// di Irma Sanders //

Salvatore Bonafede, forse sconosciuto alla moltitudine, è un musicista / compositore palermitano di talento con studi classici e regolari, capace di sviluppare un pianismo polimorfo e foriero degli assunti basilari della lunga tradizione jazzistica internazionale, alchimista in grado di operare in un crogiolo di stili e di razze sonore, filtrati attraverso una personalità musicale nitida e ben distinta. Oggi sessantenne, Bonafede vanta una lunga e ultra trentennale carriera fatta di prestigiose collaborazioni, grazie alla partecipazione come sideman ad innumerevoli set di artisti italiani ed internazionali, ai quali si aggiunge una lunga discografia come band-leader, tra cui svetta per l’eccellenza delle composizioni «Ortodoxa», pubblicato nel 2001 dalla Red Records, un disco che attraverso dieci componimenti assolutamente originali si caratterizza come una raffinata rivisitazione di alcuni dei moduli espressivi dell’ortodossia jazz.

Il titolo dell’album, in tal senso, è alquanto emblematico. Bonafende, oltre ad aver composto ed arrangiato tutto il materiale suonato nel corso della seduta, rappresenta il vero è proprio motore mobile del progetto, quasi una specie di demiurgo che suggerisce, stimola e guida un’ottima squadra di sodali; in particolare riesce a condividere la prima linea con un convincente Rosario Giuliani, fine cesellatore di progressioni e circonvoluzioni improvvisative post-coltrane, sia sul contralto che sul soprano ed un abilissimo Fabrizio Bosso, diviso fra tromba e flicorno, capace di addolcire e lenire le asperità del sax e di esaltare i momenti ad alta emozionalità invasiva; non meno importante il sostegno della retrovia ritmica con il basso di Pietro Ciancaglini, dal prorompente e nitido drive ed un impeccabile Roberto Gatto alla batteria, eccellente maestro di tamburi dall’innato istinto poliritmico, capace di improvvise variazioni temporali e percussive. Ed è proprio il tempo «variabile», dal sereno al burrascoso, dal tradizionale all’avant-gard, dal classico al latino, che anima il cuore pulsante di «Ortodoxa».

Salvatore Bonafede

L’apertura è riservata a «Little O In The Sky» , uno dei momenti più riusciti ed accattivanti dell’album, un piccolo gioiello di post-bop mainstream ad imperitura memoria, dove il perfetto equilibrio ritmo-armonico diventa una dispensa da accademia di jazz moderno, mentre lo sviluppo melodico, sia pure variato ed a volta dirottato in fase improvvisativa, si conficca immediatamente nelle meningi e spinge l’ascoltatore ad esplorare l’intero album, che si sostanzia come un pacco regalo contenente una sorpresa dopo l’altra a raffica: «Astor Piazzolla» è un flessuoso componimento, suddiviso in più tempi, in grado di creare la suggestiva e drammatica atmosfera del tango stradaiolo e l’ambientazione del barrio; «Let’s Wait And See», è una lunga e perforante ballata, venata di blues e da un costante filo di malinconia, un ottima vetrina per tutto l’ensemble che si muove in maniera mercuriale, quasi telecomandata; «Charles Mingus», che già nel nome racchiude tutta l’essenza della storia del jazz moderno, procede, per addizione e sottrazione, analizzando le innumerevoli espressioni sonore che hanno determinato il modus operandi del contrabbassista.

«Il matrimonio» s’inerpica su un tema festoso e celebrativo attraverso un dinoccolato rimo, carpito alla tradizione centro-americana; «Enrico Rava», ispirato all’opera del noto trombettista italiano, gioca su un’atmosfera languida e sospesa, dove il piano fa da perfetto collante ai due fiati che accarezzano le note con struggente malinconia; «If I Were A Ball», momento interlocutorio dell’album è un blues calante e rarefatto, quasi un esercizio di stile per i vari solisti; «Pasion» è un momento di magistrale inversione dei ruoli, dove il basso diventa lo strumento solista e la prima linea fa da accompagnamento ed interludio; «I Like This Place» è un mid-range soulful, che ricorda vagamente certe atmosfere funkbliss alla Horace Silver, caratterizzato da un superba linea di basso e da un umore metropolitano; a suggello un omaggio ad uno dei registi italiani più importanti di tutti i tempi, «Federico Fellini», una sorta di «amarcord» sonoro che sembra incorniciare e suggerire languide scene da film in bianco e nero. «Ortodoxa», registrato 10 ottobre del 2000 allo Al Sonic Studio Recording di Roma, è un multiforme album jazz contemporaneo, di elevato livello compositivo ed interpretativo. Un fiore all’occhiello per un jazz italiano senza complessi rispetto alla tradizione afro-americana, di cui rispetta sintassi e e moduli espressivi. Raccomandato a cercatori di perle rare.

I dischi di Salvatore Bonafede sono presenti nel catalogo della nuova Red Records. Per informazioni: https://redrecords.it

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