// di Francesco Cataldo Verrina //
Zoot Sims Meets Jimmy Rowls – «If I’m Lucky», 1977
A volte s’incorre in un errore di valutazione a proposito di Zoot Sims, descrivendolo come un musicista «freddo» e distaccato; ciò nasce dal fatto che per molti critici ed osservatori, essere forieri di uno stile morbido, quasi soffiato, senza un vibrato eccessivo e con un lieve scivolamento tra le note, ma senza nessuna esibizione di virtuosismo formale e muscolare, sia una forma di «cool» ante-litteram, una debolezza espressiva, spesso considerata come una sorta di deminutio capitis rispetto a certi ribollenti ed energici sassofonisti. È altrettanto vero che tra le sue principali influenze debba esserci stato Lester Young, ma Zoot Sims riusci ad andare oltre ed a caratterizzarsi con uno stile personale e facilmente riconoscibile.
Operando nell’arco di una lunga e prolifica carriera discografica tra gli anni ’40 e gli anni ’70, dimostrò di essere uno splendido improvvisatore, capace di inventare molteplici variazioni melodiche muovendo da un singolo tema, sempre nel rispetto dell’originale, ma con una ricchezza creativa non comune. Eppure per la storia del jazz resta un personaggio marginale, a volte del tutto sconosciuto alle masse. Sims, non essendo un fluente compositore, possedeva una speciale attitudine, ossia quella di ricercare brani ignorati o trascurati da altri musicisti e sconosciuti al grosso pubblico, rivitalizzandoli attraverso un originalissimo lavoro sulla melodia. «If I’m Lucky / Zoot Sims Meets Jimmy Rowls», sicuramente il migliore della sua seconda carriera (all’interno di un ventaglio di album realizzati negli anni della maturità per l’etichetta Pablo Records), non sfugge a tali caratteristiche. L’approccio sonoro di Sims non era cambiato molto nel corso dei decenni, egli non si lasciava trascinare dalle induzioni del mercato o dai movimenti avanguardistici, piuttosto era rimasto fedele al tipo di vernacolo jazzistico con cui era cresciuto.
Il set vede quali protagonisti, oltre a Zoot Sims al sassofono tenore, Jimmy Rowles al piano, Mousie Alexander alla batteria e George Mraz al basso. Già l’inizio. Alquanto insolito ma promettente (i boppers difficilmente aprivano il set con un brano lento). Il flusso armonico di Jimmy Rowles al pianoforte, il basso vibrante di George Mraz, i piatti quasi accarezzati da Mousie Alexander, quindi la magia del sax di Zoot Sims spalmano sulle orecchie dell’ascoltatore miele millefiori e dolcissimo nettare con una superba ballata «I Wonder Where Our Love Has Gone». Negli ambienti jazz si dice che la tempra di un musicista si evince soprattutto dal modo cui interpreta le ballate. Ed in questo campo Zoot era maestro di cerimonie. La successiva traccia, «Legs», armonicamente perfetta e melodicamente variata, scivola liscia senza attrito alcuno. Un altro motivo raramente ascoltato, firmato Neal Hefti, tratto dal film «Sex And The Single Girl» del 1964. Il componimento si apre con un rapido crash di piatti e fitti accordi di piano, seguiti dal sax tenore di Sims che annuncia la melodia. Quindi libero sfogo ad una lunga improvvisazione. Jimmy Rowles s’invola in un intrigante assolo dal tratto dissonante. I più esperti noteranno come la sua mano sinistra suoni accordi non comuni, mentre la mano destra selezioni le note con l’intento di creare delicate variabili melodie. A tre quarti del tragitto, un bell’assolo di basso, quindi Sims che riprende lo scettro del comando per un girandola improvvisativa ancora più intensa, mente sul finale, fino al closeout, si ritorna di nuovo alla melodia di base.
