// di Francesco Cataldo Verrina //

Ho un particolare ricordo di Sarah Jane Morris legato ad un concerto del 1990 in cui la rossa cantante faceva da opening-act ai Simply Red. Nel backstage, durante l’intervista mi colpì, il entusiasmo per il fatto che il suo album, contenente una straordinaria versione di «Me And Mrs. Jones» di Billy Paul fosse acclamato anche dalle radio R&B americane. «Forse mi considerano una cantante di colore», mi disse. Il realtà il tratto saliente di Sarah Jane Morris, sin dal suo primo apparire sulla scena, era proprio quella voce cavernosa e profonda, a tratti mascolina, ma con un’estensione capace di abbracciare almeno quattro ottave, quindi adatta ai vari moduli espressivi tipici della black-music, dal soul al jazz, dal blues alla pop-dance.

Sono passati più di trent’anni e Sarah Jane è diventata un’interprete sopraffina e quasi ecumenica, corroborata da prestigiose collaborazioni internazionali che toccano i quattro punti cardinali della musica, soprattutto l’amore per il nostro paese non si è mai assopito sia dai duetti sanremesi con Riccardo Cocciante, Riccardo Fogli e gli Stadio. L’avventura con il Solis String Quartet è tutt’altro che legata al suo imprinting R&B, ma sposta la potente vocalità della Morris in un ambito classicheggiante, sottolineandone la flessibilità e la capacita di adattamento ad un’orchestrazione cordale che è quanto di più distante ci possa essere da un’ambientazione jazz-soul-groove.

Analizzando «Al You Need Is Love», si ha quasi l’impressione che si siano voluti mettere insieme almeno tre differenti universi, fluttuanti in un equilibrio instabile, tre elementi apparentemente inconciliabili che, però, riescono a trovare, quasi per incanto, una sorta di break-even-point, ossiaun punto di pareggio fra le vie compagini in gioco. Le parole della cantante inglese sono alquanto eloquenti: «La sublime musicalità del Solis String Quartet e i loro magici arrangiamenti delle grandi canzoni di Lennon e McCartney sono stati un regalo per me come cantante. Sedimentata con assoluto rispetto, la nostra collaborazione esalta lo status classico dell’arte dei Beatles e offre al nostro pubblico un senso di tesori musicali ritrovati». Quindi, se da una parte c’è da potente vocalità «negroide» della Morris e dall’altra il virtuosismo «barocco» di una sezione d’archi, il repertorio beatlelsiano diventa un collante perfetto, proiettano il progetto in una dimensione inedita e del tutto nuova rispetto al jazz, alla classica o al pop, tanto da prefigurare l’idea di una third stream cantata.

Dal canto suo il Solis String Quartet, rappresentato da Vincenzo Di Donna (violino), Luigi De Maio (violino), Gerardo Morrone (viola) e Antonio Di Francia (violoncello, chitarra e arrangiamenti), spiega il maniera chiara la genesi ed il mood del progetto: «Le canzoni dei Beatles, ancora oggi, brillano di una luce pura assoluta come solo le migliori opere d’arte sanno fare. Con l’attenzione che si riserva ai capolavori e con l’intento di ricreare la giusta suggestione sonora in ognuno dei brani, le nostre riletture,raffo rzate dalla sensibilità ed eleganza espressiva che da sempre contraddistinguono la voce di Sarah Jane Morris, offrono all’ascoltatore undici ritratti musicali carichi di significato e passione». Perfino la copertina del disco, realizzata dallo scozzese Mark Pulsford, è un collage che lega momenti e situazioni differenti, gettando un ponte tra arte antica e grafica e mettendo insieme i Beatles e l’ultima cena di Leonardo da Vinci, Aretha Franklin, Janis Joplin, Bob Dylan, Pino Daniele e Maradona.

Il cardine restano le canzoni dei «Fab Four», facili, orecchiabili ed immortali, che avrebbero potuto diventare un’arma a doppio taglio, facendo slittare il progetto sul piano inclinato della deja-vu, del prevedibile, se non fosse intervenuta la capacità dei solisti e la vocalità propulsiva della Morris a spostare il costrutto sonoro e canoro su un terreno poco battuto e praticato dalla discografia mondiale. I componimenti di Lennon-McCartney, per la loro ampiezza melodica, gli arrangiamenti ariosi sono sempre stati un terreno fertile per le grandi orchestre tradizionali, addirittura sinfoniche, oppure oggetto di rifacimenti in vari ambiti canori. Mai nessuno però aveva tentato una combine di tale natura e di non facile realizzazione, specie per una cantante ritmica a vocazione jazz-blues, la quale riesce ad incastrarsi perfettamente nelle trame, talvolta eccessivamente melodiche, ridondanti e dominanti, per loro stessa natura, di una sezione d’archi: competere con due violini non è impresa facile.

L’album, pubblicato da Irma Records, si srotola attraverso tredici capolavori dell’opera beatlesiana, reimmaginati in una dimensione del tutto inusuale, dove classici come «The Long and Winding Road» o «Yesterday» trasudano di un lirismo e di una forza poetica non comune, così come la title-track, «All You Need Is Love» e «Strawberry Fields Forever» diventano danze barocche, mentre «Come Together» assume i tratti di un canto soul innestato in contesto vagamente country. «Hey Jude» e «Norwegian Wood», sospese ed oniriche, trasudano di un romanticismo d’altri tempi e sarebbero perfette per film in costume ambientato nell’Ottocento. «Lucy In The Sky With Diomonds», geneticamente ipnotica e vagante, ricorda talune composizioni teatrali di Kurk Weill. I

In conclusione, in «All I Need Is Love» di Solis String Quartet & Sarah Jane Morris ci sono i quattro di Liverppol ma non sembrano i Beatles, per intenderci alcun dei loro più celebrati successi sono impiantani in un humus distante anni luce dall’era beat e dalla Swingin’ London, soprattutto sono tenute alla larga dal solito ricalco coveristico. Il merito va agli arrangiamenti della sezioni d’archi, ma l’unicità della voce di Sarah Jane Morris gioca un ruolo fondamentale, se non altro per sua plastica duttilità.

Solis String Quartet & Sarah Jane Morris