Philly Joe Jones Sextet – “Blues For Dracula”, 1958

// di Francesco Cataldo Verrina //

La mania dei film horror degli anni ’50 raggiunse presto anche il mondo del jazz, tanto che l’album “Blues for Dracula” di Philly Joe Jones sembrerebbe un disco adatto ad un’infantile festa di Halloween piuttosto che ad un fumoso club della 52° strada di New York. In verità è un piccola zucca farcita di perle e dubloni hard bop che, nel 1958, segnarono il debutto del batterista come band-leader per la Riverside Records, spalleggiato da due comprimari di lusso: il cornettista Nat Adderley, maestro nel gioco improvvisativo sul terreno del blues ed il sassofonista Johnny Griffin il più veloce scalatore sugli assoli più impervi e senza freni inibitori, spalleggiati dal trombonista Julian Priester, dal pianista Tommy Flanagan e dal bassista Jimmy Garrison.

Nella lunga title-track che reca in calce la firma di Johnny Griffin, dopo un lupesco ululato, si scimmiotta una di quelle declamazioni tipiche alla Vincent Price, ma è la parodia di Bela Lugosi, il famoso Dracula cinematografico. Philly Joe Jones intona un diabolico speech con uno pseudo-accento transilvano: “Sono il vampiro Bebop… Mi piace questa musica che fa brillare la luce delle tenebre!”; tutto ciò più di venticinque anni prima che Michael Jackson facesse “Thriller”. In verità ci troviamo di fronte ad un magica pozione di sangue soul-blues che mette in luce i singoli e vampireschi talenti non solo dei solisti appostati sulla front-line, ma di tutto il sestetto al completo che si muove come guidato da una forza telepatica e “soprannaturale”. “Trick Street” molto in odor di Messengers si dimena tra impennate funkified e soleggiate progressioni pianistiche con un Flanagan in odor di santità, mentre la retroguardia ritmica prepara continuamente il terreno alle incursioni dei tre ottoni.

“Fiesta” di Carl Massey, arrangiata da Philly Joe Jones si dipana su una lunga e gaudente maratona di oltre dieci minuti, ma senza la maschera di Halloween. Il passo è moderatamente latino e ricco di suggestioni esotiche infarcite da assoli da manuali: Griffin trova il suo break even point, assecondato dal giovane Adderley che porta il suo piccolo strumento a livelli stellari, Flanagan distende gli animi, ma i rullanti di Joe Jones annunciano ancora venti di guerra. La B-side si apre con “Tune-Up” di Miles Davis, otto minuti tra lampi, fulmini e saette, dove cornetta e sassofono, sostenuti dal trombone di Julian Priester s’involano in una serie di assoli a velocità supersonica, mentre, quasi sul finale, l’assolo del batterista-leader diventa un piccola case-study. “Ow!”, firmata Dizzy Gillespie, offre alla cornetta di Nat un facile terreno di coltura, ma in quei dodici minuti ed otto secondi accade di tutto, Griffin, Jones e soci danno una dimostrazione lampante di come si possa rigenerare e perpetuare la specie bop-sapiens.

Registarto a New York , il 17 settembre del 1957, “Blues For Dracula”, forse per sua estetica leggermente pacchiana, è stato sottovalutato: a volte una copertina può pregiudicare anche una carriera. Oggi, però, ci lasciamo piacevolmente mordere sul collo e sulle orecchie.