// di Marcello Marinelli //
Da ragazzetto l’avevano soprannominato Acca, che era il diminutivo di accanito, e visto che accanito non era un gran bel soprannome, e troppo lungo, la consuetudine della moltitudine si accorciò con Acca. Il soprannome glielo avevano affibbiato gli amici perché quando era minorenne, diciassettenne circa, andava da solo ai concerti di musica dal vivo, che a quei tempi si tenevano spesso al Palasport dell’EUR, ora Palalottomatica. “Sei proprio ‘n’accanito gli dicevano gli amici”. Non è che gli piaceva andare da solo, anzi, nella maggior parte delle volte ci andava in compagnia, ma ogni tanto non trovava compagni di viaggio e quando saliva la pressione da viaggio o da concerto, Acca doveva partire e anche da solo, se occorreva. E allora quando andava, doveva pure fare attenzione agli orari dell’autobus, perché l’ultimo autobus per la sua borgata La Rustica partiva a mezzanotte da Largo Preneste e se lo perdeva doveva pure farsi a piedi il tragitto da Quarticciolo a casa, dove poteva arrivare col tram 14 notturno. A volte gli capitava di perdere l’ultimo autobus ma cercava di non farselo capitare perché camminare all’una di notte per cinque chilometri, non era proprio una bella passeggiata. Lunedì 6 Luglio festeggiò il quarantesimo anniversario del suo soprannome, andando al concerto di D’Angelo all’ Auditorium, da solo.
“Ma non sei ridicolo a parlare di te in terza persona?”
“Perché dovrei essere ridicolo a parlare di me in terza persona? Poi mica tutti mi avrebbero riconosciuto, tanti non sanno il mio soprannome “
“Ma che me stai a prenne per culo? Ma è chiaro che te riconoscono no? Acca sei tu è evidente”
“Ecco ora se volevo tenermi in incognito, hai dovuto svelare questa cosa”
“Ma allora sei proprio scemo? nun ce fai, ce sei, questi so’ i segreti de Purcinella”
“Scusa ma chi ti ha chiamato? Non avevi altro da fare che venirmi a disturbare su come decido di impostare un raccontino? Ma potrò fare di testa mia o tu vuoi metterci per forza il becco? E poi tu chi saresti, che vieni a ficcare il naso nelle mie cose?”
“Come chi so a rincojonito, io e te semo ‘a stessa cosa, solo che io so la parte più bona de te e de me messi insieme, te invece sei la parte balorda de me e de te messi insieme”
“Perché mi devi insultare non l’ho ancora capito, e per giunta siamo anche la stessa persona, quindi potresti usare un linguaggio più consono per favore?”
“Visto che io e te siamo la stessa persona t’ensulto come me pare e piace, che fai voi litigà co la parte bona de te, l’unica che c’hai?”
“Non voglio litigare con nessuno, però questa critica sull’uso della terza persona mi pare un po’ eccessiva, vorrei continuare ad usare la terza persona per raccontare questa cosa e tu lasciami perdere, fai prevalere la parte che tu ritieni peggiore di noi, cioè di me”
“Visto che sei de coccio, e parlà co’ te e come parlà ar muro, fa un po’ come te pare, scrivi in terza persona, ma se me dai fastidio e me fai rode er culo, io e ce rintuzzico, se semo capiti parte balorda de noi?”
“Si parte cosiddetta buona di noi, prendo atto della tua non tanto velata minaccia, ma io continuerò a scrivere come mi pare”
Scusate lettori per questa intrusione di questa parte cosiddetta migliore che si definisce “parte migliore di me” avrei voluto continuare a scrivere ma mi sono dovuto interrompere. “A parte balorda come me chiami, forse nun hai capito; nun è che io sono “cosiddetta” è che un dato de fatto che so la parte mejo de noi”. Scusate ancora sperò che questo inconveniente di questa intrusione non si ripeta, però prendo atto che “io” e “lui” siamo la stessa persona, forse soffro di un disturbo bipolare o da crisi di dissociazione, ma questo non è l’oggetto di questo raccontino. Allora lunedì 6 luglio Acca aveva proposto invano alle figlie di andare al concerto, ma loro avevano meglio da fare, con il senno di poi si può dire che si sono perse un bellissimo concerto.
“Visto che io so er padre de le mi fije quanto te, se pò dì che hanno fatto ‘na cazzata a nun venì, però l’unica cosa bona è che ho risparammiato, visto i prezzi dei bijetti, anzi avemo risparrammiato tutte e due”
La parte migliore di me non può esimersi dal dire la sua, però d’altronde è anche padre delle stesse mie figlie e non posso vietargli di esprimersi, solo lo facesse un po’ più di rado. Ora sono confuso perché sono l’io narrante, il soggetto del racconto e la voce fuori campo, la cosiddetta parte migliore di me, quindi siamo diventati tre, la “santissima trinità”.
