Harry Verbeke Quartet – “Short Speech”, 1979
// di Bounty MIller //
Harry Verbeke Quartet – Short Speech”, 1979
Harry Verbeke, ancora giovanissimo impara a suonare il sax durante l’occupazione tedesca dell’Olanda. L’arrivo delle truppe americane di liberazione e la fine della guerra gli apriranno la strada per il jazz . Nella seconda metà degli anni ’40 suona, soprattutto in Francia e Germania, con The Millers, una swing band guidata dalla cantante Pia Beck. A partire dal 1950, con l’affermazione dell’hard-bop forma una piccola combo i Diamond Five, insieme al pianista Cees Slinger, al trombonista Cees Smal, il bassista Jacques Schols e il batterista John Engels, cominciando ad esibirsi allo Scheherazade celebre locale notturno e punto di riferimento del jazz ad Amsterdam.
Dal 1960 è primo sassofono nella big band di Boy Edgar, partecipando a numerosi spettacoli radio-televisivi, mentre dal 1967 Verbeke è alla testa di un quartetto stabile con cui inciderà molti dischi in veste di band-leader. Storiche le sue esibizioni al North Sea Jazz Festival. Nel 1968 vince il Premio Wessel Ilcken, Nel suo palma res figurano anche due premi Edison ed un Sea Jazz Award. Mentre il jazz acustico subisce la violenza e la contaminazione di altri generi, negli gli anni ’70, come molti altri musicisti europei, Verbeke diventa uno templari del jazz mainstream legato alla grande tradizione americana, dividendosi tra bop e cool, soprattutto è nuovamente protagonista alla guida del quartetto con cui realizzerà uno dei migliori dischi della sua carriera “Short Speech”.
Registrato l’11 luglio del 1979 al Sound Push Studio di Blaricum in Olanda con Harry Verbeke al sax tenore, Irv Rochlin al piano, Harry Emmery al basso e Max Rolleman alla batteria, l’album fa emergere il talento del tenorista olandese, che si divide tra hard-bop con uno stile che ricorda vagamente Dexter Gordon e un più moderato sound West Coast in cui riaffiora il fantasma di Lester Young; ne è la riprova la dilatata ed personale versione di “Polka Dots And Moonbeams”, eseguita da Verbeke con un soffio leggere, un tocco vellutato ed un fraseggio morbido che riportano alla mente le atmosfere tipiche del “Presidente”; la conferma arriva anche da “Blues For Clara” uno di tre originali composti da pianista Irv Rrochlin, in cui il paragone più diretto se non con Lester Young, potrebbe essere quello con Zoot Sims o il primo Stan Getz.; “A Little Taste” di Cannonball Adderley è un hard-bop energico, ben calibrato che non sfigura nel confronto con l’originale; l’essere entrati con rispetto nel santuario di Mingus, fa si che la versione di “Peggy’s Blue Skylight” non sia difforme dalla primigenia partitura, ma l’arrangiamento per quartetto la rende più snella ed a tratti più godibile, pur perdendo in complessità armonica, guadagna in immediatezza e la melodia diventa più fruibile.
A seguire “Will-O-The-Wisp” che, pur firmata dal pianista (vero alter ego di Verbeke), sembra un continuum della saga mingusiana, un tributo al grande maestro con un crescendo di piano ed un ottimo interludio, soprattutto un’evoluzione quasi onirica ed un precorso traversale del sax; fra le tre originali, sicuramente quella più complessa ed articolata negli arrangiamenti e nello sviluppo melodico armonico; ottima la title-track, sempre a firma Irv Rrochlin, calibrato esempio di bop dal passo latino, dai toni festosi, misurato nella forma e nella sostanza e con una melodia che si conficca subito nelle meningi. Di certo gli Americani facevano dischi del genere trent’anni prima, ma vi garantisco che qui il livello è notevole. Non vi dico solo comprate “Short Speech”, ma aggiungo, e lo faccio spesso per molti dischi ed artisti sconosciuti, correte a cercarlo, la quotazione sul mercato è di 8/10 euro. Mi ringrazierete anche per l’ottima qualità sonora del vinile, soprattutto se vi capiterà fra le mani una stampa olandese del 1979 su etichetta Timeless.
