a ricordare e a collegare metaforicamente alla cultura dei rave party. Non si vuole esaltare la filosofia dei rave party né tantomeno dei coca party di tante rock star o degli eros party del Rat Pack; e non si vuol parlare ben, anzi di vede criticare sia l’abuso della polverina bianca da parte di Miles Davis sia delle siringhe con Charlie Parker, in quanto, stando persino alle loro stesse ammissioni, non giovano per nulla alla creatività artistica nell’improvvisare o nel comporre.

Si vuole e si deve però manifestare, anche con la penna, a favore della libertà, come sostiene il 2 novembre scorso Stefano Bandecchi quali considerazioni, a margine, di un problema civico: “Concordiamo col governo sulla necessità di una soluzione per impedire il fenomeno dei rave party fuori da ogni regola, ma la norma approvata è un errore e deve essere modificata (…) quanto previsto nel decreto del Governo è troppo discrezionale e apre a pericolosi possibili scenari forieri di una compressione di diritti fondamentali, come la libertà di espressione. Questa norma, nata in teoria per i rave party, potrebbe valere nel caso di flash mob, di occupazioni scolastiche, di altri tipi di manifestazioni spontanee e democratiche”. Certe asserzioni disinformate fatto veramente arrabbiare, ragion per cui bisogna documentarsi a livello ‘storico’ in modo che serva da lezione nel senso che qualcuno dovrebbe prendersi lezioni o ripetizioni di storia del jazz!