// di Francesco Cataldo Verrina //
Benny Golson – “Blues On Down”, 1978
Negli ’70 la Milestone fece un ottimo lavoro di divulgazione del jazz, ma soprattutto di facilitazione commerciale, agevolando quanti, anche per motivi anagrafici, non avevano avuto la possibilità di acquistare certi dischi. La blasonata etichetta fece uscire una serie di album doppi, mettendo insieme due set completi di vari autori, dopo un lavoro di ripulitura e rimasterizzazione dei nastri originali. E’ inutile dire che, nel caso di Benny Golson con “Blues On Down”, a parte l’indiscutibile valore artistico delle due opere, la qualità sonora è superiore a quella delle stampe originali. La scelta dei discografici cadde inevitabilmente su delle sessioni fra le più riuscite e complete della carriera del sassofonista/compositore.
Trattasi di “The Modern Touch” del 1957 e di “The Other Side Of Benny Golson” del 1958. La prima fu registrata originariamente per la Riverside il 19 ed il 23 dicembre del ’57 al Reeves Sound Studios di New York e riguarda la seconda uscita di Golson come band-leader, con Benny Golson sassofono tenore, Kenny Dorham tromba, J.J. Johnson trombone, Wynton Kelly pianoforte, Paul Chambers basso e Max Roach batteria. Il gruppo all-star esegue tre composizioni originali del sassofonista, una coppia di brani di Gigi Gryce, tra cui spicca “Hymn To The Orient” e lo standard “Namely You”. L’eccellente esecuzione aggiunge in ogni momento al costrutto sonoro una nota di inconfondibile eleganza, mentre l’ottimo ensemble, che si distingue per la sua eloquenza, fa di questo un set un esempio di jazz di classe superiore, definendo, nell’anno di grazia 1957, le linee programmatiche del nuovo bop. Il secondo set si riferisce a “The Other Side Of Benny Golson” registrato sempre per la Riverside il 12 novembre del 1958 al Nola’s Penthouse Sound Studios di New York con Benny Golson sassofono tenore, Curtis Fuller trombone, Barry Harris pianoforte, Jymie Merritt basso e Philly Joe Jones batteria.
Fu questa la terza uscita ufficiale di Golson come leader, significativa per due aspetti: in primis, l’inizio di una proficua collaborazione on il trombonista Curtis Fuller, i due sarebbero presto diventati membri del progetto The Jazztet a partire dal 1960; inoltre conferma il talento di Golson come solista, fino a quel momento più apprezzato come autore. Anche in questa session, tre dei sei originali eseguiti sono di Golson, tra i quali si fa apprezzare particolarmente “Are You Real”. Il line-up collabora con grande spirito di servizio: Fuller ed il pianista Barry Harris pongono la giusta enfasi sugli assoli del leader; mentre il bassista Jymie Merritt e il batterista Philly Joe Jones risultano impeccabili nel sostegno ritmico. “Blues On Down” è un doppio album ideale per quanti intendano iniziare a scandagliare la variegata discografia di Benny Golson.
EXTRA LARGE:
Benny Golson – “Take A Number From 1 to 10”, 1961
Benny Golson, oggi ultranovantenne, è stato uno dei jazzisti più inventivi e brillanti nella storia del bop, valido esecutore, ma anche sopraffino autore ed arrangiatore, molte delle sue composizioni sono diventate degli standard, o comunque sono state riprese e riadattate da molti illustri colleghi. A tal proposito ricordiamo “I Remember Clifford”, “Blues March”, “Whisper Not”, “Killer Joe”, “Stablemates”, “Along Came Betty” e “Are You Real?” In fondo, Golson era un uomo tranquillo, finache rinunciatario, e spesso amava operare dietro le quinte. “Take A Number From 1 to 10” è uno dei dischi più geniali mai concepiti, a parte l’incontestabile contenuto, ma soprattutto per le dinamiche di sviluppo e l’idea su cui si regge l’intero progetto, ossia partire con un solo strumento fino a giungere progressivamente ad una mini orchestra formata da dieci strumentisti con una struttura quasi di “mingusiana” memoria. L’album inizia con l’interpretazione solista dell’intramontabile “You’re My Thrill” eseguita in solitaria da Benny Golson e, da lì, si aggiunge progressivamente un nuovo musicista ad ogni successivo brano, tra i quali Freddie Hubbard, Cedar Walton, Art Farmer e Curtis Fuller, culminando con un ensemble completo di dieci elementi alle prese con un componimento originale, “Time”, firmato da Golson.
Mentre l’espansione sonora progressiva è affascinante da ascoltare, la splendida interpretazione in duetto di “My Heart Belongs to Daddy” con Golson accompagnato dal bassista Tommy Williams è una delle performance più toccanti; cosi come i piccoli gruppi che si vanno componendo in progressione, prima in tre con l’aggiunta di Albert Heath alla batteria per “The Best Thing for You Is Me”, quindi in quattro con l’arrivo di Cedar Walton al piano per “Impromptune”, sono altrettanto coinvolgenti per intimità e sfumatura. “Take A Number From 1 to 10” è un album che si sviluppa in un crescendo di mozioni con l’arrivo della quinta colonna, Freddie Hubbard alla tromba in “Little Karin”. Registrato al Nola’s Penthouse Sound Studio di New York il 13 dicembre 1960 (tracce 1, 2, 3 e 4), il 14 Dicembre (tracce 5, 6 e 7) e l’11 aprile del 1961 (tracce 8, 9 e 10) e pubblicato dall’etichetta ARGO Records, questo è uno di quei dischi che non dovrebbe assolutamente mancare in ogni collezione jazz che si rispetti.
Benny Golson Featuring Curtis Fuller – “California Message”, 1981
“California Message” segnò il ritorno di Benny Golson nel 1981 con una produzione giapponese. L’album registrato il 20, 21 e 22 ottobre 1980 allo Studio Maui Music di Los Angels, venne dapprima pubblicato dall’etichetta nipponica Baystate e poi rimesso sul mercato nel 1984 dalla tedesca Timeless. Golson, che suona tenore e soprano, dirige un sestetto con Curtis Fuller al trombone ed un manipolo di musicisti di studio di area californiana: Oscar Brashear alla tromba, Thurman Green secondo trombone, Bill Mays al pianoforte, Bob Magnusson al basso e Roy McCurdy alla batteria. Il set si basa essenzialmente su una serie di brani arcinoti scritti dal leader, ma non è una semplice autocitazione, le sorprese non mancano e soprattutto il sound risulta aggiornato al contesto musicale degli anni ’80.
In alcuni momenti si ha l’impressione non solo di riscoprire vecchie composizioni, ma di scoprire del materiale inedito. Bill Mays usa il piano elettrico, ma con uno sguardo al passato, mentre Fuller e il collega trombonista, Thurman Green, senza eccedere in protagonismo, si limitano ad agevolare la progressione del band-leader che risulta sempre piacevole sia al soprano che al tenore, ma la vera sorpresa è il trombettista Oscar Brashear, il quale dispensa in tutta scioltezza assoli dal taglio innovativo e ricchi di liricità. L’album contiene sette tracce eseguite con puntigliosa professionalità, tra cui spiccano “Blues March” e la classica “I Remember Clifford”. Il legame con il glorioso passato di Golson risulta molto stretto, ma lo sguardo rivolto al jazz di quel particolare scorcio degli anni ’80 è assai tangibile.

