Clifford Brown / Max Roach – «Clifford Brown & Max Roach», 1955

// di Francesco Cataldo Verrina //

L’album «Clifford Brown e Max Roach» mette in luce i tanti talenti di uno dei più rivoluzionari ed influenti trombettisti della storia, morto a soli 26 anni, nel giugno del 1956, a causa di un incidente stradale. La prematura scomparsa ha avvolto Clifford Brown in un alone di leggenda facendone un personaggio mitico, una sorta di divinità pagana venerata da tutte le successive generazioni di musicisti jazz e non solo. Troppo breve la sua vita, soprattutto il percorso artistico, uno spazio espressivo ristretto in cui Clifford Brown ha raccontato tanto, ma che avrebbe sicuramente potuto dire molto di più se il destino non fosse stato con lui così beffardo.

«Clifford Brown e Max Roach» è un album che nasce dalla prima session di un quintetto che ha cambiato le coordinate del jazz moderno. L’ensemble, purtroppo, ebbe vita breve. Clifford Brown ed il pianista Richie Powell, fratello di Bud morirono, tragicamente insieme, meno di due anni dopo l’uscita di questo disco. Brown alla tromba e Roach alla batteria sono accompagnati da Harold Land al sassofono tenore, Richie Powell al pianoforte e George Morrow al basso. La musica si sviluppa in contesto tipicamente bop ma ne supera immediatamente gli schemi, divenendo uno dei primi documentati esempi di hard bop.

Clifford Brown appare assai sicuro e padrone dello strumento, tracciando linee melodiche chiare e precise con la consumata autorità ed il savoir faire di un vecchio esecutore e non quella di un giovane di appena 24 anni. Gli assoli del trombettista su «Jordu» di Duke Jordan o sui tre originali da lui firmati, diventati nel tempo degli standard, «Daahoud», «The Blues Walk» e «Joy Spring», sono sempre calibrati ma espressivi, controllati ma coinvolgenti. Harold Land, si approccia costantemente al sassofono con fare fluido e sinuoso in piena e sinergica condivisione del percorso sonoro con Clifford Brown, soprattutto nei molti passaggi all’unisono, prima di lanciarsi verso inventivi ed innovativi assoli. Richie Powell al pianoforte e George Morrow al basso si adeguano al moderno ed aperto l’approccio ritmico, ispirato dal raffinato drumming di Max Roach.

Prima di formare il quintetto con Clifford Brown, il batterista aveva già conquistato un posto di rilievo nell’ambito del jazz moderno, suonando la batteria con Coleman Hawkins e Dizzy Gillespie; aveva apposto, inoltre, il proprio sigillo ritmico in quasi tutte le più importanti registrazioni di Charlie Parker, nonché in «Birth Of The Cool» di Miles Davis. Roach aveva ristrutturato il drumming jazz, sperimentando uno stile aperto con un’enfasi lontana dall’uso pesante della grancassa, operando uno sviluppo più sottile e leggero con un incrocio di ritmi in corsa sui piatti, crash alto e rullante. La sua innovativa procedura aveva definito uno standard d’intervento ed una moderna tecnica per la batteria jazz. «What Am I Here For?», composizione di Duke Ellington, ne è una dimostrazione lampante, soprattutto rivela lo stretto sodalizio e la perfetta sintonia della band. In «These Foolish Things», un classico degli anni ’30 di Jack Strachey e Harold Link, il basso di George Morrow viene utilizzato come strumento principale, offrendo un forte contributo al carattere innovativo dell’album. «Parisian Thoroughfare», scritta Bud Powell, offre una suggestione particolare ed è forse il climax dell’intero set. Il pezzo inizia e finisce con l’imitazione estemporanea dei suoni del traffico parigino, per aprirsi ad una rappresentazione più equilibrata e rilassata della sicurezza e dell’ottimismo tipico della way of life americana della metà degli anni Cinquanta.

Nei due anni di sodalizio con Max Roach e per tutta la durata della durata della band, Clifford Brown emerse come un indiscusso precursore di quel jazz in costante evoluzione, mentre il quintetto stabilì delle linee programmatiche nell’ambito dell’improvvisazione, raramente superate, ma spesso punto di riferimento molti altri artisti venuti dopo. Registrato in vari momenti, tra il 1954 e il 1955, a Los Angeles e New York, pubblicato in varie edizioni, l’album «Clifford Brown e Max Roach» viene annoverato fra i 100 dischi jazz più rappresentativi di ogni epoca.