// di Irma Sanders //

Lee Morgan – «Here’s», 1960

Discepolo ideale di Clifford Brown e trombettista di eccelso talento in grado di caratterizzare il suono della Blue Note a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, Lee Morgan divenne famigerato grazie a «The Sidewinder» nel 1963, il primo disco nella storia del jazz moderno ad entrare nelle classifiche ufficiali di Billboard, per via della title-track che fu scelta come commento sonoro ad un’importante campagna pubblicitaria dell’epoca. La sua tragica morte, avvenuta, nel 1972 a soli 34 anni per mano della moglie che gli sparò alla fine di un concerto, ne amplificò il mito. Nel suo breve lasso di vita, il trombettista ha pubblicato 28 album come band-leader, a cui si aggiungono innumerevoli collaborazioni live ed in studio in veste di gregario.

Registrato l’8 febbraio 1960, «Here’s Lee Morgan» è il settimo album in ordine cronologico realizzato per l’occasione con Cliff Jordan al sax, Wynton Kelly al piano, Paul Chambers basso e Art Blakey alla batteria. Lee Morgan non era un improvvisatore complesso, ma aveva nel suo background un arsenale di dispositivi e trucchi, che spesso comportavano operazioni acrobatiche e schiacciate sui tasti, che lo rendevano unico. La sua musica potrebbe essere considerata una sorta di epitome, di compendio del jazz post-Parker. Negli anni ’60 i suoni che emetteva, nonostante la loro intensa musicalità, erano come le grida di animali; pur essendo in una certa misura sulla medesima traiettoria di Coltrane, sembrava che il trombettista stesse aprendo il bop a nuove soluzioni che Trane non aveva ancora individuato.

«Here’s Lee Morgan» venne pubblicato da una piccolissima etichetta, la VeeJay, nonostante Morgan fosse già una star affermata, avendo realizzato sei album come leader per Blue Note, uno per Savoy e molti altri in veste di sideman con artisti del calibro di John Coltrane, Art Blakey, Curtis Fuller, Art Farmer, Hank Mobley e Dizzy Gillespie. «Here’s Lee Morgan» non è l’album più riuscito del trombettista, ma regge bene l’usura del tempo e si sostanzia come un piccolo contenitore di infuocato di hard bop a presa rapida e dal solido groove. Risaltano, immediatamente, per efficacia le prime due tracce originali composte da Morgan, «Terrible T» e «Mogie», struggente la ripresa di «I’m A Fool To Want You», ma l’album scorre piacevole lungo tutte le sei tracce, notevole «Running Brook» di Wayne Shorter.

Riastampa Jazz Images
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Lee Morgan – «Expoobident», 1961

Lee Morgan è stato un musicista dalla vita breve, ma intensa. Da ragazzino si era mostrato interessato al vibrafono, ma dopo aver ascoltato Clifford Brown tutte le sue attenzioni si concentrarono sullo studio e l’apprendimento della tromba. Da adolescente prese perfino qualche lezione dal suo idolo, prima che questi morisse in un tragico incidente d’auto. A 18 anni si unì alla big band di Dizzy Gillespie per circa un anno e mezzo, fino a quando il gruppo non fu costretto a sciogliersi nel 1958, anno in cui entrò a far parte dei Messengers di Art Blakey, dove sviluppò ulteriormente il suo talento come solista e compositore. Nel frattempo nel 1956 era riuscito ad avere un contratto con la Blue Note, dove la sua tromba forgiò un suono molto caratteristico, quasi un marchio di fabbrica, riconoscibile ed influente. Per qualche tempo, lo stile decisamente duro ed energico di Lee Morgan fu una sorta di antitesi al suono cool e spaziato di Miles Davis. Presso la scuderia di Alfred Lion realizzò molti dei suoi 28 album come band-leader, tranne alcune eccezioni come l’album in oggetto, «Expoobident», seconda uscita per la piccola etichetta Vee-Jay, con Eddie Higgins al piano, Clifford Jordan al sassofono tenore, Art Davis al basso e Art Blakey alla batteria.

Registrato a Chicago il 13 ottobre del 1960, fu dato alle stampe l’anno seguente. Il set risulta un po’ più rilassato rispetto alle precedenti sessioni registrate in casa Blue Note, ma offre una dimensione differente, meno frenetica e più meditativa, probabilmente una strategia editoriale diversa da parte della piccola casa discografica. L’album è ben suonato e ricco d’inventiva, grazie ad un Eddie Higgins in piena forma, nonché autore della title-track dell’album, «Expoobident», vero piatto forte del set ed un’influente Art Blakey nell’insolita e tardiva veste di sideman di lusso, ma soprattutto una coesa ed energica linea frontale condivisa e rafforzata dalla presenza dell’allora sconosciuto Clifford Jordan, autore dell’ottima «The Hearing». Morgan è in uno stato di grazia e raggiunge il climax espressivo ed espositivo particolarmente in «Easy Living» e «Just in Time», che da sole valgono il prezzo della corsa. Lee Morgan firma solo un pezzo, «Triple Track», ma riesce ad essere un perfetto anfitrione ed a fare gli onori di casa, dominando la scena a tutto campo.

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