// di Bounty Miller //
A differenza degli ambienti bianchi eurocentrici, anglofoni e filo-rock, l’universo black dell’R&B ha sempre dato spazio a molte singers, particolarmente quelle più dotate e, per una strana combinazione, quasi tutte provenienti dal Sud degli States. Nello specifico, a partire dagli anni ’50, alcune figure femminili, caratterizzate da un corredo vocale portentoso e per nulla spaventate dalla concorrenza maschile, cominciarono ad imporre la loro presenza sul mercato con ottimi risultati di pubblico e di critica, perfino tra i WASP. Il fenomeno ebbe un crescendo notevole negli anni ’60, dove vennero proposte tematiche vagamente femministe: «Think» di Aretha Franklin», ripresa mirabilmente nel film the «Blues Brothers», né fu un esempio lampante. Sono state molte le signore dalla pelle d’ebano a traghettare la musica nera «al femminile» verso qualcosa di universalmente accettato ed a spianare la strada alle regine della dance-pop anni ’80.
Nello specifico, ha lasciato una sua marcata impronta di autrice ed interprete la mississippiana Denise Lasalle che, nell’autunno del 1971, conquistò l’America nera (e non solo), quella urbana, sofisticata e impegnata (a quel tempo rappresentata dalla musica di Marvin Gaye, Curtis Mayfield, Isaac Hayes e Donny Hathaway), recuperando con «Trapped By This Thing Called Love» un linguaggio schietto, che scaturiva dalla tipica e sofferta sensualità sudista, nonché sorretto da una danzante ed accattivante semplicità. La canzone, dal titolo echeggiante (sesant’anni dopo) quello dell’antico successo di Mamie Smith, evocava con diretta e colloquiale concretezza di immagini il senso vertiginoso di un amore. Denise la interpretava con una schietta eloquenza drammatica e un felpato respiro funky, attraverso un cantato graffiante e malinconico, tra il velato e il vibrante.
Lasalle ha concesso poco a quella che, comunemente e in maniera riduttiva, viene denominata «musica pop-dance», anche se il sound dei neri in tutte le accezioni racchiude in sé in germi di una certa «danzabilità», talvolta svelata, altre volte solo accennata. Proprio quel suo modo robusto di cantare, tagliente, smorzato, sincopato, sovente cantilenato e vicino al funk, ha fatto di lei un «oggetto di culto» venerato dai templari di quella musica nera che, agli inizi degli anni ’70, dalle periferie, dai ghetti, dalle chiese, dalle campagne cominciava a fare il suo ingresso in quei locali, in seguito chiamati discoteche.

Denise Lasalle, classe 1939, aveva da sempre sviluppato un articolato «song-book» dal solido equilibrio lirico-melodico e dai ben amalgamati colori soul, blues, jazz, country, con accenti funk e rudimenti di «disco» primordiale, esprimendo una prospettiva pugnacemente e tenacemente femminile ed un ruvido piglio filosofico, venato di ironia. Da «Now Run And Tell That» a «Man Sized Job», da «Married But Not To Each Other» a «Bump And Grind», da «Your Husband Is Cheating On Us» allo sfacciato e vendicativo «Someone Else Is Steppin’ In», divenuto nell’ultimo scorcio del Novecento uno dei temi più popolari sulla scena afroamericana e quasi un moderno inno alla poetica blues, Denise Lasalle ha suggerito conflitti e celebrazioni erotiche, tradimenti, complotti, incantesimi di una realtà quotidiana a cui la sua voce (ma anche le voci dei molti autorevoli colleghi che hanno adottato le sue canzoni, come Z.Z. Hill, Little Milton, Latimore, Ann Peebles, Koko Taylor) ha saputo dare tangibilità e vividezza.
Antesignana della dalla vecchia, oscura disco, che non sapeva di essere disco, ma era semplicemente musica suonata in una stanza dove ci si ritrovava per ballare, Denise Lasalle, prima o quasi, di tutte le altre «signore dalla pelle scura», mantiene il rapporto stretto con la tradizione, aprendosi al nuovo che avanza: in sintesi una sorta di James Brown al femminile. Come non ricordare la trascinante «I’m So Hot», ripresa anche in versione Hip-Hop. E mentre altre cantautrici afro-americane si sono messe in evidenza solo negli ultimi decenni, indicando vie interessanti e talora innovative, da Anita Baker, la passionale ed elegante interprete di «Giving You the Best That I Got», a creature new soul come Erykah Badu, con le sue creazioni garbatamente enigmatiche e ipnoticamente cool, passando per la jazz lady, Cassandra Wilson, con i suoi quadretti acustici dal respiro profondo e dagli intriganti richiami letterari.
Foriera di composizioni asciutte ed essenziali, dallo stile «urban» e da una corrosiva interpretazione, Denise (tradizionale, ma contemporanea al punto da elaborare temi come il sesso sicuro, i problemi con la droga o i guai giudiziari di Clinton), ha continuato, anche in età avanzata a rappresentare con immaginazione, coerenza e lirica rudezza, i valori più autentici e profondi dell’R&B al femminile. Assai interessanti per i cultori del new-soul, gli album del periodo 1976/1980, da cui potrebbero saltar fuori delle vere chicche. Per meglio comprendere: senza song writers ed interpreti come Denise Lasalle, capace di tenere fede alla tradizione, ma disponibili a prestare il fianco al cambiamento, la musica afro-americana non sarebbe mai diventata un fenomeno ecumenico, ossia universalmente riconosciuto ed apprezzato (eccezion fatta per il jazz). Nel 2011, Denise è stata inserita nella Blues Hall of Fame. In seguito alle complicazioni per una caduta che le avevano provocato l’amputazione della gamba destra nell’ottobre 2017, Lasalle è morta l’8 gennaio 2018 all’età di 83 anni.