// di Guido MIchelone //

La narrativa che s’ispira al jazz in Italia non è estesissima: le due opere più note sono di fatto monologhi teatrali, ossia Novecento di Alessandro Baricco e Mistero di Stefano Benni. Più che romanzi sistono racconti come quelli bellissimi (ma diversissimi fra loro in quanto a stile) di Aldo Gianolio e Luca Ragagnin (o come il recente Io sono un jazzista del sottoscritto). Fa eccezione oggi Swinging Stravinsky di Biagio Bagini, il quale, sempre con chi vi scrive, pubblica nel 2006 A Charlie Chan piace il jazz? composto a quattro mani.

Per capire appieno il valore di questo nuovo libro, basato sulle vite parallele di Igor Stravinsky e Benny Goodman, occorre ricordarvi che nel dopoguerra da un lato Stravinsky è stressato perché costretto a scrivere sempre nuovi balletti su commissione in America, dall’altro Goodman entra in crisi nel riciclarsi come bopper subito dopo la fine del conflitto (tornando all’ovile dello swing neanche un decennio dopo); insomma entrambi, loro malgrado non riescono a mantenere linearità o coerenza nelle proprie carriere, finché quest’ultime s’incrociano, in una mattina del 1965, alla Columbia Records, quando John Hammond – noto produttore e talent scout, in quei giorni alle prese con un giovane Bob Dylan in uno studio adiacente – convoca i due anziani ‘artisti’ per una seconda versione dell’Ebony Concerto: la prima si sa viene incisa a Los Angeles nel 1945, appena terminata la partitura dall’orchestra Woody Herman: senza svelare qui il finale ‘imprevedibile’ del romanzo va detto che testo di Bagini acquista innanzitutto un’ulteriore valenza metaforica sul ruolo del musicista nella società contemporanea; ma si tratta pure di un esempio narrativo godibilissimo, rispetto alle tante esperienze presuntuose di altri scrittori italiani, grazie a una prosa fresca coinvolgente: talvolta abbonda, in Biagio, un certo lirismo in grado comunque di essere apprezzato soprattutto dagli amanti delle musiche senza confini, perché l’intento dello scrittore è quello di far capire che, come già dice Duke Ellington, esistono solo due grandi generi musicali: la buona musica e quella cattiva.

Certo, Swinging Stravinsky è un romanzo dalla lunghissima gestazione – circa un trentennio – da parte di un autore radiofonico e televisivo, ma anche romanziere per l’infanzia (con esperienze in ambito teatrale e canzonettistico), in cui alla fine sa evidenziare assai bene le vite più o meno parallele di due grandi protagonisti della cultura sonora novecentesca, sia pur in ambiti all’epoca lontani fra loro, come la classica e il jazz. Le storie, romanzate nel libro, concernono le esistenze artistico-professionali del compositore russo e del clarinettista statunitense alternando le tranches-de-vie con il ricorso a fatti reali, aneddoti gustosi, episodi inventati di sana pianta, fino a inventare un terzo personaggio di pura fantasia, Mauvais, che, assume diversi nomi e svariate tipologie, quasi avendo l’obiettivo di diventare un grillo parlante, che condiziona l’arte del Maestro già famoso, apprezzato, fruito quando il King of Swing non è ancora Re. Nel libro Stravinsky cerca una gratificazione soprattutto a livello popolare e finanziario, accettando spesso qualche compromesso così come fa il jazz medesimo, sound nato ai primi del Novecento, che vede poi con Goodman un exploit a planetario senza precedenti, fino a incoronarlo simbolicamente lui quale monarca di un genere ormai divenuto pop. Mauvais tentare di stabilire il destino di entrambi, più o meno direttamente, ma l’epilogo, come detto poche righe sopra, non vi è assolutamente svelato, onde farvi leggere il libro dalla prima all’ultima riga!

Cfr.: Biagini Biagio, Swinging Stravinsky. Romanzo, Oligo Editore, Il Rio srl, Mantova 2022, pagine 193, euro 16,90.