Il piatto forte è la title-track, «If I’m Lucky», ispirata da una vecchia canzone con lo stesso titolo, eseguita da Perry Como in un film passato inosservato. La medesima sorte era toccata al tema dominante, che Zoot Sims riportò in vita, riabilitando un’efficace melodia ed arricchendola di nuove suggestioni. La versione di Sims inizia con il contrabbasso che lancia il tema. Dopo le prime battute, il pianoforte entra con accordi sussurrati e millimetrici, quindi nel mezzo del chorus, Sims fa la sua apparizione per completare l’asseto melodico in maniera precisa, senza alterarne lo schema rispetto alla partitura originale. Dopo circa un minuto e venti secondi, la band da sfogo all’improvvisazione, Sims inizia a ricamare l’intelaiatura melodica, modellandola, distorcendola e piegandola al suo volere al fine di creare una sensazione di inedito. La corsa continua, e Jimmy Rowles esegue un assolo di piano riflessivo e personalizzato, ma con estremo rispetto per l’umore che Sims aveva stabilito, quindi si ritorna alla melodia originale fino alla chiusura.
«Shadow Waltz», pezzo dal un titolo fuorviante, suggella la prima facciata dell’album. Più che un valzer sembra una bossa-nova, facile ed immediata, la cui aria continua a frullarti in testa a giradischi spento. Il brano concede l’opportunità a Jimmy Rowles di servire al mondo un assolo superbo ed a George Mraz di non essere da meno. Swingando lentamente Zoot Sims offre una brillante dimostrazione di bravura in apertura della B-Side con «You’re My Everything», mantenendo il tempo su assetto mid-range ed a temperatura costante. I giri aumentano con «It’s all Right With Me», soprattutto la sezione ritmica sembra andare al piccolo trotto, mentre Zoot traccia la sua iperbole melodica. «Gypsy Sweetheart» è una vecchia ballata scritta nel 1898 e mai associata al jazz prima di questa sessione, ma ciò non impedisce a Sims di trasformarlo in un piccolo standard. Si parte con alcuni accordi alquanto cupi di Jimmy Rowles, mentre Zoot fa qualcosa di insolito: oltre a riprodurre una melodia dritta e lineare, la esegue come se non fosse jazz, senza un minimo di swing. Invece di assecondare il ritmo, resta indietro recuperando il tempo perduto ed emettendo ogni singola nota in maniera distinta. Dopo circa un minuto e mezzo si arriva alla parte improvvisativa. Per finire in grande stile, ecco un’incantevole riproposizione di «I Hear A Raphapsody». Pubblicato nel 1977, «If I’m Lucky / Zoot Sims Meets Jimmy Rowls» è un album molto friendly, adatto ad un intrattenimento leggero, ideale per un piacevole rendez-vous amoroso, un rappresentazione del jazz nella sua forma più elegante.

EXTRA LARGE
Zoot Sims Quartet – «Zoot», 1957
Qualcuno scrisse di lui: «Zoot non era quel tipo di strumentista cervellotico che parlava sempre di musica o la analizzava. Adorava solo fare jam e suonare il sassofono tenore. Era un uomo semplice e spontaneo, che amava suonare Jazz». Non era un esibizionista, ma amava le sfide ma, nelle competizioni, chiunque avrebbe potuto rimetterci la faccia. Il suo approccio quasi infantile con la musica, lo portò ad essere un personaggio stimato soprattutto dai colleghi ma marginale per gli annali e le cronache dl jazz moderno, ciononostante s’è guadagnato un posticino nella lista dei tenori più abili dell’era bebop. Pur essendo in grado di battere qualsiasi rivale, qualunque fosse stato il suo strumento, Zoot non divenne mai una superstar come il suo «gemello diverso» (nella sezione fiati di Woody Herman), Stan Getz, né fu un illustre compositore-arrangiatore come il suo partner Al Cohn. A partire dalla giovinezza, Zoot cercò di modellare e distillare un preciso suono, cercando ispirazione nella musica dei primi maestri del moderno sax tenore come Lester Young, Ben Webster, Don Byas e Coleman Hawkins.
