George Adams, Hannibal & Friends – «More Sightings», 1984
//di Francesco Cataldo Verrina //
Scrivere a volte è come librarsi sopra l’abisso trattenuti soltanto dalla grammatica. La grammatica potrebbe essere un limite, ma spesso non si trova l’aggettivo giusto per definire un personaggio come George Adams, magari polistrumentista, poliedrico, multitematico, forse il termine giusto potrebbe essere multitasking. Adams apparteneva a quella categoria di artisti in grado di fare più cose contemporaneamente, aprendo varie finestre sul mondo del jazz. «More Sightings» è un album insolito, realizzato nel momento un cui il sassofonista stava facendo squadra con Don Pullen, forse il momento più elevato della sua carriera: il sodalizio con il pianista dava frutti assai saporosi, aggiungendo valore alla sua discografia. I due si erano conosciuti in quello che rimane uno degli organici al soldo di Mingus più geniali della storia del jazz moderno; dopo quella tormentata ma illuminante esperienza, avevano proseguito insieme, creando un duraturo quartetto con il bassista Cameron Brown e il batterista Dannie Richmond. Adams e Pullen condividevano una visione musicale abbastanza espansa, tanto che il quartetto galoppava agilmente fra post-bop, jazz modale, soul, blues ed avanguardia.
Per una sorta di bilanciamento e di equilibrio, la band veniva a volte presentata come «George Adams / Don Pullen Quartet», altre come «Don Pullen / George Adams Quartet». Dopo la morte di Adams, Pullen dedicò al compagno di tante avventure l’album «Ode To Life», realizzato nell’ambito del suo nuovo progetto African Brazilian Connection, in particolare una struggente ballata, «Ah George, We Hardly Knew Ya», in cui chiama per nome l’amico perduto. George Adams morì prematuramente a 52 anni nel 1992. Pullen lo seguirà, a soli 54 anni, nel 1995. Come già sottolineato in altre circostanze, anche in questo fato avverso, c’è qualcosa che li accomuna, ossia l’essere stati strappati anzitempo al mondo degli uomini, proprio quando le loro carriere, grazie a quanto avevano costruito negli anni ’80, stavano decollando ed i loro nomi cominciavano ad avere una più capillare diffusione, al netto di essere stati uomini di Mingus, motivo per cui vengono e venivano sovente ricordati. George Adams era nato a Covington in Georgia, una terra dove si respira blues e s’intona gospel, soprattutto deve la tradizione della musica african-american è sempre stata molto influente.
Adams subì il fascino di Rahsaan Roland Kirk, con il quale suonò occasionalmente nella band di Mingus; amava molto la spigolosità di John Coltrane e la trasversalità di Albert Ayler; ottimo polistrumentista si adattava suonare, oltre la sax tenore, anche il flauto e il clarinetto basso, non disdegnando di librarsi spesso in un canto strisciante ed idiosincratico con delle variazioni che andavano dal blues scarnificato e funereo alle ballate liriche e commoventi. Una nota curiosa per chi non lo avesse mai visto dal vivo: George Adams si esprimeva con intensa passionalità e trasporto emotivo, ma anche con lirismo, sottigliezza ed una compassata precisione melodica. A volte, quando suonava, si fletteva all’indietro finendo quasi con la schiena sul palco, ma rimaneva in piedi senza cadere, tale era la sua potenza fisica. Nell’album in oggetto, rispetto alla naturale affinità elettiva che il sassofonista aveva con Don Pullen, la partnership con il trombettista Hannibal Marvin Peterson è meno prevedibile, almeno nello svolgimento del percorso sonoro. L’accoppiamento risultò di forte impatto ed entrambi i co-leaders riescono a muoversi senza vincoli e freni inibitori, soprattutto senza limiti di tempo e di spazio.
La risultante dei due vettori fu un misto di energia hard bop, attraversata da correnti «spirituali» e soulful, con l’aiuto di John Scofield alla chitarra, Ron Burton al piano, Walter Schmocker al basso e Allen Nelson alla batteria, per l’occasione definiti «friends». Il costrutto sonoro, il contenuto proteico ed i valori energetici sono forse più simili a quelli presenti nei dischi di Peterson di fine anni ’70. che non agli ingredienti tipici della ricetta di Adams/Pullen, con il sassofono urlante ed il piano libertario pronti a stagliarsi su tappeti ritmico-armonici dalla propulsione inarrestabile. A conti fatti, però, in «More Sightings» c’è un’accattivante atmosfera free-form, quasi mai anarcoide, che si avviluppa su un impianto blues, funk e bop a volo libero; parliamo di un live ben congegnato dall’etichetta ENJA e registrato in Svizzera nel settembre del 1984, presso il Club Bazillus di Zurigo. L’album include: «Soul Brothers», «Do We Know Where We Are Going», «Melanie», «More Sightings» e «Don’t Take Your Love From Me»; l’ottima track-list e la qualità esecutiva rendono, comunque, questa data dal vivo un pezzo forte nel catalogo di entrambi i musicisti.