“A bello nun t’allargà, quale santissima trinità, semo solo in tre, tre cavalli e tre somari. Io, Gogò e cacame o cazzo e penza chi po’ esse il terzo della trinità”
“Sei di una volgarità estrema e forse a questo punto lo sono anch’io visto che scrivo io, ma potrei essere la parte di me che rifiuto di essere”
L‘Acca provò con la sua fidanzata, occupata anche lei, poi con i suoi amici, ma chi stanco, chi non pervenuto, chi non c’era, chi non rispondeva, nessuno accolse l’appello; allora L’ Acca con uno scatto d’orgoglio decise di andare da solo, come quarant’anni prima e con la stessa determinazione e la stessa voglia di allora, perché certe emozioni rimangono nel tempo. D’Angelo lo conosceva poco, ne aveva ascoltato dei brani, però non si poteva di dire che fosse un fan di D’Angelo vista la sua scarsa conoscenza, anche se poi di fatto, aveva ascoltato tutti i suoi più grandi successi visto che in quindici anni aveva fatto solo tre dischi. Visto che però l’Acca era un appassionato di Black Music, non poteva perdersi questo concerto. Di D’Angelo se ne parlava molto bene, il massimo esponente del Neo Soul e si vociferava che dal vivo fosse un portento. Parti da casa senza biglietto, ma non ci sarebbe stato il tutto esaurito, e quindi avrebbe trovato i biglietti. Faceva molto caldo in quei giorni, ma era la temperatura ideale per i concerti dal vivo nelle sere estive romane.
L’Acca sapeva, sentiva che comunque sarebbe stato un bel concerto, D’Angelo era comunque un esponente di punta della musica black americana. Arrivato alle ore 20.40 all’auditorium, si recò verso la biglietteria, ma una ragazza aveva un biglietto per il parterre da vendere e l’Acca lo acquistò dopo una veloce trattativa sul prezzo. L’atmosfera era frizzante anche se non c’era una folla oceanica, ma la presenza di folle oceaniche non è sempre segno di qualità, come la presenza di meno persone non è segno di mancanza di qualità. Questa cosa l’Acca l’aveva capita molto bene, visto l’esperienza quarantennale di concerti. L’Acca aveva capito anche un’altra cosa, che un concerto è sempre diverso da un altro e che un musicista o un gruppo che magari ti è piaciuto ad un concerto, ti piaccia ad un altro e non è detto che l’esperienza di un concerto straordinario si ripeta automaticamente. Ogni serata ha la sua magia o non l’ha e la magia dipende anche dal fatto se siamo ricettivi o no. L’unica cosa, avere mente e corpo liberi di reagire alle sollecitazioni senza condizionamenti, e vedere quello che succede. Dopo aver fumato una sigaretta decise di entrare.
La signorina all’entrata dopo aver visto il biglietto lo fece accomodare, non si sa per quale motivo, forse per occupare le posizioni centrali che sarebbero rimaste vuote, in una sedia a un metro dal palco. Una delle migliori posizioni di sempre. Nell’attesa si divertì a scrivere del concerto di Al Jarreau visto tre giorni prima e a comunicare via smartphone. Come capitava spesso, girando per la città, immancabile incontro con qualcuno e quella sera l’Acca incontrò Claudio un amico di Rieti, fratello di un suo vecchio compagno di avventure musicali, che non vedeva da molti anni e si scambiarono opinioni sulla musica, visto che Claudio conduceva un programma di musica jazz in radio. La musica che mandavano prima del concerto era quella giusta e l’Acca stava in grazia di Dio o di qualunque credo, o di nessun Dio, ma l’Acca certo non poteva dirimere quella questione prima del concerto e poi l’energia giusta, la pace interiore, seppur per lo spazio di un concerto, annullano le differenze in una carica di energia cosmica e i nomi rimangono nomi e la carica positiva si può chiamare in qualsiasi modo. All’ Acca piaceva da sempre assistere all’ imbrunire davanti ad un palco, qualche minuto prima di un concerto che desiderava vedere. Alle 21.30 i musicisti salirono sul palco e partì il beat.
Io come un ragazzino felice in prima fila. Dalle prime battute già capisco che non sarà un concerto da seduti, infatti alla fine del primo pezzo D’Angelo invita al ballo e gli spettatori caldissimi si alzano tutti in piedi davanti al palco e inizia il rito Voodoo (Voodoo come uno dei soli tre dischi del cantante). Il gruppo inizia a macinare pulsazioni r’n’b funky con una carica infernale e D’Angelo è un vero mostro da palcoscenico pari ai più famosi cantanti della musica nera del passato come Prince, James Brown e Marvin Gaye. Balla e canta come un forsennato e io sto li ad un passo a un passo dalle gocce di sudore del cantante.
“Allora hai cambiato registro sei tornato a scrivere in prima persona, e per di più al presente e non al passato, alla fine c’avevo raggione io che dovevi scrive in prima persona? Pe’ fortuna che qualche volta me dai retta, anche se me pari un po’ confuso letteralmente”
“Si alla fine non ce lo più fatta ad usare la terza persona, mi è uscito l’”io” e va bene così.
