AB QUARTET – “DO UT DES” (Red&Blue) 2022
// di Francesco Cataldo Verrina //
A pensarci bene il “Do Ut Des” è primo motore mobile di ogni azione umana, una sorta di scambio, di interplay naturale. La vita degli uomini di ogni epoca si è basata costantemente su un equilibrato “dare e avere”: la musica non sfugge a questa regola aurea scolpita nella storia dell’umanità. Al netto però dell’antica locuzione latina, l’AB Quartet colloca il “Do Ut Des” in una differente dimensione, forse più articolata e complessa che sottende significati, fenomeni e metafenomeni quasi kabalistici, dove si possa giocare con le parole e dalla cui combine possano scaturire delle formule musicalmente alchemiche.
Se con il precedente album ispirato alle musiche di Debussy, il quartetto, composto Francesco Chiapperini (clarinetto e clarinetto basso), Antonio Bonazzo (pianoforte), Cristiano Da Ros (contrabbasso) e Fabrizio Carriero (batteria e percussioni), aveva privilegiato un’elegiaca e più notturna coloritura, “I Bemolli sono Blu”, per contro con “Do Ut Des”, le tinte sonore diventano mutevoli, camaleontiche e cangianti, come dichiarato dai titolari dell’impresa nell liner notes di copertina . Per intenderci il celebre motto latino viene traslato in gradi della scala temperata, secondo la denominazione latino-germanica, assumendo dei connotati motivici: Do Ut Des uguale a Do Do Reb, da cui sgorgano, com acqua sorgiva, sorprendenti e spiazzanti combinazioni sonore particolarmente innovative. Gli AB Quartet tratteggiano così il mood della loro nuova opera discografica: «Per il concept del disco siamo partiti dalla musica antica, anche se spesso non sono restati che fugaci accenni del materiale originale. Abbiamo invece lasciato largo spazio alla creazione di una nuova musica, ibrida e di difficile collocazione dal punto di vista stilistico». Basta l’opener, “Lux originis” per fugare ogni perplessità con attacco di piano sulle ottave basse che ricorda l’impeto di Cecil Taylor ed una ritmica al galoppo che apre le maglie del costrutto al clarinetto di Francesco Chiapperini che si distende tra le spire di una melodia a salti quantici, fatta di aromi antichi e di essenze moderne, ma ricca di cambi di passo ed alterazioni tematiche, specie nella fuga improvvisativa.
Il valore aggiunto della musica degli AB Quartet consiste proprio nell’amalgama di quattro differenti anime sonore vaganti, portatrici sane di una miriadi di stili, linguaggi e metalinguaggi, i quali finiscono per confluire attraverso il principio dei vasi comunicanti all’interno di un unico contenitore che si solidifica per forma e sostanza intorno ad un concept sonoro ben preciso. “Aetio dicatum”, porta immediatamente i quattro sodali in una dimensione quasi narrativa ed itinerante, tra antico e moderno, sacro e profano, dove i due legni ed il pianoforte si dividono il compito di redigere le coordinate del viaggio ed il diario di bordo.

“Dies irae”, terzo componimento ad opera del pianista Antonio Bonazzo, declama una formula ibrida dall’humus mutevole: dopo un inizio cupo e meditabondo, il convoglio inizia a muoversi flessuoso come un balletto d’altri tempi, dove però gli elementi dissonati e trasversali lo riportano immediatamente in una dimensione contemporanea. È inutile sottacere il fatto che l’AB Quartet mostri una doppia faccia, da Giano bifronte, anzi si diverte a implementare un dualismo ricreativo basato sui contrasti armonici l’articolazione del contrappunto e le variazioni melodiche. Le tematiche sonore espresse sembrano dividersi e camuffarsi, simularsi e dissimularsi tra passato e presente, tra classicismo e jazz. “Lente sed sine misericordia” (in italiano “piano ma senza pietà) è un lavacro purificatorio, uno dei due brani composti dal contrabbassista Cristiano Da Ros, che diventa la rappresentazione scenica di un pensiero capace di unire i poli opposti della musica attraverso un forte magnetismo creativo ed una catarsi rigenerante.
La title-track, “Do ut Des”, firmata sempre dall’estroso pianista del quartetto, pur nella sua dimensione inizialmente sospesa, quasi onirica, ritrova in corso d’opera il dualismo espressivo dell’affiatato line-up, trasformandosi in una danza estatica e propiziatoria, caratterizzata da un potente gancio melodico. Non a caso nel parenchima sonoro del quartetto si sviluppano i più disparati enzimi creativi, dove additivi a base di contemporary jazz vengono diluiti da trame melodiche provenienti da terre lontane, metriche dispari e reminiscenze dei canti gregoriani. A tal proposito, “Ut Queant Laxis”, seconda composizione del bassista, si muove nel rispetto degli assunti basilari del progetto attraverso un’esplorazione costruttiva interamente affrancata da gabbie stilistiche premasticate.
L’album si chiude con “Beata viscera”, un’incantevole affresco melodico, che sembra cogliere spunti provenienti dai quattro punti cardinali della musica, in un crescendo di invenzioni e moduli espressivi. Pur se collocato in ultima posizione nella tracklist, “Beata viscera” si sostanzia sicuramente come uno dei momenti più riusciti dell’album. “Do Ut Des” degli AB Quartet è una piacevole fuga dalla realtà tetragona del banale costrutto sonoro di maniera, piuttosto configura un viaggio di andata e ritorno dalle origini della libertà espressiva alla consapevolezza di una partitura difficilmente catalogabile in uno schema, ma concreta ed adattabile alla contemporaneità della musica.
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