Dopo aver affiancato alcuni importanti band-leaders divenne lui stesso un affermato solista, perfezionando costantemente la tecnica espressiva. Non fu mai però un musicista che inseguiva o cavalcava le mode e le tendenze, ma tenne sempre ben a mente i due principi del jazz classico: il swing, il blues e cambi di accordi. Sulla scorta di tali principi trovò ampie opportunità per dimostrare le proprie capacità anche nell’uso del sassofono soprano, alto e baritono. Nel corso della sua carriera, Zoot incarnò sempre la figura del musicista jazz legato alla tradizione, in maniera ligia e perseverante e senza mai uscire dallo steccato. Alla critica in cerca di avanguardie dovette sembrare poco interessante ed innovativo; per contro Sims fu un musicista ispirato e coinvolgente. Nonostante il suo stile fosse rimasto immutato anche dopo gli anni ’50, entusiasmo e creatività non vacillarono mai, soprattutto tecnica e precisione erano da manuale, sembrava che tagliasse le note con la lama di un rasoio.
Registrato il 12 ottobre 1956 allo Studio Capitol di New York e pubblicato nel 1957 dalla Argo Records, «Zoot» è uno quei dischi che meglio descrivono l’indole artistica di Sims: un caldo ed invitante bebop con una ricchezza di variazioni melodiche inestimabile, un timbro sempre misurato, mai eccessivo, un approccio ed un fraseggio elegante e levigato con il fantasma di Lester Young sempre pronto a far capolino tra i solchi. Tutti i lavori di Zoot Sims sono un anello di congiunzione tra lo stile West-Coast e quello della costa orientale, ne è una dimostrazione lampante la scelta degli standard eseguiti, tra cui spiccano l’iniziale «920 Special», «Guys Blues» ed una rara interpretazione di “That Old Feeling”. In genere le scelta delle tracce nei dischi di Sims non fu mai banale. Il suo vezzo principale era quello di tirare fuori brani che altri trascuravano o non che non consideravano adatti alla sintassi jazz. «Woudy’N’You» di Gillespie è davvero una piccola gemma di creatività, e qui il pensiero corre a Charlie Parker, anche se Zoot Sims era uno di quelli in grado di interpretare tutto ciò che si potesse suonare e renderlo personale. Ottima il line-up che accompagna il sassofonista californiano (tenore e alto): John Williams al pianoforte, Knobby Totah al contrabbasso e Gus Johnson alla batteria. «Zoot» è un album ideale per quanti dal jazz non non si aspettano complicazioni cervellotiche o fughe impossibili verso la trascendenza.
Al Cohn & Zoot Sims – «Body and Soul», 1962
Questo è ufficialmente il primo album come band-leader di Al Cohn, il quale aveva abbandonato le scene, per qualche tempo, dedicandosi allo studio e alla scrittura. Il suo ritorno in sala d’incisione per l’etichetta Muse nel 1962, lo vede accanto a Zoot Sims che ne condivide il progetto e la leader-ship. Il quintetto si completa con pianista Jaki Byard, il bassista George Duvivier e il batterista Mel Lewis. Cohn e Sims avevano personalità musicali differenti e capaci di compensarsi a vicenda: non è il solito duello tra vecchi leoni, giocato su una sorta di finto antagonismo, ma «Body and Soul», che si colloca in quel punto di rottura e di apertura tra jazz bianco e jazz nero, è un album ben suonato che spazia tra un bop di varia gradazione, ballate dal sangue blues e tentazioni westcoastian-latine. Zoot Sims, con un colpo da maestro, si misura al sax soprano in «Jean», distillando un piccolo capolavoro ad alta intensità lirica, mentre Cohn da il meglio di sé nella title-track, «Body and Soul». Il momento più corale e riuscito, con ausilio dell’ottima sezione ritmica, fu «Brazilian Medley», nella quale vennero assemblate tre composizioni dal ritmo esotico: «Recado Bossa Nova», «The Girl From Ipanema» e «One Note samba». L’album si muove a pie’ leggero come le divinità omeriche, e mentre le sirene incantano i neofiti, anche i jazzofili più esigenti potrebbero rimanere intrappolati nelle ammalianti spire dei due sassofoni intenti ad aggiunge un alto punteggio al loro score personale.

