Alberto N.A Turra e Peppe Frana – «Jinni» (Felmey), 2022
// di Francesco Cataldo Verrina //
Oggi la musica contemporanea guarda con occhi benevoli al Sud del mondo e molto spesso il modernismo europeo incontra le tradizioni di regioni del mondo dove il tempo degli uomini e dei suoni sembrerebbe fermo agli albori della civiltà. Apparentemente il connubio potrebbe apparire stridente, ma la compenetrazione tattile tra due strumenti così diversi come la chitarra elettrica, con una spiccata vocazione rock, jazz o fusion ed un antico aud (Al-ʿūd in arabo significa legno: strumento originario della Mesopotamia che secondo una leggenda sarebbe stato inventato da Lamech, nipote di Adamo ed Eva), sviluppano un’insieme di onde sonore suggestive ed immaginifiche che trasportano il fruitore in una dimensione quasi fiabesca. L’oud appartiene alla famiglia dei liuti a manico corto, ha la cassa piriforme piena di decorazioni ed è privo di tastatura, tanto che il suono delle corde, sempre morbido ed allungato, produce una sensazione assai confortevole e rilassante.
In «Jinn», edito dalla Felmay, Alberto N.A Turra (chitarra elettrica) e Peppe Frana (oud) uniscono con maestria due universi sonori, apparentemente inconciliabili e diacronici e lo fanno con tatto, sapienza e maestria, soprattutto grazie ad un profondo lavoro di ricerca. I due musicisti, ivi convenuti, dimostrano di saper costruire melodie esotiche innestandole su terreno armonico dissonate, tipico delle musiche delle culture altre, muovendosi tra arabeschi armonici dilatati che attraversano idealmente l’Armenia, la Turchia ed i territori circostanti, luoghi ancora incontaminati e poco battuti dalle discografie occidentali. Echi d’Oriente che si dissolvono negli spazi infiniti di un cammino sonoro solcato da carovane di viandanti, mercanti, avventurieri e popoli nomadi, intrecciando antiche culture, terre lontane e civiltà millenarie.
Peppe Frana commenta l’album cosi: «Non è un disco concettuale. È l’incontro di due musicisti, dei loro suoni e dei loro linguaggi musicali, reso singolare dal fatto che l’interazione tra l’’ūd, e la chitarra elettrica non è stata molto esplorata finora. La morale della favola è che trovare una fusione che non sia una semplice giustapposizione richiede un lavoro, che può essere più o meno facile. Con Alberto è stato facilissimo». Mentre Alberto N.A. Turra conferma le impressioni del sodale: «Vero, non è un lavoro concettuale, cioè non è nato con particolari idee preliminari; va detto però che a posteriori si colgono evidenti storie (o stralci di) e la cura che ognuno ha messo nelle composizioni dell’altro è comunque segno di una profonda consapevolezza di cosa significhi ascoltare, il senso dell’equilibrio, il senso della forma: roba che entrambi abbiamo acquisito prima di «Jinn», ma che raramente viene richiesta ai livelli che abbiamo espresso. In questo senso Peppe dice «facilissimo», è stato spontaneo, sì, ma frutto di un’enorme disciplina individuale».
«Jinn» è uno spiritello a volte dispettoso, se non crudele, a volte bonario, presente nelle scritture coraniche, nelle fiabe e nei proverbi, per contro rappresenta il custode di una sapienza nascosta. L’opener è affidato a «Prima Fiamma», che si srotola sulla distanza di quasi dieci minuti, quasi una danza primitiva a fuoco lento, giocata sui contrasti timbrici ed alimentata dalle corde di una chitarra elettrica, diluita dalla forza esoterica dell’antico oud; il costrutto si sviluppa lentamente in un crescendo ritmico-armonico dalle mille suggestioni tematiche, fatte di flessuose movenze orientali. Pur non essendo presenti percussioni o tamburi battenti, i due strumenti cordofoni esprimono un senso del ritmo che regala all’album nel suo complesso il senso di una danza propiziatoria. «Trevor» ne è una conferma, diventando oltremodo un punto di confluenza tra Occidente ed Oriente. I due sodali si alternano e si compensano, non facendo perdere mai il centro tonale del progetto, dove «Kelebek» diventa un’esplorazione onirica sospesa e sospinta dal vento, assumendo i contorni di una ballata che racconta di molteplici luoghi remoti che si compenetrano attraverso un meccanismo osmotico da cui fuoriescono melodie mutevoli, provenienti dai quattro punti cardinali della musica.
«Aparani Par» è un volteggio dai forti connotati berberi, dove le note sembrano saltellare sulle corde degli strumenti come discinte ballerine del ventre. «Hijacking» sembra riprendere le coordinate di un viaggio ipermodale, spostandosi da Nord a Sud del mondo, da Est ad Ovest del pentagramma, in un melting-pot sonoro che, in alcuni frangenti, richiama alla mente le dune di un deserto spazzato da una tempesta di sabbia, in altri momenti una fuga metropolitana verso una surreale turkish-fusion. «Ah Nice Bir Uyursun» è un alba dai colori cangianti, dove la forza degli strumenti sembra risvegliare i demoni di una natura difficile da assecondare. La conclusiva «Cellule» è una una quiete dopo una tempesta di suggestioni innestate su un prototipale, esotico e languido blues, per intenderci una marcia lenta e brunita, ammantata da un incantevole arazzo sonoro intrecciato con le fibre e le tinte di un manufatto orientale, non distante da talune atmosfere etno-mediterranee, forse meno di quanto si possa pensare. Registrato nel gennaio di quest’anno alla Sscighera di Milano ed a Certosa di Garegnano, «Jinn» di Alberto N.A Turra e Peppe Frana è un viaggio polisensoriale nel il jazz dei mondi possibili, un disco fortemente evocativo, a tratti mistico e ricco di gioiosa spiritualità.
