// di Guido Michelone //
Ieri 25 ottobre 2002 è mancato Franco Fayenz, nato a Padova il 18 gennaio 1930, il quale, grosso modo dal 1960 al 2010, dunque per mezzo secolo, si prodiga generosamente a divulgare la storia del jazz firmando libri e articoli, curando. serie di dischi, scrivendo note di copertina e soprattutto proponendo conferenze con ascolti discografici lungo l’intero Paese. Nonostante le simpatie di sinistra, negli ultimi decenni collabora appunto quale critico jazz al quotidiano “Il Giornale” dove mantiene una posizione ideologica di neutralità che potrebbe definirsi accettabile; in qualità di recensore, cronista, inviato, musicologo collabora altre sì con i quotidiani “Il Foglio” e “Il Sole 24 Ore” e con il mensile di musica classica “Amadeus”.
Di Fayenz va ricordato che in piena temperie free e rock, una delle sue molte conferenze, tenuta alla Fenice di Venezia, viene pubblicata su libro nel 1971 con il titolo Anatomia elementare del jazz, servendo a decine di giovani dell’epoca come vademecum per far luce su un oggetto misterioso per i quindicenni di allora. Franco in questo volumetto si discosta dalle opinioni diffuse tra i ‘senatori’ più o meno coetanei – di solito radunati attorno al mensile “Musica Jazz” diretto da Arrigo Polillo, uil quale comunque vuole con sé per alcuni interventi lo stesso Fayenz – che vedono il free, il rock, il soul, il jazzrock (e l’avanguardia in genere) come fumo negli occhi; non a caso il librino termina con due brani all’epoca recentissimi Going Up The Country dei Canned Head a Woodstock e My Back Pages di Bob Dylan (ma nella versione di Keith Jarrett) a sottolineare importanza del presente e del futuro di un sound raccontato solo al passato, fino ad addomesticarne il carattere oggettivo di musica ribelle, alternativa, controcorrente.
Durante le conferenze di Fayenz, a cui segue l’inevitabile sessantottesco ‘dibattito’ sono numerose le richieste di indicazioni discografiche per avvicinarsi al jazz; e per esaudire tali ‘desideri’, il critico, musicologo, giornalista s’interessa anzitutto i gusti musicali del ‘richiedente’ onde consigliare qualcosa di jazzisticamente affine; negli anni Settanta (e oltre) sono in molti a pensare che sul jazz occorra mettere il fruitore ‘di fronte al fatto compiuto’, ovvero informarlo che la storia del jazz nasce discograficamente nel 1917 e che da allora sono forse milioni i 78, 45, 33 giri usciti in tutto il mondo, ma basta una buona antologia di 90 minuti di musica per conoscere quei 12-15 capolavori su cui orientarsi. Ascoltando ad esempio almeno un esempio via via di hot, swing, bebop, cool, hard bop, free, jazzrock si potrà trovare senz’altro il jazz che fa allo scopo e da cui partire per ulteriori esplorazioni, se c’è ovviamente curiosità intellettuale. Durante gli incontri con Fayenz sono gli stessi uditori a citare il doppio LP I grandi del jazz (1961) da lui curato da Franco Fayenz e allegato all’omonimo libro in cui tratta assoluti mostri sacri come Jelly Roll Morton, Bix Beiderbecke, Louis Armstrong, Duke Ellington, Benny Goodman e Charlie Parker.
Per lungo tempo il cofanetto di Fayenz resta un referente eccezionale, almeno per il sound tra il 1925 e il 1950, periodo secondo lui, giustamente, fondamentale per apprezzare il valore intrinseco del jazz medesimo. Del resto è un periodo in cui – prima del boom di Umbria Jazz come festival gratuito – non è facile in Italia avvicinarsi al jazz e Franco si chiede spesso se il neofita, vecchio o giovane, voglia conoscere la storia del jazz dalle origini ai Seventies o avere qualche consiglio (in particolare discografico) su quali novità ascoltare; gli ascoltatori italiani in merito al jazz, soprattutto agli inizi del decennio risultano sostanzialmente ripartiti via via fra i nostalgici cultori del cosiddetto tradizionale (dixieland, swing, ma anche coroner alla Frank Sinatra); gli ex giovanottini ormai incanutiti che scelgono il moderno (pensando di fatto al bebop e al cool); i rari intellettuali alternativi che s’azzardano a parlare bene del free jazz; i ragazzi frichettoni che, accanto al prog rock, iniziano a entusiasmarsi per la nuova svolta di Miles Davis e dei suoi numerosi adepti.
La posizione di Fayenz al proposito è chiara, facendo ascoltare il Dylan rivisitato pianisticamente da Jarrett vuole ricordare che, sì, il repertorio jazzistico è storicamente tratto dalle canzoni, ma si tratta di espressioni musicali che precedono o ignorano il rock. E questi concetti si ritrovano in quasi tutti i dieci libri da lui via via pubblicati: in ordine cronologico I grandi del jazz (Nuova Accademia, 1961), Il jazz dal mito all’avanguardia (Sapere, 1970), Anatomia elementare del jazz (Sapere, 1971), Musica per vivere (Laterza, 1980), Jazz & jazz (Laterza, 1981), Il nuovo jazz degli anni ’40 (Lato side, 1982), Jazz domani (Einaudi, 1990), Nottetempo: storie di jazz per immagini e ricordi (Thema, 1992), La musica jazz: un manuale per capire, un saggio per riflettere (Il saggiatore, 1996), Lennie Tristano: il profeta incompreso (Stampa alternativa, 2006).
Oltre l’Anatomia e I Grandi, vanno almeno ricordati altri due testi significativi: da un lato Jazz domani (1990) presenta Anzitutto 17 immagini in bianco e nero del compianto fotografo concettuale Roberto Masotti (che qui ritrae Duke Ellington, Max Roach, Art Blakey, Sarah Vaughan, Thelonious Monk, Gerry Mulligan, Lennie Tristano, Woody Herman, Keith Jarrett, Rufus Harley, Sonny Rollins, Steve Lacy, Cecil Taylor, Martial Solal, Albert Mangelsdorff, Giorgio Gaslini Carla Bley) mentre lo scritto affronta il timore (ma anche l’attesa) di nuovi jazzisti che si possano affermare definitivamente sulla scena musicale americana ed europea dopo la progressiva scomparsa dei sommi Maestri. Franco discute altresì i primi momenti del sound afroamericana analizzando case discografiche e riproduzioni fonografiche giungendo a una ‘quasi conclusione’ (come intitola l’ ultimo capitolo).
Dall’altro lato La musica jazz: un manuale per capire, un saggio per riflettere (1996) è un libricino tascabile che si propone quale breve manuale onde entrare velocemente in un macrocosmo sonoro che a sua volta corre molto in fretta, più da centometrista che da maratoneta. Fayenz inizia il testo in un serrato confronto fra avanguardia e tradizione, redigendo altresì un significativo paragrafo con un titolo che è di proposito un ossimoro, Il futuro antico, dove tratta Miles Davis, Ornette Coleman, Chick Corea, Bill Evans e numerosi altri esponenti della più o meno riconosciuta contemporaneità. Il volume si conclude sia con un glossario dei più diffusi termini legati al jazz sia con una discografia ancor oggi valida per il tragitto che dal ragtime arriva alla fusione (compresa).