“Meglio tardi che mai”
“Va bene c’ho provato ma forse non era l’evento giusto da raccontare in terza persona, però non ho commesso nessun peccato mortale, pure tu quando ti incaponisci, ne fai una questione di principio”
“Non ne faccio ‘na questione di principio ne faccio anche una de’ ” fine” e, anfatti alla “fine” m’hai dato raggione fratè. Me devi da retta la prossima vorta fratè, che se pure nun scrivo bene come te,e mica dico cazzate fratè”
“C’hai raggione fratè, me so sbajato sul conto tuo, me sa che cavevi raggione te, so io che so ridicolo a scrive in terza persona”
“Mo però te sei sbracato stai a scrive come scrivo io, mo nun devi esaggerà fratè, scrivi in prima persona senza sbracatte, ok fratè?”
“Ok fratè cerco di non sbracarmi con la scrittura come fai tu”
“Vai fratè continua”
In mezzo alla gente a ridosso del palco con un musicista straordinario e un grande gruppo che spacca. Miscela di sapori musicali diversi, funk predominante, ma echi di jazz soul e rock, Musicisti versatili e coristi all’altezza della situazione, la corista oltre ad essere brava è anche sexy e propone un giubbottino con piccolo reggiseno, con piccolo seno incorporato, ma molto grazioso, in bella mostra. D’Angelo oltre che cantare, balla molto bene e la sua presenza scenica è rilevante, mi ricorda Prince e a tratti James Brown, che non ho mai potuto vedere dal vivo, grande mancanza. D’Angelo è un divo, ma molto contenuto e stringe mani a profusione. E’ carico positivamente e il pubblico reagisce positivamente e con calore. Decisamente un’atmosfera elettrizzante e la musica assolutamente di altissimo livello. L’uscita è degna di nota. Uno dei suoi pezzi più belli , il conturbante“ Untiteld (How doesit feel)” viene suonato prima da tutto il gruppo, poi i coristi e i musicisti, uno alla volta, escono di scena e alla fine rimane solo D’Angelo col suo piano che finisce la canzone in un tripudio di belle sensazioni, Dopo un’ora e tre quarti di concerto finisce una bella serata carica di elettroni positivi. Sono ebbro d’amore per la musica, sono soddisfatto come dopo aver fatto l’amore, sono felice e che bello sentirsi felice per questo. Sono da solo ed è un peccato non aver condiviso questa serata, ma la goduria in solitudine va bene lo stesso. Saluto Claudio con un arrivederci a presto e mentre esco incontro Fabio vecchia conoscenza di concerti e l’abbraccio perché è da tantissimo tempo che non lo vedevo. Vado in macchina e mantengo la magica atmosfera della serata, accendo l’autoradio e inserisco il CD di Marvin Gaye “Midnigth love” titolo profetico e adatto alla serata. Prendo la tangenziale e la imbocco come si fa con un un bambino.
“HAHAHAHAH Bella fratè hai fatto ‘na battuta, così me piaci”
“Sei uscito di nuovo allo scoperto, pensavo te ne fossi andato”
“So ricicicciato fratè e poi visto che semo la stessa persona nun me ne vado mai, sto sempre co’ te pure se sto zitto. Me piace la musica che senti fratè”
“A questo punto ti direi che sei tu che se un po’ rinco, se siamo la stessa persona ci piace la stessa musica, no?”
“Sto a scherzà fratè, era pe’ dì, ammazza quanto sei permaloso, vai con Marvin”
“Ok”
Dicevo entro in tangenziale e alzo Marvin Gaye a palla e faccio tutta la tangenziale fino all’uscita Monti Tiburtini-Pietralata. La ritmica lenta di “Til tomorrow” mi sembra un pezzo di D’Angelo e noto con piacere che fra vecchio e nuovo il filo regge e unisce il tutto. Attraverso Pietralata come fossi ad Harlem. L’abitacolo esplode di soul feeling e la serata calda obbliga a tirare giù i finestrini, perché l’aria condizionata in macchina non la sopporto. L’aria notturna è piacevole, la calura sopportabile e il traffico assente, il momento migliore per girare in macchina. Mentre sto per uscire dalla tangenziale direzione La Rustica, ad un passo da casa, mi accorgo che ho ricevuto due telefonate da un numero sconosciuto.
Chi sarà a quest’ora che mi chiama? Faccio il numero e mi risponde Claudio l’amico incontrato al concerto.
“Sono Claudio, il tuo numero me l’ha dato Alberto, hai perso la patente l’hanno portata al bar. Ti hanno chiamato con l’altoparlante, ma tu eri già andato via”
“Oh, grazie Claudio, ora torno a prenderla, a forza di tirar fuori il cellulare, mi è uscita la patente che avevo messo in tasca senza portafoglio. Grazie ancora.”
“Di niente. Alla prossima”
“Alla prossima Claudio”
Il contrattempo non placa la mia energia positiva. Faccio un’inversione e mi dirigo di nuovo verso l’Auditorium con le note di D’Angelo ancora in testa di Really Love e la musica di Marvin Gaye in macchina.
“Bella fratè ti accompagno io, andiamo”
“Grazie fratè andiamo, la notte è ancora lunga”
“Really Love fratè”
“Really love fratè”
